Il maggiore Nidal Malik Hasan, il jihadista di Fort Hood, in una foto del 2000. |
Esempi di violenze perpetrate dai musulmani contro i miscredenti motivano la scuola di pensiero che ritiene Hasan una vittima a tirare fuori nuove e fantasiose scuse. Coloriti esempi (riportati in un mio articolo di qualche anno fa e nel mio blog riguardo la negazione del terrorismo islamista) includono:
- 1990. «Un farmaco prescritto per (…) la depressione» (per spiegare l'assassinio di Rabbi Meir Kahane).
- 1991. «Una rapina andata male» (l'omicidio di Makin Morcos a Sidney).
- 1994. «La rabbia di strada» (l'uccisione di un ebreo scelto a caso sul Ponte di Brooklyn).
- 1997. «Molti, molti nemici nella sua mente» (l'omicidio con arma da fuoco in cima all'Empire State Building).
- 2000. «Un incidente stradale» (l'attacco ad un autobus di scolari ebrei nei pressi di Parigi).
- 2002. «Una controversia lavorativa» (il duplice omicidio all'Aeroporto internazionale di Los Angeles).
- 2002. Un «burrascoso rapporto familiare» (i cecchini del mondo politico statunitense).
- 2003. Un «problema comportamentale» (l'attacco lanciato da Hasan Karim Akbar contro i soldati di stessa fede. Ne ha uccisi due).
- 2003. «La malattia mentale» (l'omicidio con mutilazione di Sebastian Sellam).
- 2004. «Solitudine e depressione» (un'esplosione a Brescia, in Italia, fuori da un McDonald).
- 2005. «Una divergenza tra l'indiziato e un altro membro del personale» (la furia omicida scatenatasi in una casa di riposo in Virginia).
- 2006. Il «malanimo verso le donne» (una violenta azione criminosa alla Jewish Federation di Greater Seattle).
- 2006. «Il suo recente matrimonio combinato potrebbe averlo stressato» (a proposito di un musulmano che ha travolto dei pedoni con il proprio Suv nella Carolina del Nord nel 2006).
Il sergente Hasan Karim Akbar, condannato nel 2003 per l'uccisione di due soldati. |
Come socio fondatore della scuola di pensiero che motiva la strage di Fort Hood nel jihad, non accetto le giustificazioni sopra elencate, ritenendole deboli, utili a confondere le idee e anche offensive. La scuola di pensiero jihadista, ancora in minoranza, considera l'attacco di Hasan come uno degli innumerevoli tentativi da parte dei musulmani di sconfiggere gli infedeli e imporre la legge islamica.
E non è certo un caso isolato: gli Stati Uniti ne sanno qualcosa dell'improvvisa sindrome da Jihad. Il comportamento di Hasan ci confonde le idee, ma vediamo la prova schiacciante delle sue intenzioni jihadiste. L'uomo ha distribuito copie del Corano ai vicini proprio prima che si scatenasse la sua furia omicida al grido di Allahu Akbar, Allah è grande, il credo jihadista, mentre sparava un centinaio di colpi dalle due pistole. Da quanto è stato riferito i suoi superiori lo avevano messo in libertà vigilata per aver inopportunamente fatto attività di proselitismo per l'Islam. Si noti quel che i suoi ex-colleghi dicono di lui: uno di loro, Val Finnel, racconta che Hasan soleva ripetere: «Per prima cosa sono un musulmano, e poi americano» e giustificava il terrorismo suicida; un altro collega, Col Terry Lee, rammenta che Hasan «sosteneva che i musulmani avevano diritto a insorgere ed attaccare gli americani»; il terzo, uno psichiatra che ha lavorato a stretto contatto con Hasan, lo ha descritto come un uomo «quasi aggressivo in merito all'essere musulmano».
E per finire, la scuola di pensiero del jihad attribuisce una grande importanza al fatto che le autorità islamiche esortino i soldati americani di fede islamica a rifiutare di battersi contro i loro fratelli di religione, fornendo così una base per una improvvisa sindrome da jihad. Nel 2001, ad esempio, rispondendo agli attacchi americani sferrati contro i talebani, il mufti d'Egitto, Ali Gum'a, emise una fatwa che stabiliva che «i soldati musulmani presenti nell'esercito Usa devono astenersi dal partecipare a questa guerra». Hasan stesso, facendo eco a questo messaggio, sconsigliò un giovane discepolo musulmano, Duane Reasoner Jr., di unirsi alle truppe americane perché «i musulmani non devono uccidere i fratelli musulmani». Se la motivazione del jihad è di gran lunga più convincente di quella della vittima, è altresì assai più difficile da formulare chiaramente. Tutti pensano che dare la colpa alla rabbia di strada, all'Accutane o ad un matrimonio combinato sia più facile che discutere di dottrine islamiche. E quindi, mi lancio in una predizione: ciò che Ralph Peters definisce «l'imperdonabile errore del politically correct» dell'esercito farà sì che l'attentato verrà ufficialmente giustificato sotto la voce "vittimizzazione di Hasan" e non farà parola del jihad . E così l'esercito si renderà cieco e non si preparerà al prossimo attacco jihadista.