Il [termine] "vittoria" è pressoché uscito dalle menti e dal vocabolario degli occidentali moderni, rimpiazzato da parole come compromesso, mediazione e da slogan del tipo "Non c'è una soluzione militare" e "La guerra non ha mai risolto nulla". Al contrario, sono d'accordo con gli slogan scritti su quelle t-shirt che ostentano la loro opposizione alla guerra: "Tranne che per aver posto fine alla schiavitù, al fascismo, al comunismo e al baathismo la guerra non ha mai risolto nulla".
A mio avviso, le guerre terminano solo con la disfatta e la vittoria; se non si vince una guerra, la si perde. Nel mondo odierno, esigo che ci sia una vittoria degli Usa sull'Islam radicale e una vittoria israeliana sui palestinesi. Quest'accento posto sulla vittoria s'iscrive in una lunga lista di analisi militari. Ad esempio:
- Sun Tzu, 350 a.c. circa: "Che [in guerra] il vostro maggiore obiettivo sia la vittoria".
- Raimondo Montecuccoli, 1670: "In guerra l'obiettivo è la vittoria".
- Karl von Clausewitz, 1832: "La guerra è un atto di violenza per costringere il nemico a eseguire la nostra volontà".
- Winston Churchill, 1940: "Voi chiedete: qual è il nostro obiettivo? Posso rispondere con una parola. È la vittoria. Vittoria a tutti i costi, vittoria malgrado qualunque terrore, vittoria per quanto lunga e dura possa essere la strada, perché senza vittoria non c'è sopravvivenza".
- Dwight D. Eisenhower, 1944: "In guerra non c'è nulla che possa sostituire la vittoria". (Frase pronunciata anche da Douglas MacArthur nel 1951.)
- Douglas MacArthur, 1952: "È fatale prendere parte a una qualsiasi guerra senza la volontà di vincerla".
Ma quella era un'altra epoca. Qui di seguito alcune citazioni attuali sul tema della vittoria o sulla sua assenza, che contrariamente alle precedenti sono recentissime:
Barack Obama, presidente Usa, intervistato da un giornalista per avere una sua definizione della vittoria americana in Afghanistan, così risponde:
Ho sempre timore di utilizzare la parola 'vittoria' perché, voi lo sapete, essa evoca l'episodio dell'Imperatore Hirohito costretto alla resa davanti a [Douglas] MacArthur. (…) Quando si ha a che fare con un attore che non è un Paese o uno Stato, come la losca organizzazione al-Qaeda, il nostro obiettivo è quello di fare in modo che essa non possa attaccare gli Usa (…) Il che significa che essa non può allestire delle basi permanenti né svolgere attività di addestramento per poi lanciare da lì degli attacchi. E siamo convinti che aiutando il popolo afgano, migliorando la loro sicurezza, stabilizzando il loro governo, fornendo aiuti per lo sviluppo economico, gli afgani avranno delle alternative al commercio dell'eroina che sta ora fiorendo.
Il ministro degli Esteri giapponese Shigemitsu Mamoru ha siglato la resa del suo Paese il 2 settembre 1945. |
1) Oltre all'erronea nozione di vittoria, l'imperfetta conoscenza di Obama della storia ricompare qui (per fare un altro esempio, la sua menzione del 1979 e del 1989 come anni esemplari per i rapporti tra gli Usa e il mondo musulmano ); l'Imperatore Hirohito non ha siglato la resa del Giappone agli Alleati. Furono piuttosto il ministro degli Esteri giapponese Shigemitsu Mamoru e il generale Yoshijiro Umezu a fare gli onori di casa, a bordo della U.S.S. Missouri; si veda la foto che ritrae il momento della firma. Si noti altresì che il nonno di John McCain, il vice-ammiraglio John S. McCain, era presente alla cerimonia.
2) Perché non devo sorprendermi del fatto che i media – come Quayle – non hanno scovato gli errori fattuali di Obama?