Yitzhak Shamir è stato primo ministro di Israele per la maggior parte del tempo tra il 1983 e il 1992. Nato in Polonia nel 1915, arrivò in Palestina nel 1935. Si unì all'Irgun nel 1937 e al Lohamei Herut Israele (LEHI) nel 1940, e fu a capo di quest'ultimo gruppo dopo il 1942. Arrestato dalla potenza mandataria britannica per la seconda volta nel 1946 e deportato in Eritrea, riuscì a fuggire e ottenne asilo politico in Francia, per poi fare ritorno in Palestina nel maggio 1948. Dedicò i sette anni successivi alla sua vita privata, e si unì al Mossad nel 1955 operando in esso per un decennio. Dopo un altro interludio in cui si dedicò alla sua vita privata, entrò in politica nel 1970 e ottenne un seggio nel Parlamento israeliano nel 1974. Divenne presidente della Camera nel 1977 e ministro degli Affari Esteri nel 1980. Le sue memorie, Summing Up: An Autobiography, sono state pubblicate nel 1994. Daniel Pipes l'ha intervistato a New York il 27 ottobre 1998.
PROCESSO DI PACE
Middle East Quarterly: Ha rifiutato di votare a favore del trattato israelo-egiziano nel 1979, ravvisando in esso un prezzo troppo elevato per dei vantaggi incerti. Tiene fede a quella decisione?
Yitzhak Shamir: Mi sono astenuto perché, pur non essendo contrario a quel trattato, mi opponevo per due motivi alla cessione all'Egitto degli insediamenti della zona di Rafiah: innanzitutto perché questi insediamenti sul mare che erano sotto la nostra giurisdizione avevano conosciuto un notevole sviluppo e cederli sarebbe stato un precedente pericoloso per l'avvenire e avrebbe causato successivi ostacoli per i nostri insediamenti in Cisgiordania.
MEQ: Nel 1992, quando stava per lasciare il suo incarico, lei ha dichiarato che: "Avrei protratto i colloqui sull'autonomia per dieci anni, e intanto non avremmo raggiunto il mezzo milione di abitanti in Giudea e in Samaria" [1] A posteriori, questa sembra essere la strategia giusta?
Shamir: Si tratta di una citazione inesatta. Ho detto di essere disposto a portare avanti dei lunghi negoziati per tutto il tempo necessario, onde pervenire a un ampio accordo. La quantità di tempo necessaria per i negoziati non è importante: ciò che conta è l'appropriatezza e l'accuratezza dell'accordo che ne risulta. Ad esempio, i negoziati riguardanti il Canale di Panama, siglati tra Panama e gli Stati Uniti, sono proseguiti per un periodo molto lungo senza danni.
MEQ: "Gli accordi di Oslo sono stati un terribile errore e noi abbiamo bisogno di venirne fuori". [2] Perché furono un errore?In che modo Israele ne può venire fuori?
Shamir: Gli accordi di Oslo sono stati un grosso errore perché hanno portato a un'ingente perdita di terra e di territorio nazionale. Avremmo potuto riparare all'errore, se avessimo invalidato gli accordi quando il Likud è ritornato al potere.
MEQ: L'arrivo al potere del Likud nel 1996 sembra aver fatto delle differenze minori per quanto concerne il processo di Oslo e continua a farlo. Come si spiega questo? Binyamin Netanyahu? La pressione Usa? La volontà degli israeliani?
Shamir: Netanyahu ha giocato alla roulette russa. Egli pensava che se solo avesse appoggiato il proseguimento del processo, sarebbe stato eletto premier. Credeva che se avesse voluto diventare primo ministro, avrebbe dovuto cedere alla pressione americana e alle richieste dell'opinione pubblica.
MEQ: Sta dicendo che l'opinione pubblica israeliana vuole che i negoziati continuino?
Shamir: Credo che la volontà dei cittadini sia determinata da una leadership forte. Anche in una società democratica, gli avvenimenti dipendono da una leadership forte dotata di una grossa forza di persuasione e non dall'opinione delle masse.
MEQ: Lei come concilierebbe l'irrevocabile atto della cessione di terre con quello revocabile del dichiarare pacifiche intenzioni?
Shamir: Nessun atto sarebbe stato efficace. L'unico atto efficace sarebbe stato nutrire delle salde convinzioni e tener fede ad esse.
MEQ : Come dovrebbe reagire Israele se Yasser Arafat a maggio dichiarerà la creazione di uno Stato?
Shamir : La sola risposta possibile è la seguente: una decisione israeliana di annettere tutte le loro terre.
INTENZIONI ARABE
MEQ : Lei pensa che gli arabi oggi costituiscano una minaccia esistenziale per Israele?
Shamir: Non esiste una simile minaccia. Se Israele ha una leadership forte, può essere sicuro, disposto e impegnato a superare tutti gli ostacoli.
MEQ: A cosa aspira Yasser Arafat?
Shamir: Alla distruzione di Israele.
MEQ: Cosa bisogna fare perché gli arabi siano pronti a vivere in pace con Israele?
Shamir: Un fermo impegno da parte di Israele di mostrarsi saldo nelle proprie convinzioni potrebbe convincere gli arabi.
MEQ: Quanto tempo ci vorrà secondo lei?
Shamir: Non occorrerà molto tempo.
MEQ: È preoccupato per la mancanza di lealtà arabo-israeliana verso Israele?
Shamir: Sono sicuro che gli arabi non nutrano nessuna lealtà verso gli ebrei.
MEQ: Una riflessione per risolvere questo problema?
Shamir: L'unico passo possibile sta nel convincerli di dimostrarci che stanno tentando di essere leali.
BENYAMIN NETANYAHU
MEQ: Lei ha detto dell'attuale premier israeliano: "Non ho fiducia in Netanyahu. È uno che sa solo parlare, senza fare i fatti, è un uomo privo di principi. Parla bene, ma non sa come agire. Così lui promette di porre fine agli accordi di Oslo. Ma di fatto non fa nulla per sbarazzarsi veramente di essi". [3]
Shamir: Ho aiutato Netanyahu ad avanzare politicamente perché quando lo incontrai per la prima volta, avevo fiducia nelle sue convinzioni e facevo affidamento sul suo impegno morale.
MEQ: Quali sono le sue motivazioni?
Shamir: La sua unica motivazione oggi è quella di essere rieletto e di conservare l'incarico di premier.
MEQ: "Gli arabi non potrebbero avere nessuna rimostranza riguardo a Netanyahu. Dal punto di vista arabo lui è meglio di Peres e Rabin". [4] Questo significa che lei avrebbe preferito che i laburisti fossero usciti vincitori dalle elezioni del maggio 1996?
Shamir: A quell'epoca, non lo avrei preferito perché noi credevamo ancora che Netanyahu avrebbe fatto al caso nostro.
OBIETTIVI
MEQ: "Tutta la terra di Israele è nostra", [5] lei asserisce. Quali sono i suoi confini?
Shamir: Dal Regno di Giordania al Mare Mediterraneo.
MEQ: In questi giorni lei passa molto tempo a sollecitare l'immigrazione in Israele e a condurre una campagna contro le elezioni dirette del Primo ministro. Perché proprio queste due cause?
Shamir: L'immigrazione del popolo ebraico in Israele da ogni parte del mondo è l'obiettivo più importante che oggi perseguiamo. L'annullamento delle elezioni dirette del premier determinerà l'annullamento dell'elezione di Netanyahu.
MEQ: Qual è il pericolo maggiore che Israele deve fronteggiare?
Shamir: La creazione di uno Stato palestinese in Israele.
MEQ: Come vede una risoluzione del problema degli arabi-palestinesi?
Shamir: Innanzitutto, i palestinesi rinuncino all'idea di cercare di stabilire una propria soluzione. In secondo luogo, sono d'accordo ad accettare il piano di autonomia così com'è stato messo a punto da Menachem Begin.
SIONISMO REVISIONISTA
MEQ: Lei conosce Vladimir Jabotinsky?
Shamir: Non ho conosciuto personalmente Jabotinsky, ma so molte cose su di lui. Era un uomo brillante, pieno di talento. Era un oratore ispiratore e un eccellente scrittore e giornalista. Era molto autorevole ed efficiente con la gente. La sua debolezza risiede nella mancanza di organizzazione e nel calcolo sbagliato di certe opportunità.
MEQ: L'improvviso ritiro di Menachem Begin nel settembre 1983 rimane un enigma. Può spiegarlo?
Shamir: Non ho nessuna spiegazione.
MEQ: Come può il Likud riprendersi da quella che viene considerata la sua erronea politica attuale?
Shamir: Cambiando la leadership del partito.
MEQ: Chi vorrebbe vedere alla direzione del partito?
Shamir: Binyamin Begin o Uzi Landau.
STATI UNITI
MEQ: Israele come dovrebbe rispondere alle minacce simili a quelle del marzo 1998, quando il segretario di Stato Madeleine Albright minacciò di lanciare l'ultimatum che Israele si ritirasse da molti più territori della Cisgiordania rispetto a quanto era stato pianificato?
Shamir: Israele non ha bisogno di essere preoccupato per queste minacce.
MEQ: Quali lezioni ricaverebbe dalle dispute con Washington sulle garanzie di prestito e gli insediamenti?
Shamir: Dobbiamo continuare a chiedere delle garanzie per finanziare l'immigrazione e stabilire degli insediamenti senza recedere dalla nostra posizione.
MEQ: Come risponderebbe a coloro che dicono che le relazioni di Israele con gli Usa sono talmente importanti che Gerusalemme deve talvolta piegarsi, anche se preferirebbe non farlo.
Shamir: Non dobbiamo mai chinare troppo il capo.
MEQ: "Stavamo quasi cadendo dalle nostre poltrone" è come lei ha descritto la sua reazione e quella dell'intero gabinetto alla notizia che il presidente Bush aveva deciso di porre fine alla guerra in Kuwait prima di rovesciare Saddam Hussein. "È stata una grossa sorpresa. Siamo certi che la sconfitta dell'Iraq metterà fine al potere di quest'uomo folle, Saddam Hussein." [6] Mi dica dove saremmo ora se le forze Usa fossero entrate a Baghdad.
Shamir: Abbiamo pensato che in tal caso ci saremmo liberati del problema di Saddam Hussein.
PERSONALE
MEQ: Come replicherebbe a coloro che l'accusano di essere un terrorista, per via del ruolo da lei avuto nel LEHI?
Shamir: La mia risposta è che non ho agito come ho fatto, è discutibile il fatto che saremmo stati in grado di creare da soli uno Stato ebraico indipendente.
MEQ: Passando in rassegna la sua lunga carriera nell'arena politica, potrebbe citare un momento saliente e quello peggiore?
Shamir: Un momento clou è stata l'immigrazione di massa degli ebrei russi in Israele. Il momento peggiore è stato quando il LEHI ha dovuto affrontare il totale fallimento e fu quasi distrutto nel 1942.
MEQ: Qual è il successo di cui va maggiormente fiero?
Shamir: Quando, grazie ai nostri sforzi, siamo riusciti a creare l'unione totale di tutti i gruppi clandestini che combattono per la liberazione d'Israele.
MEQ: Israele come può paragonarsi oggi allo Stato ebraico sognato negli anni Trenta?
Shamir: Anche nella mia immaginazione Israele è molto diverso dai nostri sogni degli anni Trenta.
[1] Ma'ariv, 26 giugno 1992.
[2] Associated Press, 20 aprile 1998.
[3] Corriere della Sera, 8 settembre 1997.
[4] The Jerusalem Post, Feb. 23, 1997.
[5] Associated Press, 11 dicembre 1997.
[6] Associated Press, 15 gennaio 1995.