I ben informati sembrano pensare che questo ciclo di negoziati siro-israeliani porterà alla grande svolta. Il premier Ehud Barak prevede un accordo nel giro "di pochi mesi" e il ministro degli Esteri siriano Farouk Shara parla di una possibile intesa entro "qualche mese".
Beh, forse. Questa sorta di esuberanza sussiste dall'inizio dei negoziati siro-israeliani avviati nel 1991. Nell'agosto 1994, ad esempio, i funzionari israeliani fecero sapere che erano state raggiunte le basi per un accordo e che se ne prevedeva la firma in meno di un anno.
Nel dicembre 1995, il premier Shimon Peres ipotizzò un accordo con la Siria, aggiungendo: "Non ho alcun dubbio tranne che per la tabella di marcia".
Nel dicembre 1996, Binyamin Netanyahu asserì: "Non ho alcun dubbio che riusciremo a raggiungere un accordo di pace con la Siria durante il nostro attuale mandato".
Questa lunga lista di aspettative sbagliate dovrebbe far esitare.
Inoltre, il comportamento gelido e le parole dure pronunciate la scorsa settimana alla Casa Bianca dal ministro degli Esteri siriano continuano a mostrare l'estrema riluttanza del suo regime a trattare con gli israeliani, piuttosto che la volontà di firmare un accordo con loro. Il suo capo, Hafez Assad, ha accettato questi colloqui perché corteggia l'opinione pubblica occidentale e non per arrivare a siglare la pace con lo Stato ebraico.
Egli ha di continuo addotto dei pretesti per stare lontano dal tavolo delle trattative o per sospendere i negoziati. Credo che lui tema che un accordo con Israele indichi alla popolazione siriana un'apertura all'Occidente e la fine del regime totalitario.
Qualunque sia la ragione, lo schema ricorrente per evitare qualsiasi progresso m'induce a prevedere che Damasco s'inventerà un motivo per interrompere questo ciclo di negoziati.
Se accadrà questo, gli israeliani non devono disperare. In realtà, potrebbero trovarsi in una situazione migliore. L'economia della Siria sta crollando in modo tale da echeggiare quanto accade in Iraq. In entrambi i paesi, un governante totalitario sacrifica il benessere del suo popolo per assicurarsi il potere.
Come Steven Plaut ha mostrato di recente nel Middle East Quarterly, solo il 37 per cento dei bambini siriani nasce in una struttura sanitaria, e questo è uno dei tassi più bassi fuori dall'Africa sub-sahariana. La Siria ha un minor numero di trattori procapite rispetto a Cuba. Secondo le stime recenti, ci sono 5.000 macchine fax in tutto il Paese. Il sistema bibliotecario accademico della Siria comprende tanti volumi quanti ne contiene una libreria occidentale di grosse dimensioni.
Poiché questo crollo economico si traduce in debolezza militare, ci si deve chiedere perché Israele sia così impaziente di trattare con un regime la cui base è stata erosa in modo così significativo. Come sostiene Plaut, "la fretta da parte di Israele a raggiungere un accordo [con Assad] ha quasi lo stesso senso di quella avuta dagli Usa nel 1989 a raggiungere accordi con l'Unione Sovietica".
Perché non sedersi e aspettare una Siria ancor più indebolita? Forse anche un regime post-Assad?
C'è un altro paragone con l'Iraq: come Saddam Hussein, anche Assad ha sempre firmato degli accordi internazionali qualora potesse trarne vantaggio, per poi ignorarli quando non servivano più ai suoi scopi.
Per tre volte Assad ha promesso di rimuovere le truppe dal Libano: nel 1976, nel 1982 e nel 1989; ma 35.000 soldati sono ancora lì. Per diciotto volte ha promesso di porre fine alle attività terroristiche del gruppo curdo Pkk, nemico della Turchia, ma ogni volta non ha mantenuto la parola.
E così ha fatto anche con Israele, soprattutto per quanto concerne l'Accordo per la separazione delle forze del 1974. Assad ha promesso a Gerusalemme che "i civili siriani ritorneranno" nel territorio evacuato dalle forze israeliane, ma non è stato così: la regola è valsa solo per i soldati. Assad ha permesso le operazioni terroristiche negli anni immediatamente successivi l'entrata in vigore dell'accordo. Nel 1992, egli trasferì truppe speciali e artiglieria pesante nella zona demilitarizzata.
Perché qualcuno dovrebbe credere che Assad, più di Saddam, manterrà la parola? Un pezzo di carta firmato da Assad vale poco – ed è particolarmente inopportuno in questo momento di declino economico,
Qual è l'alternativa di Israele a un pezzo di carta? Emulare la Turchia.
Poco più di un anno fa, il governo turco e la popolazione, in un atto di solidarietà, hanno chiesto ad Assad di espellere il leader del Pkk Abdullah Ocalan dal proprio territorio. I politici turchi hanno lanciato degli avvertimenti leggermente velati a Damasco e i media non hanno fatto altro che parlare di azioni militari.
E Assad ha capitolato. Questo episodio dimostra che se Israele desidera altresì ottenere ciò che vuole (ad esempio, la fine degli attacchi di Hezbollah dal Libano), dovrebbe minacciare, piuttosto che blandire. Come succede per i bulli ovunque, Assad capisce una sola lingua: quella della forza.