Momena Shoma, una graziosa e minuta bengalese 24enne, è arrivata a Melbourne l'1 febbraio 2018 per studiare linguistica alla La Trobe University, grazie a una borsa di studio per merito. Definendosi "una persona introversa e molto timida", la giovane parlava della sua aspirazione a diventare una docente universitaria. Proveniente da una facoltosa e laicista famiglia di Dacca che la considerava una ragazza "brillante", Momena era stata una studentessa modello in alcuni degli istituti scolastici d'élite di lingua inglese della capitale del Bangladesh: la Loreto School, la Mastermind School e la North South University (NSU). Laureatasi con il massimo dei voti in lingue e letteratura inglese alla NSU, nel 2016, aveva poi frequentato un master alla North South University prima di trasferirsi alla La Trobe University.
Momena Shoma senza niqab, presumibilmente prima del 2014. |
Come molti altri studenti stranieri appena arrivati, Momena si rivolse alla Australian Homestay Network (AHN), "la più grande agenzia australiana che fornisce agli studenti alloggi in famiglia", per trovare una famiglia ospitante. La ragazza si stabilì rapidamente a Bundoora, nei pressi dell'università.
Cosa poteva esserci di più innocuo? Chiunque fosse preoccupato della pericolosità della giovane a causa della sua fede musulmana sarebbe stato accusato di razzismo, sciovinismo, xenofobia, fanatismo e (la più spaventosa delle accuse) di "islamofobia". Il fatto che indossasse un burqa (il velo islamico integrale e nero) non faceva che rendere più atroci tali sospetti.
Ma quando Momena colpì ripetutamente il materasso del suo letto, nella stanza in cui alloggiava a Bundoora, con un coltello da cucina con lama da 25 cm , beh, quel gesto era foriero del pericolo incombente. Nelle parole di un magistrato, "ha fatto pratica sul materasso della prima famiglia che l'ha ospitata e i padroni di casa si sono talmente intimoriti da dire all'AHN: 'Siamo spaventati, non vogliamo che continui a vivere con noi'". E così Momena se ne andò, ritrovandosi senza casa.
Il coltello rubato da Momena Shoma e con cui la ragazza ha cercato di uccidere Roger Singaravelu. |
Rispondendo alla sua necessità impellente di trovare un alloggio, il 7 febbraio, la famiglia Singaravelu – composta dal capofamiglia Roger (56anni), infermiere di notte, dalla moglie di quest'ultimo Maha (45 anni) e dalla loro figlia Shayla (5 anni) – accolse Momena nella propria abitazione di quattro vani situata nel sobborgo di Mill Park, a Melbourne, per alcuni giorni, fino a quando la ragazza non avesse trovato una sistemazione più permanente. Maha ha spiegato con le seguenti parole il motivo per cui avevano deciso di accogliere la giovane: "Ho avuto compassione per lei. Mi sono messa nei suoi panni e in quelli dei suoi genitori".
Maha (a sinistra), Shayla e Roger Singaravelu. |
Anche loro immigrati dalla Malesia, i Singaravelus erano arrivati in Australia 30 anni fa "alla ricerca di nuove opportunità", come spiegato da Roger. Ospitavano studenti stranieri dal 2014 nello spirito del multiculturalismo, per ricambiare quanto avevano ricevuto e per insegnare la tolleranza alla loro figlia. Un vicino di casa, Neil Fitzroy, li ha descritti come persone impegnate e aperte, che accoglievano in casa studenti stranieri per permettere loro di fare "una esperienza in Australia".
La convivenza con Momena iniziò abbastanza bene, nelle parole di Maha: "Era amabile. Si è perfino offerta di fare da babysitter a nostra figlia, se fossimo usciti". Parole condivise da Roger: "La Shoma ci aveva fatto una buona impressione prima dell'aggressione". Secondo quanto riferito dall'uomo, era "bene educata" e parlava un inglese migliore di quello parlato da lui.
Essendo cresciuto in Malesia, un paese a maggioranza musulmana, Roger mi dice che lui e Maha "conoscono le norme osservate dai musulmani". Ma l'AHN non aveva informato la famiglia che Momena indossava un burqa, rammenta Roger, "ci ha sconcertato quando l'abbiamo vista per la prima volta sulla soglia di casa nostra". Il fatto che "alzasse costantemente il burqa durante i pasti" per mettere il cibo in bocca indusse la famigliola a "sentirsi a disagio a mangiare insieme". E men che meno l'AHN aveva informato la coppia che Momena era stata cacciata dalla precedente famiglia ospitante a causa dell'episodio del coltello. E nessuno sapeva che l'utensile era stato rubato dalla casa della prima famiglia ospite.
La prima aggressione
Il 9 febbraio, dopo due giorni trascorsi presso i Singaravelus, Momena sferrò la sua aggressione. Alle 16,25, con Maha fuori di casa e Roger che riposava in soggiorno, con la bambina in braccio e indossando il burqa, la ragazza utilizzò il coltello rubato per colpire l'uomo al collo. Ma alla giovane, alta un metro e mezzo, mancava la forza per tagliare la giugulare di Roger, un uomo molto più alto e grosso, e la lama del coltello tagliò solo di striscio il collo della vittima, abbastanza da farlo sanguinare "come una fontana", ma non abbastanza da procurargli un danno fatale.
Nelle sue parole: "Pensavo che fosse un sogno quando sentii un forte dolore alla gola. Mi alzai e iniziai a gridare". L'uomo tentò di estrarre il coltello mentre Momena si chinava su di lui e lo spingeva nel collo, al grido di "Allahu Akbar". Secondo quanto riportato dalla vittima, la giovane "aveva uno sguardo fisso. I suoi occhi erano incredibilmente intensi". A quel punto, Roger continua,
In maniera reattiva afferrai il coltello e lottai con lei. (...) La supplicai per ben quattro, quattro minuti e mezzo e dissi: 'Ti prego, molla il coltello, Shoma. Ti prego, mollalo. Parliamo'. Lei continuava a dire: 'Allahu Akbar, Allahu Akbar', mentre mia figlia urlava, e io le dicevo: 'Scappa Shayla, scappa'.
Alla fine, Roger ebbe la meglio ed estrasse la lama. Dopodiché, come ha continuato a raccontarmi: "Riuscii ad afferrare mia figlia e a uscire di casa, e telefonai a Mustafa Osmanoski dal mio cellulare. Lui accorse subito in mio aiuto. Quando riuscii ad aprire la porta del garage, anche il vicino di casa venne ad aiutarmi".
Mustafa, 76 anni, una guardia giurata in pensione di origine macedone, e sua moglie Safia tennero d'occhio per venti minuti una Momena imbronciata e immobile in attesa di essere arrestata, accasciata contro il muro della stanza in cui era avvenuta l'aggressione. I vicini di casa hanno detto che "era una missione e ha fatto quello che doveva fare".
Alla polizia, Momena spiegò con calma di essere arrivata in Australia non per studiare, ma per uccidere "nel nome di Dio". Si aspettava che l'aggressione "sarebbe stata fatale". Considerandosi un soldato dello Stato islamico (Isis), Momena aveva pianificato l'attacco; anzi, prima di lasciare Dacca, aveva informato sua sorella minore Asmaul Husna, 22 anni, del suo piano omicida.
Il passaporto di Momena Shoma. |
Momena si era trasformata in una jihadista quella mattina in cui stava guardando un macabro video di 55 minuti girato dall'Isis nel 2014, Flames of War. L'emittente australiana ABC ha parafrasato in tal modo la testimonianza della giovane:
Guardare i video la faceva sentire una perdente, lei ha affermato, perché pensava di non essere in grado di commettere il jihad violento ritratto nei film. Ha raccontato alla polizia che le era stato ordinato di uccidere per conto dello Stato islamico. "Mi sentivo obbligata ed era come un peso per me", ha chiosato la ragazza. Ha asserito di essersi sentita sollevata dopo l'attacco perché ci aveva provato. "Davanti ad Allah, potrò dirgli di averci provato, è così".
La motivazione dell'aggressione? Momena ammise di non nutrire alcun "rancore personale" nei confronti di Roger (che le aveva rivolto a malapena 50 parole), ma lo aveva aggredito per un senso di dovere di "scatenare la reazione dell'Occidente": ossia indurre i non musulmani ad attaccare i musulmani, dando forse luogo al caos che porta alla fine dei tempi. La ragazza precisò:
Dovevo farlo (...) poteva essere chiunque, non espressamente lui. Sembrava un bersaglio molto facile perché dormiva, pertanto ho dovuto spingermi oltre. Non farei nemmeno male a un topo. Ho avuto la sensazione che se non lo avessi fatto sarei stata una peccatrice, sarei stata punita da Allah.
Conseguenze
Incriminata per tentato omicidio e accusata di aver perpetrato un atto di terrorismo, Momena si è presentata sprezzante e con aria di sfida a un'udienza in tribunale nell'agosto scorso, indossando un niqab, come un soldato dell'Isis. Si è rifiutata di difendersi davanti al giudice o di patteggiare.
A settembre, alla Corte Suprema dello stato di Victoria, il giudice l'ha costretta a togliersi il niqab e a mostrare il suo volto per accertare la sua identità quando patteggiava. Questa volta, Momena si è dichiarata colpevole di aver deliberatamente perpetrato un atto terroristico "con l'intento di promuovere una causa ideologica, politica o religiosa, ossia un jihad violento". (L'accusa di tentato omicidio è caduta.)
Uno dei bagagli che Momena portò con sé in Australia. |
La sua sentenza verrà emessa a gennaio; la pena massima prevista è l'ergastolo. Un sondaggio online ha chiesto agli intervistati se la ragazza dovrebbe essere espulsa o incarcerata: dopo diverse settimane la stragrande maggioranza (l'84 per cento contro il 16 per cento) si è detta a favore dell'espulsione.
Roger ha riportato ferite da taglio alla spalla, la recisione dei tendini di una mano e la rottura di una vertebra del collo. Si è ripreso dopo essere stato sottoposto a un intervento chirurgico per lesioni alla spalla e al collo. Testimoniando ad aprile egli ha illustrato gli "effetti devastanti" che l'attacco ha causato alla sua famiglia. Shayla è rimasta traumatizzato da ciò che ha visto: "Continua ad avere incubi e a rivivere l'esperienza attraverso i ricordi, e ha bisogno di terapie psicologiche. Ancora vede il sangue sul muro e mi chiede di pulirlo, anche se lì non c'è niente".
Anche Roger ne ha risentito psicologicamente: "Stavo per morire e ritengo che non sia facile instaurare un rapporto di fiducia. Sono diventato un recluso e sono sempre sensibile a ciò che mi circonda dopo quanto accaduto. Le persone che indossano il burqa tendono ad aggravare la mia condizione". Soffre del disturbo post-traumatico da stress (PTSD). A questi problemi si aggiunga il fatto che Roger non viene retribuito e presto sarà licenziato dall'ospedale. Mi ha scritto a riguardo:
Non sono stato in grado di tornare al lavoro dopo l'accaduto e attualmente fruisco di un periodo di ferie non retribuite. Al lavoro mi occupo di pazienti psichiatrici. Il trauma che ho subito mi ha reso vulnerabile in un contesto del genere. Sono ancora in cura dal mio psichiatra per la sindrome da PTSD e lui ha certificato la mia inidoneità a rientrare al lavoro. Il lavoro ha messo sotto pressione il mio status professionale. Immagino che quando si ha un limite come il mio, i datori di lavoro non abbiano pazienza di aspettare la ripresa dal trauma. Attualmente ho preso un periodo di ferie senza diritto alla retribuzione e rischio il licenziamento perché in questa fase non sono in grado di rientrare al lavoro.
È palesemente vergognoso che il Melbourne Health, il datore di lavoro di Roger, e un importante ospedale universitario, lo abbia trattato così indegnamente. Occorre esercitare pressioni politiche e pubbliche sul Melbourne Health per concedere a Roger il tempo necessario per ristabilirsi del tutto e tornare al lavoro.
In breve, come spiegato da Roger in una recente lettera, tutte le speranze sue e di Maha "sono state distrutte da questo atto di crudeltà! Le nostre vite non sono più le stesse e non torneranno mai a vivere una vita normale".
Dacca
In Australia, l'aggressione sferrata da Momena sembrava essere un caso di sindrome da "jihad instinct", da parte di una potenziale docente accademica di linguistica. Ma le successive indagini in Bangladesh hanno rilevato un gran numero di campanelli d'allarme che erano stati ignorati per magistrale inettitudine.
A detta di tutti, Momena si inseriva bene nella normale vita musulmana della sua famiglia d'élite. Suo padre Mohammad Moniruzzaman, un commercialista, è vicepresidente senior e membro del consiglio di amministrazione della Janata Insurance Co. Ltd. Suo zio Mohammed Abdul Aziz è preside della Facoltà di Scienze dell'Università di Dacca.
Mohammad Moniruzzaman, il padre di Momena Shoma. |
Momena si è ritirata in un mondo definito dall'Islam, solo nel 2012, anno in cui aveva iniziato a frequentare la North South University. Niente più musica e film per lei; chiese alla famiglia di sbarazzarsi del televisore e assillava le donne dicendo loro di indossare il velo. Parafrasando un rapporto della polizia, l'emittente australiana ABC ha rilevato che Momena "si sentiva come prigioniera in casa propria", essendo l'unico membro della famiglia a essere diventato una musulmana salafita. "Ha iniziato a seguire i predicatori online, tra cui il famigerato predicatore yemenita Anwar al-Awlaki, e a guardare i video dello Stato islamico [Isis]."
La sala di preghiera riservata alle donne presso la North South University, una istituzione fortemente legata all'islamismo, divenne il fulcro della sua vita. Ad esempio, i jihadisti coinvolti nell'omicidio di un blogger laicista hanno frequentato la NSU, così come quelli che perpetrarono l'attacco a un ristorante in cui morirono 29 persone e perfino l'attentatore che tentò di far saltare in aria la Federal Reserve Bank di New York.
Al culmine della notorietà dell'Isis, nel 2014, Momena fece domanda per ottenere un visto studentesco per recarsi in Turchia e accettare una borsa di studio della Atılım University di Ankara, ma probabilmente con il reale intento di unirsi all'Isis. Tuttavia, il consolato turco a Dacca respinse la domanda, come fece per circa la metà degli studenti bengalesi che avevano fatto richiesta del visto. Momena potrebbe inoltre aver tentato senza successo di ottenere visti per la Tunisia e gli Stati Uniti.
Un rapporto della polizia bengalese ha rilevato che anche la sorella di Momena, Asmaul Husna, si era radicalizzata dopo la morte della madre per diabete, nel giugno 2015. Da allora, le sorelle iniziarono a vedere insieme video di al-Qaeda e dell'Isis. "Entrambe le sorelle ebbero l'ispirazione di consacrarsi al jihad e giurarono di combattere per la creazione di un califfato islamico in Bangladesh". Si unirono a una fazione di Jamaat-ul-Mujahideen Bangladesh (JMB), un gruppo jihadista legato all'Isis con precedenti violenti dal 2005 (quando si fece conoscere con 350 esplosioni in un'ora) e che portò a termine l'attacco, menzionato sopra, uccidendo 29 persone all'interno di un ristorante.
Momena era in contatto con numerosi jihadisti bengalesi, sia locali sia combattenti per l'Isis in Siria. Tra questi ultimi c'erano ATM Tajuddin e Gazi Sohan. Sohan, anche lui reclutatore dello Stato islamico fino al suo arresto avvenuto nel 2015, aveva conosciuto Najibullah Ansari, un ingegnere navale bengalese e membro del JMB, in una chat online e nel 2014 lo presentò a Momena. Quest'ultima e Najibullah si misero d'accordo e progettarono rapidamente di convolare a nozze, ma non lo fecero a causa dell'opposizione delle famiglie. Poco dopo, Najibullah annunciò, nel gennaio 2015 (in un messaggio su Facebook indirizzato al fratello minore) che si stava "recando in Iraq per unirsi all'Isis", benché poi non lo abbia fatto. Nel 2015, il padre di Najibullah presentò una denuncia alla polizia di Chittagong informandola dei viaggi di suo figlio.
Najibuallah Ansare, il fidanzato di Momena Shoma. |
La polizia bengalese trovò inoltre le prove (sullo smartphone e sul computer di Momena) che portavano a un importante collegamento jihadista in Australia: una misteriosa amica di un gruppo di discussione islamico alla NSU; le due erano in contatto con il reclutatore dell'Isis Gazi Sohan. L'amica sposò un bengalese residente in Australia e si trasferì lì dopo la laurea conseguita nel 2016. Le ragazze rimasero in costante contatto attraverso WhatsApp, incitandosi a vicenda con video jihadisti. A quanto pare, l'amica convinse Momena a unirsi a lei in Australia, inducendola a iscriversi all'Università La Trobe. L'amica si recò a Dacca a dicembre e lì le due si riunirono al loro vecchio gruppo di discussione islamico alla NSU. L'amica poi ripartì per l'Australia il 20 gennaio e Momena la seguì l'1 febbraio. Non è chiaro se si siano incontrate in Australia.
L'Unità antiterrorismo e contro la criminalità transnazionale (CTTC) ritiene possibile che Momena conoscesse altre reclute dell'Isis: "Nel 2014, avevamo arrestato molti studenti radicalizzati. Forse Momena era in contatto con alcuni di loro. Stiamo svolgendo indagini accurate su tale questione". La polizia ha trovato un gran numero di messaggi WhatsApp, e non solo, scambiati con altri islamisti, il che denota che Momena fosse parte integrante di una rete jihadista. È sorprendente che tutti questi indizi siano stati ignorati.
La seconda aggressione
L'inettitudine dei bengalesi raggiunse nuovi livelli quando, tre giorni dopo l'attacco sferrato da Momena il 9 febbraio, una squadra della polizia metropolitana di Dacca della CTTC si recò a casa della famiglia Shoma, un appartamento situato in un palazzo al Royal Aroma Garden, per svolgere delle indagini. Moniruzzaman collaborò per due ore con gli inquirenti, ma la sorella di Momena, Asmaul Husna (alias Sumona), la quale ha anche frequentato scuole d'élite anglofone, si mostrò "molto agitata". La CTTC ha riferito cosa accadde dopo: "Mente gli agenti di polizia se ne stavano andando, Sumona mise in atto a sorpresa un'aggressione col coltello contro uno degli agenti, al grido di 'Allahu Akbar', e dicendo anche: 'Siete kafir [infedeli]. Dobbiamo stabilire il governo dell'Islam nel paese. Dobbiamo ingaggiare il jihad, se necessario'". Un comunicato stampa cita le parole della ragazza aggiungendo: "Ucciderò [il primo ministro del Balgadesh] Sheikh Hasina, ucciderò [il presidente siriano Bashar] Assad. Sono tutti infedeli. Un giorno tutti si uniranno al jihad e l'Islam governerà il mondo".
La casa di famiglia di Momena Shoma si trova nel Royal Aroma Garden, a Dacca. |
Il poliziotto ferito fu trasportato in ospedale e presto dimesso. Successivamente, la CTTC ha scoperto che, prima della partenza per Melbourne, Momena aveva ordinato a sua sorella di uccidere un poliziotto e le insegnò come utilizzare un coltello. A causa della sua appartenenza al JMB, Asmaul Husna è stata accusata di terrorismo. Ci si sarebbe aspettati che una squadra antiterrorismo fosse un po' più preparata ad affrontare i problemi creati da una potenziale jihadista.
Pertanto, nel giro di tre giorni, le due sorelle, entrambe mosse da motivazioni islamiche, avevano accoltellato due vittime in due paesi. Di fronte all'eventuale dichiarazione di colpevolezza di Momena, spicca il rifiuto di accettare la realtà da parte della sua famiglia. Suo zio ha chiesto: "Come può essere coinvolta nella militanza dopo solo otto giorni in Australia? Non riusciamo a immaginarla mentre brandisce un coltello. Non è una persona aggressiva né crudele. Non può essere una terrorista. Siamo musulmani, ma non siamo terroristi né estremisti". Recentemente lo zio si è rifiutato di rispondere alla mia domanda se, dopo che la nipote si è dichiarata colpevole, lui continui a considerarla innocente.
Conclusioni
"Come diavolo è arrivata qui?" Roger si è chiesto opportunamente dopo l'aggressione subita da Momena Shoma. In effetti, il suo caso solleva sconcertanti interrogativi sulla competenza delle istituzioni incaricate di tenere i cittadini al sicuro da graziose e minute jihadiste laureate.
· Perché le autorità del Bangladesh erano all'oscuro della personalità di Momena, nonostante i suoi intensi rapporti con la rete jihadista del paese?
· Perché la North South University non si oppone alla cultura e alla rete jihadista che accoglie?
· Nel 2015, il padre di Najibullah Ansari avvisò la polizia di Chittagong del fatto che suo figlio volesse unirsi all'Isis; perché i compagni del figlio, tra cui Momena, non furono indagati?
· Il governo turco (e forse anche quelli di Tunisia e Stati Uniti) ha respinto la domanda di visto di Momena; perché le autorità australiane le hanno permesso di entrare nel paese?
· Il tanto intrusivo e "più temuto" Form 80 australiano che tutti i richiedenti un visto di residenza permanente e alcuni richiedenti un visto di residenza temporanea sono tenuti a compilare, chiede: "Ti è mai stato negato il visto da parte di qualche paese?" e "Sei (...) mai stato associato ad organizzazioni dedite alla violenza o coinvolte in atti di violenza (incluso (...) il terrorismo?" Che valore hanno queste domande?
· Jamaat-ul-Mujahideen Bangladesh ha alle spalle 13 anni di attività omicida; perché l'Australian National Security non l'ha inserito nella lista dei gruppi terroristici fino al giugno 2018, quattro mesi dopo l'attacco sferrato da Momena?
· I timori di essere definita "islamofobica" hanno indotto l'Australian Homestay Network a non informare la polizia né la famiglia Singaravelus del fatto che Momena avesse sferrato una raffica di coltellate al materasso del suo letto?
· Perché la polizia bengalese non ha adottato adeguate misure di protezione quando ha interrogato Asmaul Husna?
Australian Form 80: "Ti è mai stato negato il visto da parte di qualche paese?" |
Le istituzioni che vanno dalle università e dalle reti degli alloggi offerti dalle famiglie fino alla polizia locale e antiterrorismo hanno tutte fallito; peggio ancora, la mia corrispondenza con il governo bengalese sta a indicare che non si è imparato nulla da questo fiasco.
Il caso di Momena Shoma cristallizza la necessità per l'Australia e altri paesi occidentali di sviluppare meccanismi equi, ma rigorosi, volti a negare l'accesso degli islamisti ai loro paesi. Si osservi bene: agli islamisti e non ai musulmani. Sì, distinguere gli uni dagli altri è una sfida, ma se si dispone di tempo, di mezzi e di fondi adeguati si può fare.
Un certo numero di politici australiani ha approvato questo approccio, tra cui Tony Abbott, Bob Carr, Peter Costello, Scott Morrison, Brendan Nelson e Alby Schultz. Carr è stato particolarmente chiaro:
Non credo che gli [islamisti] dovrebbero essere lasciati entrare. (...) Se qualcuno dicesse pubblicamente che tutto ciò che il vostro paese rappresenta è sbagliato – che le donne non dovrebbero avere diritti; che gli omosessuali dovrebbero essere braccati e perseguitati; che la legge della sharia dovrebbe essere applicata ovunque – non credo che tali persone avrebbero un ruolo qui. Dubito che possano essere integrate qui.
Come ha dimostrato la piccola studentessa modello di linguistica, anche il musulmano dall'aspetto più innocuo può diventare un jihadista per "scatenare la reazione dell'Occidente".