Il titolo è infelice e il sottotitolo non è affatto esatto. La "Turchia moderna" in genere è quella che inizia intorno al 1800 e svanisce all'incirca con l'ultima generazione; questa sembra essere una nuova scorsa data a questo terreno familiare, ma non lo è. Piuttosto, i Pope (un tempo marito e moglie), in un resoconto ben scritto e attendibile, dedicano tre quarti del loro saggio agli anni che vanno dal 1960 in poi. I capitoli trattano in modo benevolo ma sempre critico questioni come i colpi militari, il problema cipriota, la questione curda, gli sviluppi economici interni, le repubbliche turcofone liberate di recente, il fiasco di Tansu Çiller e il fenomeno islamista. Nelle pagine del volume, i Pope addossano la responsabilità di ciò che trovano in Turchia al fondatore dello Stato moderno, Kemal Atatürk, compresa "la repressione, la forte paranoia nazionale, i punti deboli della sua democrazia e la dipendenza eccessiva dall'esercito".
Forse la parte più interessante è quella in cui raccontano di Türgut Özal, l'uomo che dominò la politica turca fra il 1983 e l'anno della sua morte avvenuta nel 1993. Egli fu per dieci anni "il catalizzatore di gran parte del cambiamento frenetico che rivoluzionò la Turchia". La sua influenza si estese a gran parte della vita pubblica turca: "Minando i bastioni kemalisti di dominazione dello Stato, degli affari e dei media, diffondendo in modo teatrale una nuova ideologia del mercato e del commercio internazionale, infrangendo in modo irriverente un tabù sull'esercito, l'Islam e i curdi, è così che Türgut Özal divenne la personalità politica più influente della Turchia dai tempi di Atatürk". I due autori colgono le sue contraddizioni ("malgrado tutta la sua pietà musulmana, [gli] piaceva scolarsi una bottiglia di Courvoisier, il suo brandy preferito") e le sue fissazioni ("Egli è come un pezzo di ferro dolce. Qualunque calamita egli veda, si attacca"), senza intaccare il suo ruolo enorme e costruttivo.