Domanda: Il 6 dicembre 2017, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ufficialmente annunciato il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele e ha dichiarato che la sua amministrazione avvierà immediatamente il processo di costruzione di un'ambasciata a Gerusalemme. Cosa significa questo riconoscimento?
Sono stati intervistati: Elliott Abrams, Daniel Pipes, Max Singer, Eytan Gilboa, Jonathan Rynhold e Hillel Frisch. Cliccare qui per le altre risposte. Il testo di questo articolo è stato leggermente modificato rispetto all'originale pubblicato dal BESA Center.
Il trasferimento dell'ambasciata americana a Gerusalemme è ricco di spunti di riflessioni. In breve:
Questa decisione completa la creazione di Israele da parte delle Nazioni Unite come stabilito il 29 novembre 1947.
E guarda caso, è arrivata 70 anni e 7 giorni dopo il voto delle Nazioni Unite, e a tre giorni dal centenario della conquista britannica di Gerusalemme dopo averla sottratta agli Ottomani.
L'iniziativa riconosce correttamente Gerusalemme Ovest, e non l'intera città, come capitale di Israele, secondo i confini della linea di demarcazione del 1967. E lascia inalterate le orrende e vecchie procedure consolari e per ottenere il rilascio del passaporto.
Da specialista di Medio Oriente, detesto ammettere che questa azione è dovuta a volti nuovi che rompono con un passato obsoleto.
Tre volti americani nuovi (a sinistra nella foto) incontrano Binyamin Netanyahu. |
L'iniziativa invia il giusto segnale ai palestinesi: il vostro continuo tentativo di eliminare lo Stato ebraico di Israele vi costerà.
L'ossessione palestinese, araba e musulmana per Gerusalemme non deriva da un interesse religioso per la città, ma dal desiderio di controllarla. In altre parole, i palestinesi imitano i sionisti.
La decisione di Trump del dicembre 2017 di trasferire l'ambasciata dà scacco matto e confuta l'astensione di Obama nel dicembre 2016 sulla Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Ma dure condanne sono arrivate rapidamente da parte del Papa, del Segretario generale delle Nazioni Unite, dei leader europei, di Ankara e Teheran, degli islamisti, della sinistra e dei palestinesi. Quello che però colpisce è che i paesi arabi siano rimasti in gran parte in silenzio perché hanno priorità molto più elevate da affrontare.
È un bene per Trump ignorare le minacce che provengono dalle manifestazioni arabe: ai tumulti non deve essere permesso di diventare un veto che determini la politica.