L'intero Paese, e in particolare New York, deve affrontare un problema impellente in seguito agli attacchi dell'11 settembre, orchestrati da una rete islamica militante e perpetrati da alcuni musulmani arabofoni residenti nel Nord America: ma gli americani come dovrebbero ormai considerare e trattare le popolazioni musulmane che vivono in mezzo a loro?
Le reazioni iniziali sono ampiamente differenti. L'opinione delle elite, come quella espressa dal presidente Bush, si è affrettata a negare ogni legame tra gli atti di guerra e la popolazione musulmana residente [in America]. "L'Islam è la pace", Bush ha assicurato agli americani, aggiungendo: "Non dovremmo ritenere qualcuno che è musulmano responsabile di un atto terroristico". Il procuratore generale Ashcroft, il governatore Pataki e il sindaco Giuliani hanno fatto eco a queste osservazioni. Il segretario di Stato Colin Powell è andato ancora più lontano, dichiarando che gli attacchi "non andrebbero considerati come qualcosa che è stato commesso dagli arabi o dagli islamici; piuttosto è qualcosa che è stato perpetrato da dei terroristi" – come se gli arabi e i musulmani, per definizione, non possono essere dei terroristi.
Questo approccio potrebbe avere senso se considerato come un modo per calmare l'opinione pubblica e prevenire degli attacchi contro i musulmani, ma chiaramente non riesce a convincere nessuno. Il repubblicano John Cooksey (repubblicano della Louisiana) ha detto in un'intervista radiofonica che chiunque porti "un pannolino in testa e una cinghia del ventilatore intorno al pannolino" dovrebbe essere "fermato" negli aeroporti per porgli delle domande supplementari. E le indagini demoscopiche mostrano che la stragrande maggioranza degli americani collega l'Islam e i musulmani agli orribili episodi dell'11 settembre. Un sondaggio ha rilevato che il 68 per cento degli intervistati approva che venga "fermata in modo casuale chi corrisponda al profilo di un sospetto terrorista". Un altro sondaggio ha rilevato che l'83 per cento degli americani è a favore di maggiori controlli sull'ingresso dei musulmani nel Paese e il 58 per cento vuole dei controlli rafforzati sui musulmani che viaggiano in aereo o in treno. Strano a dirsi, ma il 35 per cento dei newyorkesi è favorevole a istituire dei campi d'internamento per quegli "individui che secondo le autorità simpatizzano con le cause terroriste". Su scala nazionale, il 31 per cento degli americani è favorevole ai campi di detenzione per gli americani di origine araba, "come un mezzo per prevenire gli attacchi terroristici negli Usa".
Quali sono realmente i legami esistenti tra le atrocità e la minoranza musulmana residente negli Usa e in Canada? E quali politiche sono in grado di proteggere il Paese dagli attacchi terroristici, tutelando i diritti civili dei musulmani?
Il problema in questione non è la religione dell'Islam, ma l'ideologia totalitaria dell'islamismo. Come fede religiosa, l'Islam ha significato cose molto differenti per oltre 14 secoli e in più continenti. Quello che possiamo definire "l'Islam tradizionale", forgiato in epoca medievale, ha ispirato i musulmani a essere bellicosi e tranquilli, magnanimi e ingenerosi: non si può generalizzare su un campo così vasto. Ma si possono notare due punti in comune: l'Islam è, più di ogni altra grande religione, profondamente politico, nel senso che spinge i suoi fedeli a detenere il potere; e una volta che i musulmani acquistano potere sentono un forte impeto di applicare la legge islamica, la Shari'a. Così facendo l'Islam contiene, in realtà, gli elementi che possono giustificare la conquista, la teocrazia e l'intolleranza.
Nel corso del XX secolo, è sorta una nuova forma di Islam e che ora esercita un grande richiamo e ha un forte ascendente. L'Islam militante (o l'islamismo – è la stessa cosa) affonda le sue radici nell'Egitto degli anni Venti, quando fece la sua prima apparizione un'organizzazione chiamata i Fratelli musulmani, ma esistono anche altre correnti come quella iraniana, largamente formulata dall'ayatollah Khomeini, e la corrente saudita, alla quale appartengono i talebani che governano in Afghanistan e Osama bin Laden. L'islamismo si differenzia in molteplici modi dall'Islam tradizionale. È la fede trasformata in ideologia, e per di più l'ideologia radicale. Alla domanda: "Lei si considera un rivoluzionario?" il politico islamista sudanese Hasan al-Turabi ha risposto: "Assolutamente sì". Mentre l'Islam tradizionale attribuisce a ogni credente la responsabilità di vivere secondo la volontà divina, l'islamismo invece fa di questo dovere qualcosa di cui è lo Stato responsabile. L'Islam è un sistema di credo personale che concentra l'attenzione sull'individuo; l'islamismo è un'ideologia di Stato che guarda alla società. Gli islamisti costituiscono una piccola ma importante minoranza di musulmani negli Usa e nel mondo, forse il 10-15 per cento.
I difensori dell'Islam ci dicono che l'islamismo è una distorsione dell'Islam o anche che non ha nulla a che fare con l'Islam, ma questo non è vero: esso nasce dalla religione, assumendone le caratteristiche per giungere a una conclusione così estrema, così radicale e così megalomane al punto di costituire qualcosa di nuovo. L'islamismo adatta una fede secolare a delle esigenze politiche della nostra epoca, condividendo alcuni dei principi chiave di totalitarismi come il fascismo e il marxismo-leninismo. Si tratta di una versione dal sapore islamico dell'utopismo radicale. Gli islamisti, presi uno a uno, possono mostrarsi rispettosi della legge e ragionevoli, ma fanno parte di un movimento totalitario, e in tal modo devono tutti essere considerati come dei potenziali assassini.
I musulmani tradizionali, in genere le prime vittime dell'islamismo, comprendono questa ideologia per quello che essa è, e reagiscono con paura e disgusto, come indicano certi esempi dell'Africa del Nord. Naguib Mahfouz, scrittore egiziano vincitore di un Nobel, ha dichiarato al premier e al ministro degli Interni del suo Paese che cercavano di reprimere l'islamismo: "State combattendo una battaglia per il bene dell'Islam". Altri musulmani tradizionali egiziani sono d'accordo con Mahfouz, condannando l'islamismo come "la mano barbara del terrorismo" e chiedono che tutti gli estremisti siano "impiccati nelle piazze". In Tunisia, il ministro della Religione Ali Chebbi sostiene che gli islamisti appartengono ai "bidoni dell'immondizia". Il ministro degli Interni algerino, Abderrahmane Meziane-Cherif, conclude allo stesso modo: "Non si può parlare con della gente che adotta la violenza come proprio credo; con della gente che sgozza le donne, le violenta e mutila loro il seno; con della gente che uccide gli innocenti ospiti stranieri". Se i musulmani la pensano così, i non-musulmani possono unirsi a loro senza imbarazzo: essere contrari all'islamismo non implica in alcun modo essere contrari all'Islam.
Gli islamisti di ogni genere hanno un'attitudine violenta nei confronti dei non-musulmani e hanno una storia decennale di lotte con i governanti coloniali britannici e francesi, e anche con i governi non-musulmani dell'India, di Israele e delle Filippine. Hanno ingaggiato inoltre delle lunghe battaglie cruente contro i governi musulmani che non accettano il programma islamista: in Egitto, Pakistan, Siria, Tunisia e Turchia, ad esempio – e, in modo più plateale, in Algeria, dove fino ad oggi si stima che 100.000 persone abbiano perso la propria vita in dieci anni di combattimenti.
La violenza islamista è un fenomeno mondiale. Nella prima settimana del mese di aprile, ad esempio, ho contato i seguenti episodi, facendo affidamento solo sulle notizie diffuse dalle agenzie stampa, che non sono affatto esaustive: decessi dovuti alle azioni islamiste violente perpetrate in Algeria (42 vittime), in Kashmir (17), nel sud delle Filippine (3), in Bangladesh (2) e in Cisgiordania (1); varie forme di violenza sono state registrate in molti altri Paesi come l'Afghanistan, l'Indonesia, la Nigeria e il Sudan; i tribunali hanno emesso delle sentenze contro i musulmani radicali in Germania, in Italia, in Giordania, in Turchia, negli Stati Uniti e nello Yemen. Gli islamisti sono ben organizzati: 11 interi gruppi dei 29 che il Dipartimento di Stato definisce "organizzazioni terroristiche straniere" sono islamisti, come lo sono 14 dei 21 gruppi proscritti dal Ministero degli Interni britannico.
A partire dal 1979, gli islamisti si sono sentiti abbastanza sicuri per estendere la loro lotta contro l'Occidente. Alla fine del 1979, il nuovo governo islamista dell'Iran lanciò un attacco contro l'ambasciata Usa a Teheran e tenne in ostaggio 60 americani per 444 giorni. Otto soldati statunitensi (le prime vittime di questa guerra) sono morti nel tentativo di salvataggio esperito dagli Usa nel 1980. La violenza contro gli americani è iniziata nel 1983 con un attacco contro l'ambasciata Usa in Libano, che fece 63 vittime. Poi seguì una lunga serie di attacchi contro gli americani nelle ambasciate, sulle navi, nelle caserme, nelle scuole e altrove.
Prima dell'11 settembre 2001, gli islamisti hanno altresì perpetrato almeno otto attacchi mortali sul territorio statunitense: l'uccisione di un dissidente iraniano nella zona di Washington, avvenuta nel luglio 1980; l'omicidio di un libero pensatore islamico egiziano a Tucson, nel gennaio 1990; l'assassinio del rabbino Meir Kahane a New York, nel novembre 1990; l'attacco contro il personale della Cia, con due vittime, all'esterno del quartier generale dell'agenzia a Langley, in Virginia, nel gennaio 1993; l'attentato dinamitardo contro il World Trade Center, con l'uccisione di sei persone, nel febbraio 1993; la raffica di spari contro un furgone pieno di ragazzi ebrei-ortodossi che percorreva il Ponte di Brooklyn, uccidendone uno, nel marzo 1994; l'omicidio di un turista danese in cima all'Empire State Building, nel febbraio 1997; e infine il deliberato incidente aereo di un volo della EgyptAir per mano del pilota egiziano caduto nell'Atlantico nei pressi di New York City, che fece 217 vittime. Tutte queste morti, tranne una, sono avvenute nei pressi di New York o di Washington D.C. Questa lista parziale non include un certo numero di terribili attentati mancati, come "il giorno del terrore", previsto per il giugno 1993 che avrebbe portato a due simultanei attentati al Palazzo dell'Onu e ai tunnel Lincoln e Holland, e un complotto sventato per disturbare le celebrazioni del millenario di Seattle.
In breve, il massacro di oltre 6.000 americani nel settembre 2011 non è stato l'inizio di qualcosa di nuovo ma l'intensificarsi di una campagna di violenza islamista contro gli Usa che impazza da oltre due decenni.
Nessuno sa esattamente quanti musulmani vivano negli Stati Uniti – le stime, che tendono a esagerare, variano considerevolmente – ma le loro cifre arrivano certamente a toccare svariati milioni. I credenti si dividono in due grandi gruppi, gli immigrati e i convertiti, con gli immigrati che sono due-tre volte più numerosi dei convertiti. Gli immigrati arrivano da ogni parte del mondo, ma in particolare dall'Asia Meridionale, dall'Iran e dai paesi di lingua araba; i convertiti tendono a essere nella stragrande maggioranza afro-americani.
Questa comunità ora si trova di fronte a una scelta profonda: integrarsi negli Stati Uniti o poter essere islamista e rimanere ai margini. È una scelta con delle conseguenze importanti sia per gli Usa sia per il mondo musulmano.
I musulmani integrazionisti – alcuni pii, altri no – possono vivere al contempo come americani patriottici e come musulmani convinti. Questi musulmani non hanno nessun problema a giurare fedeltà a un governo non-musulmano. Gli integrazionisti credono che ciò che la cultura americana esige – duro lavoro, onestà, tolleranza – sia compatibile con le convinzioni islamiche e considerano anche l'Islam come una riaffermazione dei questi valori classici americani. Essi accettano che gli Usa non siano un Paese musulmano, e cercano di vivere con successo nel quadro costituzionale. Un esempio rappresentativo di questa visione positiva è dato dal Consiglio supremo islamico d'America, che mostra con orgoglio una bandiera americana sulla home page del suo sito Internet.
Tuttavia, i musulmani americani che seguono la strada islamista, rifiutano la civiltà americana, basata su una combinazione di valori cristiani e dell'Illuminismo che a loro avviso sono esecrabili. Gli islamisti credono che i loro usi e costumi siano superiori a quelli americani, e li vogliono imporre all'intero Paese. A breve termine, essi promuovono l'Islam come la soluzione ai mali sociali e morali della nazione. Ma col tempo e in modo più radicale, gli islamisti vorrebbero trasformare gli Usa in un Paese musulmano sottoposto a dei rigidi dettami islamisti. Esprimendo questo punto di vista radicale, Zaid Shakir, un ex-cappellano musulmano alla Yale University, sostiene che i musulmani non possono accettare la legittimità dell'esistente ordine americano, perché "è contrario agli ordini e alle ordinanze di Allah". "[L'] orientamento del Corano", egli aggiunge "ci spinge esattamente nella direzione opposta". Per quanto bizzarro possa sembrare un simile obiettivo politico, è ampiamente dibattuto negli ambienti islamisti, e gli avvenimenti dell'11 settembre dovrebbero far capire come sia necessario che le autorità americane prendano sul serio quest'ambizione.
In realtà, il grande dibattito tra gli islamisti non riguarda l'opportunità o la plausibilità di trasformare gli Usa in una nazione musulmana, ma verte sull'interrogativo se occorrerà lavorare in funzione di quest'obiettivo, in modo legale ma lento attraverso la conversione, oppure percorrendo una strada più rischiosa ma più rapida, che richiederebbe l'uso della violenza. Shamim A. Siddiqi, un immigrato pakistano, prevede che un gran numero di americani si convertirà spontaneamente all'Islam in quello che lui definisce una "corsa all'Islam". Omar Abdel Rahman, lo sceicco cieco dietro l'attentato del 1993 al World Trade Center, vuole che i musulmani "conquistino la terra degli infedeli". Questi due approcci sono possibili e si sovrappongono, con qualche lobbista in abito gessato a Washington che dà una mano ai terroristi, come ad esempio riuscire a ottenere la sospensione della prassi di sottoporre a profiling i passeggeri mediorientali delle compagnie aeree.
La buona notizia è che gli integrazionisti sono molto più numerosi degli islamisti. La cattiva notizia – e questa pone un problema reale e ancora largamente sconosciuto per gli Usa – è che gli islamisti sono molto più attivi degli integrazionisti nelle questioni musulmane e hanno il controllo pressoché totale delle istituzioni islamiche della nazione: moschee, scuole, centri comunitari, pubblicazioni, siti web e organizzazioni nazionali. Gli islamisti ricevono inviti alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato. Erano per lo più islamisti coloro che il presidente Bush, con l'intento di rassicurare i musulmani, ha incontrato due volte dopo l'11 settembre.
Che cosa devono fare gli americani per proteggersi dagli islamisti, salvaguardando i diritti civili dei musulmani rispettosi della legge? La prima cosa e anche la più semplice è non accogliere nessun islamista nel Paese. Ogni islamista che entra negli Usa, che sia un visitatore o un immigrato, è un nemico in più sul fronte interno. I funzionari devono passare al vaglio i discorsi, le associazioni e le attività dei potenziali visitatori o degli immigrati per individuare qualunque segnale di devozione alla causa islamista e impedire l'ingresso nel Paese a chiunque sia sospettato di avere simili legami. Alcuni puristi delle libertà civili rumoreggeranno, come fecero un tempo per una legislazione simile concepita per impedire l'ingresso dei marxisti-leninisti. Ma questa è semplicemente una questione di autodifesa nazionale.
Le leggi già esistenti permettono una simile politica, anche se applicarle in questi giorni è assai difficile, visto che richiedono il diretto coinvolgimento del Segretario di Stato. Pur risalendo a decenni prima dell'apparizione dell'islamismo sulla scena americana, il McCarren-WalterAct del 1952 permette l'espulsione di chiunque cerchi di rovesciare il governo americano. Altre disposizioni terrebbero alla larga chi è sospettato di terrorismo o di aver commesso altri atti dalle "conseguenze in politica estera potenzialmente gravi". I funzionari americani hanno bisogno di una maggiore libertà di azione per inasprire queste leggi.
Tenere alla larga gli islamisti dal Paese è un primo passo logico, ma sarà egualmente importante sorvegliare attentamente gli islamisti che già vivono negli Usa come cittadini o residenti. Sfortunatamente, ciò significa che tutti i musulmani debbano far fronte a una maggiore sorveglianza. Per quanto si tratti di un fatto inevitabile e penoso, se chiunque potrebbe diventare fascista o comunista, solo i musulmani, però, trovano seducente l'islamismo. E se è vero che la maggior parte dei musulmani non è islamista, è altrettanto vero che tutti gli islamisti sono musulmani. I musulmani possono aspettarsi che la polizia, nel cercare i sospetti dopo un nuovo attacco terroristico, non perderà tempo a perquisire chiese, sinagoghe e templi induisti, ma concentrerà l'attenzione sulle moschee. La vigilanza davanti agli edifici governativi probabilmente farà domande ai pedoni dall'aspetto mediorientale o che indossano dei foulard.
Poiché tali misure possono arrecare pregiudizio, le autorità in passato hanno mostrato una gran riluttanza a prendere questi provvedimenti, un'attitudine che gli islamisti e i loro sostenitori hanno potenziato, cercando di soffocare ogni tentativo di selezionare i musulmani da sottoporre a controlli. Quando i musulmani commettono dei crimini, le autorità si fanno in quattro per dissociare i loro motivi dall'Islam militante. Ad esempio, il taxista libanese che fece fuoco contro un furgone pieno di ragazzi ebrei-ortodossi che transitava sul Ponte di Brooklyn nel 1994, uccidendone uno, era mosso da una comprovata ira violenta contro Israele e gli ebrei – ma l'Fbi ha attribuito le sue motivazioni alla "rabbia di strada". Solo dopo una campagna persistente condotta dalla madre del ragazzo ucciso, l'Fbi ha finito per classificare l'attacco come "un crimine commesso da un terrorista", quasi sette anni dopo l'omicidio. La riluttanza a riconoscere l'Islam militante poteva essere comprensibile prima dell'11 settembre – ma ora non più.
I controlli rafforzati dei musulmani sono diventati obbligatori negli aeroporti del Paese e devono rimanere tali. Il personale di sicurezza aerea guardava con occhi indagatori gli arabi e i musulmani, ma questo era prima che le lobby competenti avessero fatto un sacco di storie sul "profiling delle compagnie aeree" considerandolo una forma di discriminazione al punto che le compagnie aeree hanno, di fatto, accantonato questo espediente. L'assenza di una politica di buonsenso ha fatto sì che 19 dirottatori arabo-musulmani siano facilmente saliti a bordo di quattro diversi voli aerei l'11 settembre scorso.
Un controllo più rigoroso dei musulmani significa altresì una vigilanza sugli islamisti "dormienti" – individui che vivono tranquillamente la loro vita finché un giorno ricevono la chiamata da parte dei loro controllori a entrare in azione nell'ambito di un'operazione terroristica. I quattro gruppi di dirottatori dell'11 settembre mostrano come l'inganno possa andare lontano. Come ha spiegato un investigatore, che si è soffermato sul periodo di tempo che i 19 terroristi hanno trascorso negli Usa: "Questa era gente che ha passato la frontiera solo per attaccare rapidamente. (…) Questi individui hanno coltivato delle amicizie e si sono mimetizzati nella società per perseguire le loro capacità di attaccare". Per fermare i dormienti prima che siano attivati e attacchino occorrerà una maggiore sorveglianza alle frontiere, una buona dose d'intelligenza e la vigilanza dei cittadini.
I residenti stranieri musulmani di cui si scopre l'identità islamista dovrebbero essere subito espulsi dal Paese prima di avere l'opportunità di agire. Gli islamisti che hanno la cittadinanza dovranno essere tenuti d'occhio molto attentamente e di continuo.
Proprio come la nazione sorveglia attentamente il mondo musulmano all'interno dei propri confini per rilevare eventuali segnali d'islamismo, essa dovrà anche continuare a tutelare i diritti civili dei musulmani americani rispettosi della legge. I dirigenti politici dovranno regolarmente e pubblicamente distinguere tra Islam, la religione dei musulmani, e islamismo, l'ideologia totalitaria. Inoltre, dovrebbero fare tutto ciò che in loro potere per assicurarsi che ogni musulmano, le moschee e altri istituzioni continuino a godere della piena protezione della legge. Un periodo di crisi non cambia la presunzione d'innocenza nel cuore del nostro sistema legale. La polizia dovrebbe fornire una protezione supplementare ai musulmani onde evitare atti di vandalismo contro i loro beni o le loro persone.
Per fortuna, alcuni musulmani americani (e gli americani-arabi, la maggior parte dei quali sono in realtà cristiani) capiscono perfettamente che se accettano degli inconvenienti personali – e anche, a voler essere onesti, un certo grado di umiliazione – contribuiranno a proteggere il Paese e se stessi. Tarek E. Masoud, un laureato di Yale, mostra un certo buonsenso di cui sembrano essere privi molti dei suoi padri: "Quante migliaia di vite si sarebbero salvate se la gente come me si fosse infastidita nel veder perquisire le proprie valige e per essere costretta a rispondere a delle domande?" si domanda. "Le persone dicono che il profiling li fa sentire dei criminali. È così. Lo so per certo. Ma preferirei mille volte sentirmi un criminale piuttosto che vivere per vedere l'opera macabra di veri criminali, a New York e a Washington".
Un terzo obiettivo chiave sarà quello di combattere l'ideologia totalitaria dell'Islam militante. Questo significa isolare delle istituzioni rumorose e malvagie come l'American Muslim Council, il
Council on American-Islamic Relations e il Muslim Public Affairs Council. I politici, la stampa, le corporazioni, le organizzazioni di volontariato, tutti insieme devono rifuggire da questi gruppi e non accordargli neanche un briciolo di legittimità. Le autorità in materia di fisco e le forze dell'ordine dovrebbero sorvegliarli come falchi, proprio come tengono d'occhio il sindacato dei camionisti americani.
Combattere l'ideologia islamista richiederà altresì l'oscuramento dei siti Internet che promuovono la violenza islamista, che reclutano nuovi membri per la campagna terrorista contro l'Occidente e che raccolgono fondi per le cause dell'Islam militante ("Donare denaro per il jihad militare", esorta un sito web del genere). Il governo federale ha cominciato a prendere delle misure anche prima dell'11 settembre, chiudendo InfoCom, un'azienda la cui sede era a Dallas e che ospitava numerose organizzazioni islamiste, alcune delle quali incanalavano denaro verso i gruppi dell'Islam militante all'estero.
È altresì essenziale nella lotta contro l'ideologia islamista estendere l'aiuto ai musulmani moderati non-islamisti. Costoro sono ingiustamente messi alla gogna a causa degli eccessi islamisti, dopo tutto, e sono quindi impazienti di mettere fine a questo movimento estremista. Farli salire a bordo ha molteplici vantaggi: possono fornire dei preziosi consigli, infiltrarsi nelle organizzazioni islamiste clandestine e il loro coinvolgimento nei tentativi di distruggere l'islamismo smonta le inevitabili accuse di "islamofobia".
Inoltre, gli esperti di Islam e di mondo islamico – docenti universitari, giornalisti, figure religiose e funzionari governativi – devono rendere conto delle loro opinioni. Da troppo tempo oramai, questi esperti chiedono di scusare l'islamismo piuttosto che interpretarlo per quello che è. E pertanto essi hanno una certa responsabilità per l'impreparazione che ha portato all'orrore dell'11 settembre. La stampa e altri media hanno bisogno di mostrare una maggiore obiettività nel parlare di Islam. In passato, hanno vergognosamente coperto ciò che lo riguardava. Il recente documentario del Public Broadcasting Service (Pbs) "Islam: Empire of Faith" [Islam: Impero della fede] è un caso tipico, che offre, come il Wall Street Journal osserva acutamente: "un'adorazione acritica nei confronti dell'Islam, più appropriata a un trattato per dei veri credenti che a un documentario che ha la pretesa di fornire all'opinione pubblica americana un resoconto obiettivo". Gli islamisti hanno festeggiato a New York la distruzione dell'11 settembre nelle loro moschee, ma i giornalisti si sono rifiutati di riportare la notizia per paura di offendere i musulmani, celando di fatto questa informazione importante all'opinione pubblica americana.
Prendere queste tre misure – vietare l'ingresso nel Paese agli islamisti, sorvegliarli all'interno delle frontiere della nazione senza violare le libertà civili dei musulmani americani, e delegittimare gli estremisti – permette agli americani di essere equi verso la maggioranza moderata dei musulmani, pur combattendo l'Islam militante. Sarà un difficile esercizio di diplomazia, che richiede sensibilità senza però soccombere alla correttezza politica. Ma è al contempo essenziale e realizzabile.