Landau ha pubblicato nel 1969 Gli arabi in Israele: Uno studio politico; come rileva il titolo simile ma distinto del nuovo libro del 1993, l'autore ha ora scritto un volume inedito ma in stretto rapporto con quello precedente. Ancora una volta, il tono giudizioso e la ricchezza di contenuti aggiungono una narrazione fredda e istruttiva su un argomento caldo. Come per il precedente lavoro, anche questo diventerà immediatamente autorevole.
Molto è accaduto agli arabi israeliani dal 1967, tra cui una spettacolare crescita demografica, una ripresa dei legami culturali con il mondo esterno e una radicalizzazione politica. La docile comunità priva di leader del 1948-1967 ha trovato la sua voce e ora si fa avanti sicura di sé. Mentre i moderati (che vogliono l'eguaglianza in seno a Israele) e i radicali (che rifiutano di accettare l'esistenza di Israele come Stato ebraico) coesistono, "la fazione radicale, anche se disunita, sta crescendo".
Landau definisce la loro separazione "una bomba a orologeria" e nelle sue ultime due pagine suggerisce i modi per migliorare le relazioni tra arabi ed ebrei in Israele. Egli esorta gli arabi a riconoscere Israele come uno Stato con una maggioranza ebraica e gli ebrei ad aumentare la quota delle risorse arabe del Paese in modo da raggiungere parità di condizioni. Suona bene finché non si rammenta l'osservazione di Landau, fatta prima nel libro, sulle aspettative dei leader politici ebrei che "la prosperità economica che rafforzerebbe l'identificazione degli arabi con lo Stato rimarrà incerta, per non dire altro". Questa contraddizione si riferisce al fatto triste che, come il più ampio conflitto israelo-palestinese, le relazioni tra gli arabi e gli ebrei in Israele non possono avere una facile soluzione.