Gilsenan, un antropologo dell'Università di New York, ha scritto il libro più deprimente sul Medio Oriente che il sottoscritto abbia mai letto dal 1989, quando David Preyce-Jones pubblicò Circolo chiuso. Gilsenan attinge al suo vissuto ad Akkar, una zona rurale del Libano, fra il 1971 e 1972; evidentemente gli ci sono voluti venticinque anni per capire il significato di ciò di cui allora è stato testimone.
I Signori delle marce libanesi è un testo che si concentra su un unico argomento: spiegare in che modo un'incessante competizione per il potere, con una vena di violenza, domini la vita degli uomini dell'area di Akkar. Quelli che hanno il potere se ne pavoneggiano e quelli che non lo detengono ne sopportano le conseguenze quasi ogni ora della giornata. Il talento dell'autore sta nel mostrare come "la gerarchia, la dominazione e la competizione" siano "le premesse fondamentali della vita". Per quelli di noi che sono abituati a dei ritmi un po' più dolci della vita occidentale, questa lotta di hobbesiana memoria – oppure è darwiniana? – è al contempo affascinante e ripugnante, tenuto conto in particolare dell'abilità con cui Gilsenan evoca lo stato di competizione incessante.
Il difficile stato delle relazioni maschili nei villaggi del Libano ha delle chiare implicazioni per gli stati; in effetti, leggere del villaggio di Berqayl riporta alla mente il brutale comportamento dei leader mediorientali e può contribuire a spiegare la natura ostinatamente autocratica dei loro Paesi.