Barack Obama ha tenuto due importanti discorsi sul Medio Oriente in rapida successione, il 19 e il 22 maggio, e mentre lui discuteva di una serie di argomenti mediorientali, una porzione del conflitto arabo-israeliano ha ricevuto l'attenzione prestata a chi fa la parte del leone. Gli analisti e i politici che hanno a cuore l'unico paese democratico del Medio Oriente (sì, uso questa espressione ora che la Turchia è sotto il controllo dell'Akp) criticano aspramente Obama e pensano che Israele sia in grave pericolo. Ad esempio, l'ex-presidente della Camera dei Rappresentanti Usa, Newt Gingrich, ha definito il suo discorso "un disastro" e ha detto che Obama, in effetti, ha chiesto a Israele "di suicidarsi".
Io vedo le cose in modo più positivo per Israele. Ecco il mio ragionamento:
Questa è la terza volta in cui Obama mostra senza motivo e faziosamente i muscoli con Israele. In precedenza lo ha fatto nel maggio 2009 e poi nel marzo 2010: nel primo caso, il segretario di Stato Hillary Clinton ha dichiarato che non ci saranno unità abitative israeliane a Gerusalemme est, nel secondo caso, il vicepresidente Joe Biden si è (finto) offeso quando tali costruzioni sono state realizzate.
In tutti e tre i casi, la diatriba riguardava una questione secondaria sulla quale in pochi si sono concentrati: gli insediamenti israeliani nei primi due casi e i confini di cessate-il-fuoco del 4 giugno 1967 come base per un accordo permanente sui confini – finché Obama non li ha trasformati in titoli.
La flessione dei muscoli di Obama ha condotto in tutti i casi a un immediato irrigidimento delle posizioni da parte degli israeliani e anche dei palestinesi. Gli israeliani hanno fatto un passo indietro, si sono sentiti feriti e sono riluttanti a fare delle concessioni, mentre i palestinesi hanno aggiunto le due richieste di Obama – Gerusalemme e i confini del 1967 – alla loro precedente lista di richieste.
Netanyahu (a sinistra) e Obama, in tempi più felici, nel luglio 2010. |
Prevedo che un Obama "sconfitto e umiliato" si pentirà della sua battaglia inappropriata del tornare ai confini del 1967 e se lui seguirà il suo precedente programma, dovrebbe tornare strisciando dal premier israeliano nel giro di quattro mesi ovvero a settembre.
In conclusione: Come qualcuno è contrario ai negoziati arabo-israeliani mentre la guerra è in corso e alla presidenza Obama, io trovo conforto nel suo combinare un bel pasticcio in diplomazia e in politica. In questo modo, Israele ha meno probabilità di fare delle "dolorose concessioni" controproducenti e, con una sfilza di ex-sostenitori pronti ad abbandonarlo, Obama si è pregiudicato le possibilità di essere rieletto.
Aggiornamento del 25 maggio 2011: In quello che Alexander Bolton di The Hill definisce "un raro rimprovero del presidente", parecchi senatori democratici non accettano la mossa di Obama dei confini del 1967. Ecco una tipica dichiarazione rilasciata dal leader della maggioranza al Senato Harry Reid (democratico del Nevada): "Il luogo dove avverranno i negoziati deve essere il tavolo delle trattative, e non altrove. Questi negoziati non avranno luogo – e le loro condizioni non saranno fissate – attraverso discorsi, per strada o nei media. Nessuno dovrebbe fissare prematuri parametri sui confini".
Aggiornamento del 25 maggio 2011 bis: Ho chiesto al mio collega Steven J. Rosen per quale motivo Barack Obama è stato più volte altalenante tra due politiche: attaccare briga e poi riconciliarsi con Israele. Ecco la sua risposta:
Obama tergiversa tra due linee di azione avanzate da due serie di consiglieri. Tom Donilon e Dennis Ross gli dicono d'instaurare la fiducia con Israele e di lavorare con il suo primo ministro. Hillary Clinton e George Mitchell argomentano a favore di una certa distanza pubblica facendo delle pressioni su Israele, blandendo gli arabi e accettando il punto di vista degli europei. E Obama ha raggiunto un compromesso.