La redazione della NRO ha chiesto a molti analisti: "La violenza letale contro i funzionari diplomatici in Libia e in Egitto che cosa rivela riguardo alla primavera araba? Mitt Romney è pronto a guidare la nazione in quest'atmosfera internazionale? E il nostro attuale presidente?"
Tanto per cominciare, non potremmo noi conservatori brizzolati eliminare dal nostro vocabolario l'espressione "primavera araba", da considerare briosa e inesatta, a favore di qualcosa di neutrale come "sconvolgimenti mediorientali"?
La recente esplosione di violenza contro le missioni americane non è che una piccola parte dell'ampia e crescente instabilità della regione, che va dalle insurrezioni turche alla guerra civile siriana, al caos yemenita, alla pirateria nell'Oceano Indiano, dalle tensioni libiche, all'anarchia irachena fino al disordine afgano. In breve, il nome del gioco è anarchia ed è proprio questa – e non la più consueta tirannia – che rappresenta la grande sfida della regione. Come recita un proverbio arabo, meglio mille anni di tirannia che un solo giorno di anarchia. Essa presenta altresì delle difficoltà insolite per una grande potenza.
Barack Obama si è mostrato inadatto a guidare la nazione. Da una parte, il suo interesse è rivolto alle questioni interne, e quelle estere sono un'appendice. Dall'altra, Obama rifugge dall'affermare gli interessi americani, considerando questo una forma d'imperialismo.
Quanto a Mitt Romney: egli manca di esperienza in questo settore ma la sua esperienza dirigenziale sembra ottima e vanta una squadra di consulenti competenti. Il che mi rende ottimista.