Mueller definisce la guerra del Kuwait "la madre di tutti i sondaggi d'opinione" e sostiene questa tesi con centinaia di ricerche sull'argomento. Questi sondaggi telefonici hanno i loro limiti, essendo stati generati per l'uso immediato da parte dei media, e non per la sistematica ricerca accademica. Eppure, la loro stessa profusione fornisce degli spunti che in genere non sono possibili.
La principale conclusione di Mueller è che "la dinamica dell'opinione che probabilmente ha aiutato maggiormente Bush, è stato un crescente fatalismo riguardo alla guerra". L'autore sostiene che il senso di ineluttabilità ha alimentato la sensazione che anche i combattimenti sarebbero cessati. Il problema è che l'autore mostra una tale immaturità (utilizzando in modo sarcastico frasi come "il nostro esercito glorioso", "i nostri valorosi e presumibilmente virginali uomini e donne in servizio") che la maggior parte dei lettori non sarà sicuro di voler fidarsi del suo giudizio. In effetti, l'ostilità di Mueller verso lo sforzo bellico americano sminuisce l'autorevolezza delle sue conclusioni.
Quasi ogni società che conduce sondaggi d'opinione negli Stati Uniti ha contribuito alle 289 tabelle pubblicate in fondo al libro. Vederle raggruppate tutte insieme in un unico punto permette al lettore di aggirare del tutto l'interpretazione di Mueller e di riflettere sui dati da solo. Un sondaggio appassionante mostra che proprio alla fine della guerra, solo il 38 per cento degli americani pensava che la guerra non sarebbe stata una vittoria se Saddam Hussein fosse rimasto al potere; e questa cifra aumentò considerevolmente fino a raggiungere il 69 per cento un anno e mezzo dopo. Questo cambiamento di atteggiamento arriva a spiegare perché la guerra, lungi dall'aiutare il tentativo di George Bush di essere rieletto, probabilmente finì per danneggiarlo.