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I curatori, entrambi professori dell'Università di Chicago, hanno selezionato 46 testi riguardanti un periodo di due secoli e mezzo, per fornire un manuale sulla cultura ottomana, allontanandosi consapevolmente da quello che definiscono il solito approccio "stato-centrico" all'impero. L'abbondanza di informazioni su argomenti politici, osservano Hakan Karateke e Helga Anetshofer, ha reso "troppo facile rappresentare la storia ottomana come una storia limitata a battaglie, campagne imperiali, conquiste, istituzioni complesse, carriere di notabili, palazzi lussuosi etc.". Essi sperano che il presente volume, con le sue traduzioni principalmente dal turco, ma anche dall'armeno, dal greco, dall'ebraico, dall'italiano e dal persiano, offra un allettante esempio delle "ricchezze alternative" che gli ottomani hanno da offrire.
Non sorprende che gran parte dei materiali provenga dai tribunali, perché altrimenti dove si trovano altre storie quotidiane scritte per i posteri? I paragrafi su un eretico, su bambini e giovani, su prostitute e protettori, sulle attività notturne, sui non musulmani e sulla salute pubblica vengono ricavati per lo più da atti giudiziari islamici, mentre quelli sugli ebrei convertiti all'Islam, sul matrimonio e sul divorzio tra ebrei sono tratti da atti giudiziari ebraici.
I curatori sono riusciti a offrire una vasta gamma di informazioni, anche se chiunque si aspetti gemme della letteratura o gioielli narrativi probabilmente ne rimarrà deluso. Dal primo brano (le lettere di uno studioso che chiede più fondi ai suoi mecenati) all'ultimo (una raccolta di battute di Nasreddin Hoca), la qualità della scrittura è mediocre, nonostante i molti traduttori competenti. Coloro che sono inclini a vedere la cultura ottomana come noiosa troveranno senza dubbio conferma in questa antologia. Quindi, se The Ottoman World rappresenta un valoroso sforzo per riequilibrare l'interesse per l'impero durato seicento anni, questo recensore ha la sensazione che esso rafforzerà, piuttosto, l'approccio "stato-centrico".