Le molteplici provocazioni di Saddam Hussein delle ultime settimane sollevano numerosi interrogativi: Questi atti – come vessare i rappresentanti dell'Onu, sabotare i convogli delle organizzazioni umanitarie, sconfinare in Kuwait, piazzare missili nelle no-fly zones – sono aberranti o fanno parte di uno schema ricorrente? Dovremmo tollerarli o compiere delle drastiche azioni per porre fine ad essi? Faranno sì che l'Iraq continui a essere uno stato canaglia oppure aiuteranno Saddam a riottenere il consenso internazionale al suo regime?
Dovremmo aspettarci che Saddam rimarrà al potere per molti anni ancora? È giovane (ha solo 55anni), in buona salute, gode di ottime protezioni e non ha rivali interni. La sua capacità – nel 1991 – di sopportare una schiacciante sconfitta militare e l'insurrezione di massa suggerisce due cose: sono in molti gli iracheni che lo appoggiano e soltanto un'invasione straniera lo priverà del potere.
Dovremmo aspettarci che Saddam continuerà a provocare le Nazioni Unite e causerà in tal modo la distruzione dell'Iraq. Non perché sia stupido – e come avrebbe potuto esserlo, pur essendo nato in una capanna di fango da una coppia di contadini senza terra, è diventato l'uomo forte dell'Iraq alla tenera età di 33anni – ma perché ha una comprensione estremamente limitata del mondo esterno. Questo necessita alcune spiegazioni.
Saddam ha lottato per arrivare al gradino più alto del potere (e rimanervi) essendo più duro, più ipocrita e più strategico di chiunque altro in Iraq. Ha utilizzato ripetutamente lo stesso stratagemma: finge di allearsi con un avversario, lo tranquillizza fino a renderlo inerte, per poi rivoltarsi contro di lui e distruggerlo.
Sfortunatamente per Saddam, quello che funziona così bene nel mondo brutale e anarchico della politica irachena si traduce miseramente sulla scena internazionale. Come il contadino che, di fatto, è, Saddam mostra una straordinaria astuzia in casa, ma commette degli errori lontano di casa. Il contrasto è sorprendente. Gli stessi schemi che gli hanno fatto ottenere il potere assoluto dentro l'Iraq gli hanno fatto perdere due importanti guerre, distruggere l'infrastruttura del Paese, come pure hanno impoverito la sua popolazione e rovinato la sua reputazione.
Ma la cosa peggiore è che Saddam sembra ostinatamente incapace di imparare dai propri errori. Limitato da una personalità patologica e da una profonda ignoranza, egli vede il mondo come una versione più estesa dell'Iraq e tratta George Bush come un governatore ribelle o come un generale insubordinato. La cosa ancor più strana è che ignora i consigli di coloro che egli paga per interpretare l'Occidente. Se il ministro degli Esteri iracheno esorta Saddam ad accogliere Bill Clinton con una campagna accattivante, con l'intento di vedersi revocate le sanzioni economiche dell'Onu, Saddam invece torna ai suoi abituali metodi del "tranquillizza e uccidi".
Sembra che Saddam continuerà a fare piccoli guai, provando a vedere quanto possa farla franca, sempre cercando i modi per riaffermare la sua assoluta sovranità sull'Iraq. Perché no? Se le forze delle Nazioni Unite dovessero rispondere – abbattendo gli aerei a reazione iracheni, distruggendo i suoi missili – egli perderebbe poco. Se le Nazioni Uniti dovessero fargliela passare liscia, Saddam espanderebbe il suo potere. È probabile che le provocazioni irachene diventteranno un aspetto irregolare ma semipermanente della politica mediorientale. Potrebbero continuare per i mesi, anche per gli anni e forse per i decenni a venire.
Gli Usa possono tollerare quest'agitazione convulsa da parte di un tiranno debole. Malgrado siano sgradevoli, le provocazioni di Saddam non minacciano un gran numero di vite né distruggono le scorte petrolifere. Ogni volta che lui fa i capricci noi possiamo metterlo in riga. Anzi, le buffonate di Saddam ci recano dei benefici. Costringono i sauditi e i kuwaitiani a cercare la protezione americana e siamo lieti di disporre le truppe nel Golfo Persico, che controlla tre-quarti delle riserve petrolifere mondiali.
C'è solo un problema più grosso e questo è l'Iran, che sotto il regime di Rafsanjani mostra l'intenzione di dominare il Golfo Persico. Ad esempio, le truppe iraniane sbarcate nel 1992 in tre contese isole del Golfo Persico, hanno espulso alcune centinaia di residenti degli Emirati arabi uniti e hanno dichiarato la sovranità iraniana sulle isole. Teheran ha iniziato a sfruttare un giacimento petrolifero e di gas soprattutto nelle acque appartenenti al Qatar. Solo due mesi fa, un quotidiano di Teheran ha asserito che il Bahrein, un Paese indipendente, fa parte dell'Iran. L'aggressione iraniana spaventa affettivamente chiunque: i Paesi vicini temono di essere conquistati, quelli musulmani si preoccupano per il sostegno che Teheran offre all'Islam fondamentalista e i Paesi industriali si preoccupano per la distruzione delle riserve petrolifere.
Triste a dirsi, ma l'Iraq è il Paese che meglio è adatto a tenere testa all'Iran. E così, come negli anni Ottanta, costruire una forza irachena costituisce il modo più diretto e indolore per i governi mediorientali e occidentali per contenere la belligeranza di Teheran. I Paesi mediorientali che hanno partecipato all'Operazione Tempesta del deserto sono tutti stati lontani dagli attacchi aerei della scorsa settimana perché sono meno interessati a limitare il potere di Baghdad a opporsi all'espansionismo iraniano e più attenti a mantenerlo abbastanza forte da neutralizzare l'espansionismo iraniano.
Naturalmente, trasformare Saddam in un bastione contro l'Iran significa permettergli di riassumere il pieno potere in Iraq. Il che a sua volta ravviva la possibilità che Saddam aggredisca di nuovo i Paesi vicini. Per evitare questa sconfortante prospettiva, l'Occidente ha bisogno di assicurare che l'Iran non acquisisca i mezzi per perseguire le proprie ambizioni. In altre parole, la chiave per controllare l'Iraq sta nel mantenere i controlli sul potenziamento delle forze armate iraniane.
Per fortuna, il Congresso ha approvato la legge sulla non-proliferazione delle armi in Iran e in Iraq del 1992, che impone delle severe restrizioni alle esportazioni a entrambi questi Paesi. Sfortunatamente, gli europei, i russi e i giapponesi vendono a Teheran tutto ciò che vuole, anche i macchinari di duplice uso, la tecnologia nucleare e i sottomarini classe Kirov. A lungo termine, gli aiuti forniti all'Iran daranno a Saddam un'altra opportunità.
Come spesso accade, gli eventi rumorosi e palesi (gli attacchi militari Usa all'Iraq) rivestono minore importanza rispetto a quelli di basso profilo e discreti (la vendita di armi all'Iran). Paradossalmente, è solo contenendo il potere iraniano che a Saddam Hussein potrà essere impedito ancora una volta di diventare una minaccia per i suoi vicini.