L'Alexander ha messo insieme un pot-pourri di diciassette pezzi su Farrakhan, che vanno dall'accademico (il pezzo scritto da Ernest Allen, Jr., sull'evoluzione della Nazione dell'Islam che fra l'altro è la sola e unica inchiesta rapida su quest'argomento) al delirante (a firma di Leonard Pitts, Jr., sulla capacità di Farrakhan di irritare i bianchi americani). Gli articoli brevi sono all'insegna dell'entusiasmo (Aminah B. McCloud elogia la sua "via realistica che conduce alle soluzioni"), della condiscendenza (la curatrice afferma: "Ritengo che sia una cosa ridicola considerare Farrakhan un leader nero pericoloso") oltre a essere anche oltraggiosi (Itabari Njeri lo considera come "la cosa peggiore che poteva succedere ai neri all'alba del XXI secolo).
Se non può essere ravvisata alcuna coerenza nell'approccio o nelle idee di chi ha dato il proprio contributo a questo volume, si può però azzardare una generalizzazione. Sono rari gli autori, e fra essi ci sono pochi musulmani, che prendono molto sul serio le aspirazioni islamiche di Farrakhan. A più riprese, essi insistono sul fatto che il ruolo da lui assunto nella vita degli afro-americani se lo sia guadagnato nonostante la bizzarria della sua cosmologia e il suo modo di vivere rigoroso. Essi ritengono che Farrakhan abbia raggiunto l'attuale posizione di prestigio grazie a una sua capacità di organizzare e di esprimere chiaramente i risentimenti degli afro-americani oltre a un'abilità perversa di allarmare i bianchi, e attribuiscono un ruolo esiguo al contenuto semi-islamico della sua missione.