Mentre il mondo musulmano, nell'ultimo decennio, si è adattato a un declino sempre più profondo, sprofondato nell'estremismo politico, nel malessere religioso, nell'inconsistenza economica, nelle armi di distruzione di massa, nelle dittature e nelle guerre civili, Dubai si è distinto come una felice anomalia.
Il Burj Al Arab si vanta di essere l'unico albergo al mondo a 7 stelle. |
Ma se Dubai sembrava essere un'eccezione alla traiettoria generale musulmana, lo è stata solo temporaneamente.
In tre distinte aree – economia, cultura e sport – il piccolo Stato ha molto in comune con l'indebolimento e la separazione del mondo musulmano.
Dal punto di vista economico, Dubai è stata l'effervescenza degli inizi del 2000, il più puro esempio di una bubble economy fondata sull'aumento dei prezzi e sul rilancio, uno schema Ponzi tra le nazioni. Già nel 2006 il giornalista finanziario Youssef Ibrahim ha analizzato la sua economia da trompe d'oeil: «Gli ingenti ricavi petroliferi che sono affluiti nel giro di due anni devono esclusivamente andare a finire sempre più nella speculazione immobiliare. Ciò consente agli operatori immobiliari e ai loro imprenditori occidentali e asiatici di fare grandi affari, come pure ai proprietari – come gli sceicchi, i sovrani e i grossi imprenditori loro amici che sono proprietari dei deserti sui quali sorgono questi progetti mirabolanti».
La formula a loro parere è semplice: vendere aree desertiche agli investitori sopra la pari. Raddoppiare poi i profitti, finanziando la costruzione di isole artificiali, laghi ed enormi centri commerciali provvisti di aria condizionata, insieme a progetti inverosimili come la più grande pista da sci nel deserto, un Jurassic Park completo di dinosauri meccanici come se fosse uscito dall'omonimo film, e milioni di unità abitative. Quindi tirarsene alla svelta fuori e lasciare che si mangino la torta.
La leadership di Dubai, osserva Ibrahim, «ha investito i propri profitti derivanti dalla vendita di fantasie desertiche in stile Disneyland in beni duraturi fuori dal Golfo come impianti portuali e proprietà alberghiere». Quando lo scorso autunno la musica è finita, con una recessione su scala mondiale e i prezzi petroliferi sono crollati di oltre due terzi, nessuno è stato maggiormente colpito più della macchina dei sogni di Dubai. Così come è cresciuta con effervescenza, allo stesso modo adesso affonda con brio. Un esempio, come riportato da Robert F. Worth nelle pagine del New York Times, è il seguente: «Con l'economia del Dubai in caduta libera, i quotidiani hanno riportato che oltre tremila autovetture sono state abbandonate nei parcheggi dell'aeroporto, lasciate lì da viaggiatori, da stranieri indebitati fino al collo (che di fatto potrebbero finire in galera se non riescono a pagare i loro conti). E a quel che si dice, alcune di queste autovetture contengono della carte di credito in rosso e dei biglietti di scuse attaccati con nastro adesivo sul parabrezza».
Questa singolare sindrome delle automobili abbandonate è frutto in parte delle rigide norme lavorative dell'emirato. Come spiega Worth, «lì coloro che sono disoccupati perdono i visti lavorativi e poi devono lasciare il paese nel giro di un mese. Ciò a sua volta riduce la spesa, crea abitazioni libere e riduce i prezzi immobiliari, in una spirale al ribasso che lascia sembrare alcune zone di Dubai – un tempo acclamato come la superpotenza economica del Medio Oriente – luoghi di una città fantasma».
I segnali della nuova indigenza abbondano: i prezzi immobiliari, aumentati clamorosamente nei sei anni del boom avuto da Dubai, in alcune zone della città sono scesi del 30 per cento e anche più negli ultimi due o tre mesi. Pertanto, parecchie automobili di lusso di seconda mano sono in vendita, e talvolta esse vengono vendute a un prezzo inferiore al 40 per cento del prezzo che si chiedeva due mesi fa, come spiega un concessionario di auto. Le strade di Dubai in genere sono molto trafficate in questo periodo dell'anno, ma adesso sono per lo più vuote. Worth spiega che il numero dei soggetti che espatriano per andare a investire in Dubai è adesso in calo nel paese, e qualcuno lo considera «come se fosse da sempre una truffa». C'è motivo di credere che la discesa economica sia appena iniziata e ci sarà una lunga strada da percorrere. Mentre accade questo, gli stranieri sono in fuga. Christopher Davidson, uno specialista di Emirati Arabi Uniti presso la Durham University, osserva che «quando Dubai era ricco e di successo, tutti volevano essere suoi amici. Ora che non ha soldi in tasca, nessuno vuole essere più suo amico».
La scrittrice inglese Geraldine Bedell si è vista annullare l'invito da parte del Festival di Dubai poiché il suo romanzo The Gulf Between Us parla di uno sceicco gay. |
Il festival vanta autori provenienti da venti paesi, inclusi grossi nomi come Frank McCourt e Louis de Bernières. Tutto bene, se non fosse che l'Eaifl rischia uno scossone ancor prima dell'inaugurazione, un sussulto che minaccia di gettare un'ombra sull'evento stesso. Lasciamo perdere "il mondo dell'editoria libraria in tutta la sua infinita varietà"; il Festival ha bandito l'autrice inglese Geraldine Bedell poiché il suo sceicco Rashid, uno dei personaggi minori del suo romanzo The Gulf Between Us (edito Penguin) è un omosessuale arabo con un fidanzato inglese; a peggiorare la faccenda, la trama ha come sfondo la guerra del Kuwait.
Come ha scritto la direttrice del Festival Isobel Abulhoul alla Bedell per annullare l'invito: «Non voglio che il nostro Festival venga ricordato per il lancio di un libro controverso. Se noi lanciassimo il volume e un giornalista lo leggesse, lei potrebbe immaginare la ricaduta politica che ne seguirebbe. Come per la guerra del Kuwait ciò sarebbe per noi un campo minato». La Bedell ha replicato dicendo che il suo romanzo «è incredibilmente tenero verso il Golfo. Sono molto infervorata verso di esso, eccetto quando succedono cose come questa. Ciò mette in discussione il proposito che gli Emirati e gli altri paesi del Golfo desiderino realmente di far parte del mondo culturale contemporaneo (…) Voi non potere bandire dei libri e aspettarvi che il vostro Festival letterario venga preso sul serio». In verità, il più grosso nome della kermesse di Dubai, la scrittrice canadese Margaret Atwood, ha deciso di non partecipare in segno di protesta contro l'esclusione della Bedell, per poi alla fine accettare di apparire in videocollegamento in un dibattito sulla censura organizzato al Festival dall'International PEN.
Shahar Peer è la star del tennis israeliano esclusa da un torneo in Dubai a causa della sua nazionalità. |
Il Wall Street Journal Europe ha annullato la sponsorizzazione; gli organizzatori del torneo sono stati multati di 300.000 dollari (44.250 dollari dei quali andranno alla Peer); e la star americana Andy Roddick ha detto che avrebbe boicottato il campionato maschile in Dubai. Nel corso della cerimonia di premiazione la vincitrice del torneo Venus Williams ha sconcertato i presenti parlando dell'esclusione della Peer. Non solo Scott è stato bombardato dai messaggi inviatigli dai fan indispettiti della tennista, ma ha parlato di un «vero e proprio effetto valanga: sono stato contattato da rappresentanti di altre imprese, istituzioni accademiche e culturali che avrebbero ugualmente investito negli Emirati Arabi Uniti qualora avessero avuto le nostre stesse garanzie che gli israeliani avrebbero potuto partecipare al torneo».
Come conseguenza del fiasco della Peer, all'israeliano Andy Ram, classificatosi 11esimo tra i tennisti, è stato concesso uno "speciale permesso" per entrare in Dubai e giocherà nella finale maschile del Barclays Dubai Tennis Championships. Nel 2010, per procedere come previsto dal calendario del torneo, gli organizzatori dovranno garantire alla Peer un jolly, di modo che la tennista possa giocare anche se non riuscirà a qualificarsi e inoltre dovranno garantire otto settimane prima i visti ai tennisti israeliani che si qualificheranno. In altre parole, Dubai dovrà accettare le regole internazionali o verrà escluso dal campionato. Ciò non è un'inezia in un piccolo Stato che è entrato negli sport ad alti livelli servendosi di ciò come un modo per attirare il turismo; l'Associated Press osserva che questo «ospita il torneo di golf e la gara ippica più ricchi al mondo, è sede dell'organo esecutivo mondiale del cricket e sta costruendo la Dubai Sports City, una città degli sport da 4 miliardi di dollari che ospiterà stadi, accademie sportive e uno degli innumerevoli lussureggianti campi di golf». Le conclusioni non sono migliori del resto. Attraverso un'inebriante commistione di destrezza e opulenza, Dubai ha provato a saltare al di là delle difficili decisioni economiche, religiose e politiche. L'establishment ha coltivato la speranza che costruire in grande supplisca una solido punto di partenza. Ha sperato di aggirare problemi fastidiosi, ha confidato nel fatto che lo sfarzo avrebbe seppellito la sostanza.
La classe dirigente ha, ad esempio, creduto che patrocinare prestigiosi eventi le avrebbe permesso di cambiare le regole; Dubai dice no ai personaggi letterari minori che sono omosessuali o dice no ai tennisti israeliani? E che sia! Dubai decreta, il mondo si conforma. Ma questo non accadrà. Il forte calo dei prezzi petroliferi ha messo a nudo l'inevitabile debolezza del paese, mentre la débâcle della letteratura e del tennis in Dubai ha confermato la questione. Invece, ora si tenta un modello del tutto differente: quello che io definisco la separazione di civiltà. Incapaci di imporre i loro costumi, gli arabi del Golfo Persico si stanno ritirando in un ghetto musulmano con la propria economia (compresi gli strumenti conformi alla sharia), i propri beni di consumo, i media, i mezzi di trasporto, i fast food, le competizioni sportive, i motori di ricerca e perfino i sistemi per il calcolo del tempo.
Questo corso è condannato al fallimento. A un certo punto, le questioni al centro della vita musulmana negli ultimi due secoli – la tensione tra tradizione e modernità, l'opposizione dell'identità musulmana ai valori universali, il logorio prodotto dallo sviluppo economico – dovranno essere affrontate. Mercanteggiare e imbonire non risolveranno questi problemi. Quando la latitanza di Dubai dalla storia finirà bruscamente, avrà inizio il duro lavoro.