Basandosi sulla corretta premessa che è conosciuta nei minimi dettagli solo la posizione vantaggiosa assunta da Israele nella guerra del giugno 1967, Mutawi offre una prospettiva giordana. La forza di questo volume sta nella ricchezza della sua narrazione, nell'accesso dell'autore alle fonti e agli innumerevoli dettagli inediti che lui aggiunge a questo episodio oggetto di parecchi studi. Egli racconta come re Hussein sia stato il solo a incitare Nasser a bloccare l'accesso israeliano allo stretto di Tiran, come Richard Murphy (oggi vicesegretario di Stato per gli Affari del Medio Oriente) abbia inspiegabilmente incalzato Amman in un momento critico a rabbonire Nasser e come i leader siriani "siano stati pressoché gongolanti" per la disfatta araba nella guerra dei Sei Giorni. In quella che probabilmente è l'osservazione più significativa, Mutawi spiega per quale motivo Amman abbia fatto ineluttabilmente la sua parte per far scoppiare la crisi che portò alla guerra: "il governo giordano si è trovato a partecipare ad attività che considerava dannose per la causa araba, ma che erano essenziali per poter mantenere la propria integrità agli occhi della popolazione". Per fortuna, il sistema statale arabo ha perso forza dai tempi di Nasser e questa specie di danno auto-inflitto è diventata rara.
La debolezza del volume risiede nei toni sostanzialmente apologetici dell'impresa. Soprattutto la Siria e l'Egitto, ma anche Israele, l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti sono tutti incolpati. Al contrario, il governo giordano conserva una purezza d'intenzioni e un'innocenza di azione. Per quanto sia una fonte importante per gli specialisti, questa limitazione rende la narrazione rischiosa per i profani.