Quando il presidente Carter ha di recente detto che la questione degli aiuti americani alla restituzione del trono allo Scià nel 1953 è "una vecchia storia", egli non sapeva che le attività americane in Iran degli ultimi quarant'anni costituiscono oggi la principale fonte di disaccordo tra l'Iran e gli Stati Uniti. I sostenitori dell'Ayatollah Khomeini insistono a chiedere le nostre scuse e noi ci rifiutiamo di porgerle. Ma che cosa hanno fatto gli Stati Uniti per fare arrabbiare in tal modo certi iraniani?
Come risposta, il Dipartimento di Stato ha appena redatto un dossier di 60.000 pagine sul ruolo avuto dagli americani in Iran dal 1941. Il governo avrebbe potuto risparmiarsi il disturbo di farlo. Con molte meno pagine, Barry Rubin, un giovane esperto di questioni internazionali del Center for Strategic International Studies di Washington, ha dato alle stampe uno studio magistrale proprio su quest'argomento. Di recente, sono stati pubblicati molti libri sulla politica iraniana; e finalmente eccone uno che fornisce una spiegazione sensata del regno dello Scià e della rivoluzione di Khomeini e che offre una valutazione completa e obiettiva del ruolo avuto dagli americani in entrambe le epoche.
Pavimentata di buone intenzioni dedica quasi la stessa attenzione alle relazioni degli Stati Uniti con i due regimi. In entrambi i casi, Rubin sostiene che "tutte le parti tendono a esagerare l'importanza delle decisioni e delle azioni americane riguardo agli avvenimenti in Iran. Studiando la storia delle relazioni tra le due nazioni, si rimane molto impressionati dalle difficoltà che Washington ha incontrato nell'influenzare le questioni iraniane". Lo Scià non era un fantoccio americano, ma un sovrano indipendente e caparbio, e la paura disperata di Khomeini per un intervento americano ha più ripercussioni sulla sua psicologia che sul potere americano.
Durante il regno dello Scià, le relazioni tra gli Usa e l'Iran si focalizzarono su una sola questione: le spese militari iraniane. Le divergenze esistenti da lungo tempo tra le due nazioni emersero fin dal 1947: "Lo Scià voleva che il suo potente esercito fosse un deterrente" contro la Russia, mentre gli americani pensavano che la loro "protezione militare, e non un grande esercito iraniano, avrebbe costituito il migliore deterrente contro le ambizioni di Mosca". Da allora in poi, le successive amministrazioni americane discussero con lo Scià delle sue spese militari, esortandolo a investire maggiormente sulle riforme economiche e sociali, limitandosi però a ottenere dei risultati ambivalenti.
Già nel 1949, "i problemi furono creati dalle differenze esistenti fra le richieste di aiuti [militari] iraniani e le scarse reazioni americane"; gli stessi problemi persistettero nei successivi vent'anni, nonostante l'aiuto militare americano ammontasse a 1,8 miliardi di dollari. Nel corso di quegli anni, la pressione americana sullo Scià affinché quest'ultimo facesse delle riforme ebbe un certo successo, ma egli mostrò sempre più interesse per il potere che ciò gli conferiva e non per i vantaggi di cui avrebbero goduto i suoi sudditi.
Le restrizioni americane imposte allo Scià ebbero bruscamente fine nel 1969, con l'arrivo alla Casa Bianca di Richard Nixon che fece dell'Iran "il pilastro fondamentale del sostegno per gli interessi americani" nell'area del Golfo Persico. Nel maggio 1972, il presidente Nixon dette allo Scià il permesso di acquistare dagli Stati Uniti tutte le armi non-nucleari che voleva. Questa decisione "segnò il trionfo della visione che lo Scià nutriva da lungo tempo su quello che avrebbe dovuto essere il suo ruolo in vent'anni di riserve da parte del Dipartimento di Stato". Rubin afferma che permettendo allo Scià di fare dell'Iran un'importante potenza regionale, gli Stati Uniti persero il controllo su di lui; esattamente l'opposto di ciò che i suoi nemici interni affermano, le ingenti spese militari dello Scià gli procurarono un'ampia forza economica e strategica sugli Usa.
La decisione di dare carta bianca allo Scià, col tempo sarà riconosciuta come uno degli avvenimenti decisivi della nostra era. Tra le sue numerose conseguenze, l'autore focalizza la sua attenzione su due ripercussioni in particolare. Innanzitutto, gli Stati Uniti approvarono i tentativi dello Scià di determinare un aumento dei prezzi del petrolio nei primi mesi del 1971 per fornirgli il denaro necessario per l'acquisto di armi. L'aggiunta di 10 centesimi ai 90 centesimi al barile che già incassava sembrò un'inezia, ma questo fu il passo decisivo che segnò l'inizio di un'interminabile escalation che ha portato ai prezzi attuali del petrolio di circa 32 dollari al barile.
In secondo luogo, l'ingente acquisizione di armi ha acuito le tensioni economiche e sociali in Iran, amplificando le disparità tra ricchi e i poveri, falsando i valori culturali e portando nel paese migliaia di tecnici stranieri, "Secondo gli iraniani, è stato il programma per la vendita di armi, più di ogni altro aspetto dell'alleanza fra gli Stati Uniti e l'Iran, che ha compromesso l'immagine dello Scià agli occhi degli iraniani, inducendoli a credere che lo Scià fosse l'uomo dell'America".
Pur focalizzando l'attenzione sulle relazioni americane con l'Iran dal 1978, la seconda metà del volume Pavimentata di buone intenzioni fornisce al contempo la migliore analisi della rivoluzione islamica ancora in nuce. Nessuna sintesi può rendere giustizia alla sottile e abile interpretazione fatta da Rubin degli avvenimenti straordinari accaduti negli ultimi due anni e mezzo in Iran; la sua viva sensibilità per la cultura politica iraniana riesce a cogliere il senso di un dramma straniero.
Per ciò che concerne gli Stati Uniti, egli spiega che "l'ostilità verso gli Usa non era qualcosa di marginale per i khomeinisti, ma era al centro dei loro pensieri". "La sola spiegazione che Khomeini poteva accettare" per tutti i problemi che l'Iran ha dovuto affrontare dalla caduta dello Scià "era che gli agenti della CIA e la gente formata da questi ultimi volevano creare uno stato di caos, impedire agli impiegati di svolgere la propria attività, rovinare i raccolti e sabotare le fabbriche". I leader iraniani avevano altresì una paura patologica di un intervento americano: "Secondo Washington, lo Scià era sparito per sempre, ma nessuna parola o espressione di buona volontà avrebbe potuto convincere Khomeini della sincerità americana".
Nonostante i tentativi americani di accettare il nuovo regime, le relazioni fra i due paesi divennero sempre più tese. Gli iraniani radicali "attaccati alla posizione secondo la quale l'America riteneva che i propri interessi fossero inesorabilmente legati a quelli dello Scià e che pertanto essa non avrebbe potuto accettare la rimozione dello Scià dal potere (…) pensavano che, come nel 1953, Washington avrebbe pianificato una controrivoluzione". Quanto agli Stati Uniti, dice Rubin, "l'importanza dell'ideologia khomeinista fu sottovalutata dal governo americano [che] non si rese mai veramente conto di come il nuovo governo iraniano fosse pieno di odio nei confronti degli Stati Uniti". In breve, ognuna delle parti ha erroneamente respinto le parole dell'altra come mera retorica.
Tutto questo è culminato nel sequestro dell'ambasciata. I sostenitori di Khomeini temevano le normali relazioni con gli Stati Uniti, convinti che avrebbero minato la loro indipendenza. "Gli iraniani volevano che l'America stesse alla larga. Qualcuno ha cercato di essere più amico degli Stati Uniti, ma i più sospettosi sono stati più intransigenti." Secondo questi ultimi, la presa degli ostaggi "è stata un'ottima medicina preventiva (…) per distruggere le relazioni bilaterali, senza speranza alcuna di ristabilirle".
Rubin arguisce che "tenuto conto di questo comportamento da parte degli iraniani, ogni tentativo di convincerli delle intenzioni conciliatorie di Washington era destinato a fallire". La sorte degli ostaggi dipende dai ghiribizzi della politica interna iraniana; essi saranno rilasciati solo quando gli iraniani saranno pronti a farlo. Nel frattempo, le minacce o le scuse americane sono inutili.