Il termine orientalismo [la versione italiana del libro è stata tradotta da S. Galli e pubblicata da Feltrinelli, 2002, Universale economica Saggi, 395 p., N.d.T.]) ha un'accezione ben definita in inglese, ossia è lo studio accademico da parte degli occidentali delle culture, delle lingue e delle popolazioni orientali, un significato che a volte Edward Said adotta, anche se usa principalmente il termine in altri due modi, entrambi inediti per lui:
Qualsiasi scritto che faccia una distinzione tra Oriente e Occidente, inclusa la poesia e la prosa, la filosofia, la teoria politica. e l'economia, le memorie degli amministratori dell'Impero e
Una mentalità: "uno stile occidentale per dominare, ristrutturare e avere autorità sull'Oriente", "una sorta di proiezione occidentale sull'Oriente con la volontà di dominarlo", o più semplicemente, "l'approccio occidentale nei confronti dell'Oriente".
In altre parole, l'argomento trattato da Said ha meno a che fare con gli studi occidentali che con gli atteggiamenti occidentali e il loro ruolo nella strutturazione delle relazioni tra gli occidentali e gli altri popoli. Secondo Said, questo dice di più in merito al potere americano ed europeo sull'Oriente che sull'Oriente stesso. Anche il sapere accademico, a suo avviso, è stato "in qualche modo pervaso, influenzato, violato" da questo dominio europeo. L'imperialismo politico ha avuto un'influenza insidiosa, ma enorme su tutti gli aspetti delle relazioni tra Europa e Oriente. Questo contesto politico invalida la visione occidentale sull'Oriente, che ne dà un'immagine falsa.
Traendo esempi da fonti costituite da scritti accademici, fantasiosi e politici, Said mostra il senso di superiorità degli europei, la loro visione dell'Oriente come immutabile e la loro prerogativa di esercitare potere sugli orientali. Sottolinea la permanenza delle visioni occidentali e suddivide la sua critica in tre capitoli più o meno corrispondenti agli albori dello "orientalismo" che risalgono a un periodo antecedente al XIX secolo, al suo sviluppo nel XIX secolo e al suo prosieguo nel XX secolo.
La sua tesi di fondo secondo cui gli occidentali hanno avuto la tendenza a stereotipare e denigrare gli altri popoli non può essere contestata (sempre che possa essere compresa, poiché lo stile di Said è ampolloso e la sua strutturazione alterata). In effetti, Said rende un servizio attirando l'attenzione sul problema, poiché la consapevolezza deve precedere la rettifica. Le metafore occidentali devono cambiare, gli stereotipi devono essere rimossi e la compiacenza va eliminata. L'essenza di questa visione è fondata e cruciale, se non proprio originale.
Ma le argomentazioni di Said offendono la storia e il buon senso, mentre la sua manipolazione delle prove crea l'effetto scenografico del libro così come le sue profonde pecche. Più specificamente, in Orientalismo, l'argomentazione è sopravvalutata e le sue spiegazioni sono false. Ognuna di queste due critiche, consta a sua volta di due parti. Complessivamente, sosterrò quattro punti a sfavore di Orientalismo.
I. "L'orientalismo" esclude il sapere
L'orientalismo comunemente inteso inizia con la filologia, la padronanza di una lingua e della cultura che l'accompagna. Gli orientalisti acquisiscono e raccolgono manoscritti, modificano testi, confrontano interpretazioni, formulano rielaborazioni e per finire creano una struttura intellettuale. L'orientalismo implica uno sforzo dettagliato per costruire un edificio di conoscenza su storie e culture remote.
Said ignora questo lungo e impressionante sforzo degli studiosi europei e limita la sua visione a generalizzazioni, sintesi e descrizioni, a commenti generali che spesso non hanno alcuna relazione con l'impresa accademica, ma costituiscono una piccola parte dell'edificio orientalista. Definendo questo elemento periferico "orientalismo", egli condanna ingiustamente una tradizione accademica nobile e duratura.
II. L'"orientalismo" esclude tutti tranne gli inglesi, i francesi e gli arabi
Said si occupa soltanto di scrittori britannici e francesi, ignorando quelli di altri Paesi europei. Egli definisce l'orientalismo come "l'approccio occidentale all'Oriente", ma il suo libro esamina soltanto gli approcci britannici e francesi nei confronti degli arabi musulmani. Da un lato, tedeschi, russi e italiani non contano, come se i loro scritti imitassero semplicemente quelli degli inglesi e dei francesi; dall'altro, Said ignora cinesi, indiani e africani negli scritti europei, lasciando intendere che fossero visti esattamente come gli arabi musulmani.
Egli giustifica questa focalizzazione ristretta adducendo due motivi: la "natura pionieristica" del pensiero britannico e francese e la sua "qualità assoluta, coerenza e massa". Ma queste due ragioni sono in realtà deboli scuse per evitare le culture le cui opere mal si adattano allo schema di Said. I tedeschi fecero un lavoro filologico così pionieristico che il tedesco fu denominato "la prima lingua semitica". Nel corso del XIX secolo, la cultura tedesca fu preminente in molti ambiti della cultura orientalista, pertanto, ometterla riduce di molto l'applicabilità delle idee di Said, il quale ammette anche che la Germania non rientra nel modello "orientalista" poiché essa non aveva una rete imperiale.
L'Oriente di Said è ancora più parziale, poiché egli lo limita ai musulmani arabofoni del Medio Oriente, mentre il termine in inglese in genere si riferisce a tutto, dal Senegal al Giappone. I vaghi riferimenti nel libro all'India, all'Iran o alla Turchia non fanno altro che rafforzare le nozioni sviluppate sui musulmani arabi. Perché soltanto loro? Forse perché lo stesso Said è arabofono (anche se non musulmano) e un sostenitore dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina di Yasser Arafat. Forse perché gli arabi musulmani si adattano meglio al suo schema: le relazioni europee con loro sono durate più a lungo e con maggiore sofferenza rispetto alle relazioni con tutti gli altri popoli non occidentali.
Prima del 1500, gli europei cristiani conoscevano un solo grande blocco di popoli al di fuori dell'Europa: i musulmani, per lo più arabofoni. Le due religioni avevano visioni del mondo simili, ma opposte (entrambe monoteismi etici con radici ebraiche e aspirazioni universali). I cristiani nutrivano un'enorme ostilità verso l'Islam, considerandolo un Cristianesimo fraudolento o eretico, temendone il successo (molti cristiani erano convertiti all'Islam); e combattevano i musulmani in terra e sul mare (i Crociati, la reconquista spagnola e la minaccia ottomana furono solo le conseguenze più visibili di questa lotta).
Al contrario, gli atteggiamenti europei nei confronti degli orientali non musulmani, soprattutto quelli dell'Asia meridionale e orientale, iniziarono dopo il 1500 e implicarono una maggiore buona volontà. Quando gli europei conobbero ed entrarono in contatto con indù, buddisti e shintoisti, furono entusiasti di trovare dei non musulmani altamente civilizzati. I rapporti con questi altri popoli, soprattutto se avessero accettato il Cristianesimo, avrebbero potuto essere ottimi.
Said ha scelto un caso particolare nell'atteggiamento britannico e in quello francese nei confronti dei musulmani. Così facendo, non ha optato per una tipica relazione europeo-orientale, ma probabilmente per una più decisamente ostile. Sbaglia a insinuare che tutte le altre relazioni abbiano imitato questa. Forse i tedeschi vedevano la Cina proprio come gli inglesi vedevano l'Egitto, ma non c'è motivo di crederlo.
Pertanto, Said inganna il lettore riguardo al suo argomento. Tratta l'argomento meno di quanto afferma: non una massiccia impresa filologica, ma vaghe generalizzazioni e non un "approccio occidentale all'Oriente", ma un "approccio britannico e francese ai musulmani arabi". La sua analisi quindi non riesce a spiegare perché gli inglesi e i francesi svilupparono il loro atteggiamento di superiorità.
III. Ignorare l'ascesa dell'Occidente
Said afferma che gli atteggiamenti britannici e francesi nei confronti dei musulmani arabi puzzavano di arroganza, razzismo, teleologia, false dicotomie e false dichiarazioni; che gli studiosi dicevano cose non meno stupide degli amministratori ingenui e che atteggiamenti degradanti permeavano tutti gli scritti, anche quelli degli eccentrici.
Tuttavia, non riesce a spiegare questo consenso quando osserva che la dicotomia europea tra il Vecchio Continente e l'Oriente, così come il vanto degli europei della loro superiorità, risalgono ai tempi di Omero. Se questo atteggiamento esiste da millenni, come spiegare nello specifico gli arroganti atteggiamenti europei del XIX secolo, che egli chiama "orientalismo"? E che dire delle altre civiltà, in particolare quella cinese, che si sentono anch'esse superiori, perché non hanno visioni "orientaliste"? Cosa è successo che ha portato i moderni inglesi e francesi a considerare i musulmani arabofoni inferiori e incapaci di cambiamento?
Sono successe molte cose e Said non ne fa menzione. In breve, la chiave è stata la sorprendente superiorità dell'Europa pressoché in ogni ambito dell'attività umana. Al culmine dell'era vittoriana, dal 1850 al 1914, la Francia e la Gran Bretagna sconfinarono quasi ovunque e divennero predominanti in quasi ogni sfera della vita. L'impareggiabile potere economico e militare degli europei, così come le loro nuove tecniche, i macchinari e le organizzazioni, hanno permesso loro di ribaltare l'autorità politica e i sistemi tradizionali in Giappone, in Cina, nel Sud-Est asiatico, in India, in Africa e (ovviamente) in Medio Oriente. Nel corso dei secoli, man mano che il loro vantaggio sugli altri si ampliava, gli europei poterono fare sempre più cose.
Gli inglesi e i francesi, in particolare, dovevano rendere conto dei loro successi globali, spiegare cosa avevano fatto di giusto. Il loro straordinario potere, tuttavia, minò i tentativi di spiegarne il successo; un assurdo squilibrio di potere e ricchezza ha portato a idee assurde. Arrivarono a vedere il loro primato come un fatto permanente e non come un fenomeno transitorio, e così fecero appello a teorie culturali, religiose e razziali statiche per spiegare il successo dell'Europa: l'eredità greca, la religione cristiana, la geografia dell'Europa, il clima freddo, cervelli più grandi e così via. Tali visioni, è bene sottolinearlo, non si sono sviluppate in modo isolato o casuale: circostanze materiali nuove e fugaci (l'enorme superiorità), tradizioni intellettuali non durature (l'antica dicotomia Oriente/Occidente) spiegano l'"orientalismo".
IV. Ignorare i recenti cambiamenti
Ma nel corso del XX secolo, e soprattutto a partire dalla Seconda guerra mondiale, il potere invincibile dell'Occidente è svanito e con esso la fiducia in una superiorità permanente. Poiché i non europei utilizzano le tecniche europee, ne condividono il potere e la ricchezza. Mentre le decisioni che riguardano l'Occidente vengono prese sempre più spesso a Tokyo, Hanoi e Teheran, le civiltà non occidentali appaiono sempre più importanti. Lo stesso Said, un palestinese che occupa la cattedra di Letteratura inglese e comparata alla Columbia University, è l'esempio del non occidentale che adotta la cultura europea e ci riesce; e il suo orientalismo sintetizza perfettamente il modo in cui tali competenze possono essere rivolte contro l'Europa.
Il relativo declino della potenza occidentale conferma che i moderni successi dell'Europa sono il risultato di circostanze storiche specifiche e non di una superiorità innata. Questo declino rende plausibile il relativismo culturale: l'Europa appare oggi solo come una delle tante grandi civiltà, quella che ha vissuto il suo momento più recente e spettacolare. Ogni giorno la dicotomia Oriente/Occidente ha sempre meno senso (dove si colloca il Giappone?)
Tali cambiamenti implicano che ciò che Said chiama "orientalismo" è in declino, e pur se non si è del tutto estinto, le sue premesse si sono indebolite per un'intera generazione, perdendo ogni rispettabilità e importanza. Gli studiosi di altre civiltà sono in prima linea nel ripudiare la supremazia religiosa e razziale. La storia non occidentale viene studiata empiricamente senza grandi teorie (il concetto di "dispotismo orientale" è scomparso) e la vediamo svilupparsi (invece di ruotare su se stessa rimanendo immobile, come avveniva in passato). Le culture occidentali vengono rispettato e persino onorate.
Said in qualche modo ha perso di vista questo cambiamento e insiste sul fatto che gli atteggiamenti del XIX secolo prevalgono ancora oggi. Per dimostrare questa tesi assurda, la parte conclusiva del suo libro cita una serie di importanti figure che scrivono attualmente in inglese, inserendo trionfalmente alcune citazioni il cui significato, in quasi ogni caso, è distorto da Said per adattarlo al suo schema "orientalista". Il caso di Bernard Lewis, l'eminente storico dei popoli musulmani di Princeton, esemplifica questo problema. Lewis ha scritto questo riguardo a thawra, la parola araba che sta per rivoluzione:
La radice th-wr nell'arabo classico significava alzarsi (ad esempio di un cammello), eccitarsi o emozionarsi e quindi, specialmente nell'uso maghribi, ribellarsi. (...) Il sostantivo thawra in primo luogo significa eccitazione, come nella frase citata nel Sihah, tipico dizionario arabo del Medioevo, intazir hatta taskun hadhihi'l-thawra, cioè aspetta che questa eccitazione si calmi: un suggerimento davvero opportuno.
Gli spasmi di Said per le presunte allusioni sessuali nelle due frasi precedenti meritano di essere citati integralmente:
La connessione proposta da Lewis di thawra con un cammello che si alza o con una generica sovreccitazione (anziché con la lotta nel nome di certi valori) rivela, più chiaramente di quanto di solito accada nel suo caso, come l'arabo sia per lui poco più che una creatura incline a reazioni nevrotiche a sfondo sessuale. Ognuna delle parole e delle frasi usate da Lewis per descrivere la rivoluzione è tinta di sessualità: alzarsi, eccitarsi, emozionarsi. Nella maggior parte dei casi, la sessualità attribuita agli arabi è poi una "cattiva" sessualità. Alla fin fine, poiché gli arabi sarebbero privi delle capacità indispensabili a un'attività costruttiva e finalizzata, la loro eccitazione più o meno sessualizzata non è più nobile del rizzarsi di un cammello sulle proprie zampe. Anziché rivoluzione vi sarebbero sedizione, autonomie politiche di scarso rilievo e sovreccitazione, tesi che trasposta nell'universo della sessualità significherebbe che l'arabo non saprà andare oltre i preliminari amorosi, la masturbazione e il coitus interruptus.
La distorsione di Said è a vista. Paradossalmente, Said si rivela essere l'arabo "incline a reazioni nevrotiche a sfondo sessuale" che lui stesso evoca.
Sostenendo che nulla è cambiato nel tempo, Said si rende colpevole della stessa astoricità che a giusto titolo denuncia in Orientalismo. Ha anche costruito una tipologia e afferma che esiste al di fuori della storia, immune ai cambiamenti. Asserisce che le idee "orientaliste" sono sopravvissute per secoli grazie a quello che chiama "testualismo", il fare affidamento ai libri invece che alla realtà, per cui le idee privilegiate si perpetuano, auto-confermandosi perché nessuno si preoccupa di controllare ciò che realmente fanno gli orientali. L'altro paradosso è che Said è colui che si è limitato ai testi e ha ignorato i grandi cambiamenti nell'ordine mondiale intorno a lui. Sebbene Said incolpi erroneamente gli europei per vedere gli orientali come statici e immutabili, è lui che commette questo peccato. E allora c'è da chiedersi se il suo sforzo darà inizio a un suo "testualismo".
Conclusione
L'orientalismo grida di dolore: Said rivela chiari rancori e il suo libro regola piccoli conti (se non ci credete, rileggete il paragrafo contro Lewis). Scrivendo più con rabbia che con dolore, Said si scaglia contro una visione logora del mondo come catarsi per le sue nemesi personali. Il suo progetto illusorio, meschino e ingannevole è una vergogna e merita di essere ignorato.
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Aggiornamento del 17 dicembre 1979: Con la pubblicazione de La questione palestinese di Said, si vede come l'orientalismo abbia semplicemente esteso le sue idee, radicate nel conflitto arabo-israeliano, a un quadro molto più ampio.
Aggiornamento del 20 giugno 2003 : documento qui la risposta ossessiva e insolente a questa recensione.