Qualche riflessione sulla politica americana verso la Siria in occasione della conferenza internazionale "Amici della Siria" tenutasi in Tunisia e che è appena terminata.
Il ministro degli Esteri degli Emirati arabi Uniti, lo sceicco Abdullah bin Zayed al-Nahya, il ministro degli Esteri britannico William Hague e il segretario di Stato americano Hillary Clinton alla conferenza internazionale "Amici della Siria". |
Se si applica quest'approccio alla crisi in Siria, la buona notizia è che l'abominevole dinastia degli Assad ha i giorni contati. È meglio "il demonio che non conosciamo" [un'alternativa ad Assad] piuttosto che un regime totalitario che opprime il proprio popolo, minaccia i Paesi vicini e fornisce un'assistenza primaria ai mullah di Teheran.
Detto questo, io sono a favore di una politica americana dell'inerzia, sono incline a lasciare che in Siria gli eventi accadano da soli. Mentre il regime e i suoi oppositori si combattono:
- Il regime può causare meno problemi ai suoi vicini.
- C'è una maggiore probabilità che gli iraniani traggano ispirazione da questo per ribellarsi contro i loro governanti.
- Un maggior numero di arabi sunniti s'infurierà contro Teheran. Come scrive l'analista Gary Gambill, "Che cosa c'è che non va nello status quo di un Iran incatenato a un cadavere siriano?"
- Maggiore sarà la rabbia contro Mosca e Pechino.
Inoltre, il rovesciamento del regime di Assad non porrà automaticamente fine alla guerra civile del Paese. Più probabilmente, questo invertirà la dinamica, con gli alawiti e gli altri ribelli che arriveranno a combattere un regime islamista sunnita.
Si può essere d'accoro o meno con le mie argomentazioni, ma gli americani dovrebbero guardare alla Siria in modo strategico, dando priorità alla loro stessa sicurezza in un mondo pericoloso.