Per il contesto di questo articolo si veda Il mio disastroso incontro con i sovietici.
Gli Stati Uniti hanno costantemente perseguito politiche finalizzate a migliorare le relazioni tra le popolazioni del Medio Oriente, mentre l'Unione Sovietica ha fatto del suo meglio per ostacolare ogni tentativo americano di riconciliazione. Il fulcro delle iniziative statunitensi – il conflitto arabo-israeliano e la crisi libanese – è anche l'obiettivo dell'opposizione sovietica.
Il conflitto arabo-israeliano
Tutti e sei gli attori direttamente coinvolti nella disputa arabo-israeliana – Israele, i suoi quattro Paesi limitrofi e l'OLP – hanno dimostrato in un modo o nell'altro, la volontà di risolvere le loro differenze con mezzi diplomatici. Ogni indizio di intenzioni pacifiche da parte degli arabi è stato rapidamente incoraggiato dagli Stati Uniti e contrastato dall'Unione Sovietica. Questo schema è sorprendente e coerente.
Israele. Gli Stati Uniti hanno sempre sostenuto che quando le condizioni sono idonee, i territori arabi sotto il controllo israeliano devono essere abbandonati. A tal fine, hanno esortato Israele a rischiare per un accordo pacifico. Avendo riconosciuto che Israele deve rinunciare a beni concreti (terra) in cambio di garanzie astratte (promesse di intenzioni pacifiche), gli Stati Uniti sono stati al fianco di Israele, garantendo per la sua sicurezza e rassicurandolo che non si approfitterà di tali concessioni. Il coraggio israeliano assistito dalla mediazione americana è stato la base di ogni accordo per il ritiro della truppe israeliane dai territori arabi.
Già nel 1957, Israele restituì incondizionatamente la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza all'Egitto, perché il presidente Eisenhower aveva esercitato forti pressioni al riguardo. Dopo la guerra dell'ottobre 1973, gli sforzi diplomatici del segretario di Stato Henry Kissinger culminarono negli accordi Sinai I e Sinai II; quest'ultimo, nel settembre 1975, portò all'evacuazione delle truppe israeliane dalla parte occidentale del Sinai.
Egitto. Il viaggio di Anwar al-Sadat a Gerusalemme, nel novembre 1977, che segnò la fine del conflitto armato dell'Egitto con Israele, venne premiato dagli Stati Uniti con il rafforzamento delle relazioni e con ulteriori aiuti. Poi, quando l'entusiasmo iniziale creato dalla visita di Sadat svanì, Washington spronò Egitto e Israele a continuare i negoziati. Non solo gli americani ebbero un ruolo cruciale nel mantenere vivi i negoziati, ma organizzarono numerosi colloqui che resero possibile un accordo finale, tra cui i tredici giorni di incontri, nel settembre 1978, presso la residenza presidenziale statunitense di Camp David. Opportunamente, la cerimonia della firma del Trattato di pace tra Egitto e Israele del marzo 1979 ebbe luogo sul prato della Casa Bianca, con il governo americano firmatario a tutti gli effetti. Di seguito, Washington elargì miliardi di dollari in aiuti a ciascuno dei due Paesi per facilitare l'attuazione del trattato. In tutta la storia, una terza parte probabilmente non ha mai avuto un ruolo così diretto nel mediare un accordo tra due Stati, come hanno fatto gli Stati Uniti nel caso di Egitto e Israele.
L'Unione Sovietica ha respinto con veemenza gli accordi di Camp David e il trattato di pace, sostenendo, illogicamente, che entrambi danneggiavano le possibilità di un accordo in Medio Oriente. Di conseguenza, i clienti sovietici in Medio Oriente lavorarono per isolare l'Egitto e fargliela pagare a caro prezzo per aver osato porre fine al suo stato di guerra con Israele. Nonostante gli stretti legami siriani con l'Unione Sovietica, quando Hafiz al-Asad voleva che le truppe israeliane vicino Damasco si ritirassero, egli chiese aiuto agli Stati Uniti. La diplomazia della navetta condotta dal segretario di Stato Kissinger portò nel giugno 1974 all'evacuazione delle truppe israeliane dalle loro posizioni avanzate. La mediazione degli Stati Uniti è aperta a tutti, anche agli alleati dell'Unione Sovietica.
Libano. Più recentemente, un altro segretario di Stato americano, George P. Shultz, si è impegnato nella diplomazia della navetta, sempre con l'obiettivo della pace arabo-israeliana. Per quindici giorni, tra marzo e aprile di quest'anno, Shultz si è recato in Medio Oriente per raggiungere un accordo per il ritiro delle truppe israeliane dal Libano. La reazione del governo sovietico – la condanna – è stata prevedibile, poiché si oppone ostinatamente al miglioramento delle relazioni tra arabi e israeliani. Mosca ha inoltre incoraggiato la Siria a perseguire una politica al vetriolo. La Siria ha respinto gli accordi, insistendo sul fatto che il dovere del Libano, da Paese arabo, è quello di combattere Israele.
Giordania. Per quanto concerne la Giordania, re Hussein risente della pressione sovietica. Vorrebbe negoziare con Israele sul futuro della Cisgiordania, in virtù dell'iniziativa del presidente Reagan del settembre 1982. Ma si trattiene a farlo, temendo di avviare negoziati di pace contro il volere dell'Unione Sovietica e dei suoi emissari in Medio Oriente, la Siria in particolare. È stato ben chiarito a Hussein che se dovesse partecipare ai colloqui promossi degli americani sarà vittima di un omicidio.
L'OLP. Anche un pressione sovietica scoraggia l'OLP dal tentare la via dei negoziati. Se gli Stati Uniti sollecitano l'organizzazione ad abbandonare il terrorismo, a riconoscere Israele e ad entrare nel processo di pace di Camp David., l'Unione Sovietica preferisce che l'OLP mantenga i vecchi metodi della violenza e della retorica estremista. Il risultato è stato una profonda divisione in seno all'Organizzazione per la Liberazione della Palestina. E se l'OLP dovesse continuare a cercare di distruggere Israele con la forza e optare invece per una soluzione diplomatica? Detto in altri termini, dovrebbe dipendere dalle armi sovietiche o dalla mediazione americana? Quando Arafat – senza mai denunciare metodi violenti – ha mostrato interesse per l'iniziativa di Reagan, l'Unione Sovietica e la Siria si sono rivoltate contro di lui, organizzando una fazione ribelle dell'OLP, nel maggio 1983, che ha cercato di destituirlo da capo dell'organizzazione, e potrebbe ancora rifarlo.
Altri Stati arabi. I governi arabi che non confinano con Israele hanno subito uno strattone bidirezionale. La loro crescente disponibilità a vivere in pace con Israele è stata incoraggiata dagli Stati Uniti e osteggiata dall'Unione Sovietica. Washington ha esercitato pressioni sull'Arabia Saudita e sui Paesi del Golfo affinché utilizzassero la loro influenza economica a favore dei Paesi arabi disposti a convivere pacificamente con Israele e ha premiato quegli Stati arabi come l'Oman, il Sudan, la Tunisia e il Marocco, che hanno favorito il processo di pace. L'Unione Sovietica ha sempre perseguito obiettivi contrari, servendosi dei suoi alleati arabi per ostacolare lo sviluppo di relazioni pacifiche.
Conclusioni. I precedenti mostrano che gli Stati Uniti, talvolta nella persone del segretario di Stato o del presidente, spesso hanno fornito la spinta necessaria per rendere efficace la mediazione ogni volta che Israele ha accettato di ritirarsi da un territorio arabo. È stato questo il caso di Egitto, Siria e Libano, e probabilmente varrà anche con la Giordania. Gli Stati Uniti sono stati così impazienti di portare avanti il processo che hanno inventato nuove forme di diplomazia: il mediatore che vola da una capitale all'altra (diplomazia della navetta), l'isolamento dei capi di Stato in una residenza rurale (l'incontro di Camp David) e l'erogazione di sussidi ai firmatari di un trattato di pace (Egitto e Israele dal 1979 in poi).
Al contrario, il ruolo sovietico è stato incessantemente negativo. Mosca ha criticato ogni accordo, ha minacciato qualsiasi arabo contemplasse l'idea di fare pace con Israele e ha punito chiunque lo facesse. Inoltre, l'URSS ha posto il veto su ogni tentativo di coinvolgere le Nazioni Unite nei negoziati arabo-israeliani o di utilizzare le forze dell'ONU per pattugliare i delicati confini dopo aver raggiuto un accordo.
La crisi libanese
Lo stesso schema si applica in Libano. Dallo scoppio della guerra civile nel 1975, gli Stati Uniti sono stati coinvolti in quasi tutti i tentativi di conciliazione, mentre l'Unione Sovietica ha fatto del proprio meglio per perpetuare la carneficina. Negli ultimi due anni e mezzo, il contrasto è stato particolarmente forte.
Nel luglio del 1981, fu un inviato americano, Philip Habib, a organizzare una tregua tra l'OLP e Israele. Un anno dopo, Habib si impegnò attivamente per porre fine all'assedio di Beirut e i suoi sforzi vennero ripagati nell'agosto del 1982, quando l'OLP accettò di evacuare la città. Per garantire il ritiro sicuro dei miliziani, gli Stati Uniti e due loro alleati, Francia e Italia, fornirono diverse migliaia di truppe di terra a Beirut. Esse lasciarono il Libano diciassette giorni dopo, il 10 settembre 1982, e il loro mandato si concluse. Tornarono in seguito a settembre, in risposta ai massacri di Sabra e Shatila, con una missione finalizzata a impedire ulteriori sconvolgimenti.
A seguito dei tumultuosi eventi di agosto e settembre del 1982, gli Stati Uniti hanno formulato una politica a lungo termine per portare la pace in Libano. Tale politica conteneva due disposizioni fondamentali: il ritiro di tutte le forze straniere e l'estensione del potere del governo all'intero Paese. Gli Stati Uniti hanno quindi preso misure attive per raggiungere ciascuno di questi obiettivi. Per iniziare il processo di ritiro delle truppe, Washington ha esercitato pressioni su Israele affinché raggiungesse un accordo con il governo libanese, che è stato firmato, come abbiamo visto, nel maggio scorso. Per estendere il controllo del governo centrale di Beirut, gli Stati Uniti hanno convinto il presidente Amin Gemayel a offrire un posto a tutte le comunità e i partiti politici in Libano. Questi sforzi hanno finito per portare ai colloqui sulla riconciliazione nazionale che si sono aperti a Ginevra nell'ottobre scorso.
Come dappertutto, l'Unione Sovietica e i suoi alleati hanno fatto di tutto per impedire relazioni pacifiche in Libano. Con l'appoggio sovietico, il governo siriano ha osteggiato entrambi gli obiettivi americani nel Paese. Anziché ritirare le truppe dal Libano, Damasco ha aumentato il loro numero e le ha fortificate notevolmente, forse con l'intenzione di occupare permanentemente il 60 per cento del territorio libanese che ora controlla. L'approvazione sovietica di questa politica è resa palese dalla presenza di consiglieri sovietici in Libano (la cui presenza non è ammessa ufficialmente, ma che sono stati spesso avvistati). La Siria ha inoltre fatto del suo meglio per minare l'espansione del potere del governo esortando le forze antigovernative a eliminare il governo di Beirut e creare un proprio Stato sotto la tutela siriana. Anche in tal caso, l'URSS ha appoggiato pienamente la Siria.
In conclusione, il governo degli Stati Uniti non ha lesinato sforzi per cercare la pace in Medio Oriente. Indipendentemente dalle pie parole dei leader sovietici sulla costruzione della pace in Medio Oriente, il loro operato mostra un duro scoraggiamento di ogni tentativo concreto verso questo scopo.