Jerusalem Post ha posto ai suoi columnist la seguente domanda: "Che effetto avrà sul processo di pace l'entrata nella compagine governativa del Partito Yisrael Beitenu, guidato da Avigdor Lieberman?" Per leggere le risposte degli altri autori si consulti la pagina web http://www.jpost.com/servlet/Satellite?cid=1161811242647&pagename=JPost/JPArticle/Printer
La diplomazia arabo-israeliana è di fatto agonizzante dall'inizio del 2001, allorché andarono in fumo i negoziati tra Barak e Clinton, malgrado tutti gli sforzi di riavviare il processo di pace tanto da parte dei leader mediorientali (come il siriano Bashar al-Assad) quanto da parte dei diplomatici americani (come Philip Zelikow).
Una coerenza che contraddistinse la politica estera fortemente vaga di Ariel Sharon fu la sua mancanza di interesse a negoziare con gli arabi, un'attitudine successivamente ereditata dal governo Olmert.
In poche parole, ancor prima che Yisrael Beitenu entrasse a far parte della coalizione di governo, non c'era la ben che minima predisposizione da parte israeliana a tornare a sedersi al tavolo dei negoziati. Adesso che Yisrael Beitenu ha voce in capitolo in merito alla politica israeliana, la prospettiva di avviare dei negoziati è ancor più remota.
E a riguardo, riporto qui di seguito un aneddoto personale. Nel giugno 2004, poco prima di pubblicare il mio articolo "Volubili premier israeliani", ebbi l'opportunità di parlare ad Avigdor Lieberman della tesi in esso contenuta, in base alla quale quattro premier israeliani di seguito – Yitzhak Rabin, Benjamin Netanyahu, Ehud Barak e Ariel Sharon – avevano raggirato l'elettorato venendo meno alla linea politica annunciata nei confronti della questione araba, per poi adottare inaspettatamente, una volta in carica, un approccio che ha lasciato spazio a delle concessioni. Al che Lieberman replicò: "Quando io diventerò primo ministro, non capiterà".