Le reazioni di protesta suscitate dal proposto centro islamico di New York, chiamato contemporaneamente "Moschea di Ground Zero", "Cordoba House" e "Park 51", hanno delle grosse implicazioni per il futuro dell'Islam negli Stati Uniti e forse non solo. La polemica sorta è infatti fortemente singolare. Ci saremmo aspettati che a fare dell'Islam una questione nazionale sarebbe stato un atto terroristico, oppure la scoperta di un'infiltrazione di spie islamiche in seno ai servizi di sicurezza Usa, o che a far esplodere la suscettibilità degli americani sarebbero stati dei sondaggi dagli esiti sconcertanti a cui magari avrebbe potuto far seguito un discorso presidenziale dai toni contriti.
Una prospettiva di un artista del centro islamico che potrebbe sorgere vicino Ground Zero. |
La cosa curiosa è che solo dopo settimane di polemiche sulla moschea, si è cominciato a parlare delle persone, organizzazioni e finanziamenti che stanno dietro il progetto, sebbene questo secondo aspetto, com'è naturale, sia più importante dell'ubicazione del centro. Personalmente, non sono contrario a un organismo islamico davvero moderato in prossimità di Ground Zero; mentre disapprovo un centro islamista ovunque sia costruito. Ironia della sorte, costruire nelle strette vicinanze di Ground Zero, viste le intense emozioni che ciò ha suscitato, tornerà a svantaggio degli interessi dei musulmani negli Usa. Questa nuova emotività segna l'inizio di una fase difficoltosa per gli islamisti in America. Benché le loro origini come forza organizzata risalgano alla fondazione della Muslim Student Association avvenuta nel 1963, essi sono diventati maggiorenni a livello politico a metà degli anni Novanta, quando si distinsero come forza reale nella vita pubblica americana. All'epoca, io andai al contrattacco, ma le cose non andarono come sperato. A dirla tutta, Steven Emerson e il sottoscritto fummo gli unici a contrastare centinaia di migliaia di islamisti: ma non riuscimmo a trovare un adeguato sostegno né intellettuale né finanziario, non riuscimmo a suscitare l'interesse dei media né ottenemmo un sostegno politico. Il nostro sembrava un caso davvero disperato. Poi nel 1999 Richard Curtiss, un funzionario Usa degli Affari Esteri in pensione, parlò al Congresso del «potenziale della comunità musulmana d'America» e paragonò i loro movimenti alle battaglie di Maometto nell'Arabia del VII secolo. Curtiss preconizzò che proprio come Maometto un tempo aveva prevalso, così avrebbero fatto anche i musulmani americani. La sua analisi fu inconfutabile. Ma l'11 settembre dette la sveglia, ponendo fine a questo senso di disperazione. Gli americani reagirono male non solo alla raccapricciante violenza di quel giorno, ma anche alla oltraggiosa insistenza islamista di attribuire la responsabilità degli attacchi alla politica estera statunitense. Non solo: molti di loro digerirono male l'elezione di Barack Obama e tantissimi si sollevarono contro la spudorata negazione islamista che i terroristi dell'11 settembre fossero musulmani e che ci fosse un forte appoggio musulmano agli attacchi.
Gli studiosi americani, i giornalisti, i blogger, i personaggi dei media e gli attivisti si sono ben documentati sull'Islam, diventando col tempo una comunità, che somiglia sempre più a un movimento. La questione del centro islamico rappresenta la sua emergenza come forza politica, offrendo una rabbiosa e potente reazione che, solo dieci anni fa, era inconcepibile. La ferma battuta d'arresto degli ultimi mesi mi trova parzialmente esultante: coloro che rifiutano l'islamismo e tutte le sue opere ora costituiscono una maggioranza e sono in marcia. Per la prima volta in quindici anni mi sento di far parte di una squadra vincente.
Ma mi preoccupa una cosa: i crescenti toni anti-islamisti di questo team. Tratti in inganno da chi insiste che non può esserci un Islam moderato, i miei alleati non riescono spesso a distinguere tra Islam (la fede religiosa) e islamismo (una radicale ideologia utopistica volta ad applicare integralmente la legge islamica), Ciò non è solamente un errore intellettuale, ma anche una linea politica senza prospettive. Inquadrare nel mirino tutti i musulmani contraddice i valori fondamentali dell'Occidente, raggruppa amici e nemici e ignora l'inevitabile fatto che solo i musulmani possono offrire un antidoto all'islamismo. Come ripeto da tempo, l'Islam radicale è il problema e quello moderato è la soluzione. E quando questo sarà capito, la sconfitta dell'islamismo sarà possibile.