Nel suo viaggio di oggi a Damasco, il presidente Clinton corre un grosso rischio diplomatico. Se dovesse lasciare la Siria senza aver ottenuto qualcosa di sostanzioso, la sua visita rafforzerà il potere di uno stato totalitario. Ma se sfrutterà l'opportunità di ottenere degli ottimi risultati, questo potrebbe condurre a un importante passo avanti nel processo di pace arabo-israeliano. E inoltre, ciò potrebbe perfino modificare l'equilibrio delle forze in Medio Oriente.
Il Presidente gode di questa rara opportunità perché Assad sembra essere indeciso in merito a una scelta decisiva che gli si presenta: seguire o meno la strada americana.
La strada americana esige che Assad – che per decenni è stato un giocatore di primo piano nella squadra sovietica – abbandoni le vecchie abitudini, i suoi alleati come pure le politiche di successo, e che lo faccia senza nessuna garanzia che la nuova strada gli servirà meglio. Ventiquattro anni al potere e ora lui deve mitigare la repressione in casa e ridurre la bellicosità all'estero? Questa non è, di certo, una prospettiva allettante.
Nello stesso tempo, l'Occidente ha molto da offrire a ciò che desidera Assad, compresi gli aiuti economici, il denaro per gli investimenti e il commercio. Ha un'enorme influenza sui Paesi vicini con cui Assad ha la maggior parte dei problemi, vale a dire la Turchia e Israele. Washington può offrire una legittimità internazionale al suo regime.
A partire da adesso, le parole e le azioni di Assad evidenziano una profonda ambivalenza riguardo alla scelta da fare. Da una parte, egli si unisce al processo di pace con Israele e sembra negoziare in buona fede. Se disprezza gli accordi tra Israele, l'Olp e la Giordania, evita però di sabotarli. In Siria, ha leggermente schiuso il settore economico e quello politico.
Dall'altra parte, Damasco continua in molte delle sue più riprovevoli abitudini di questi ultimi anni: appoggia decine di organizzazioni terroristiche (la più importante delle quali è il Pkk, un gruppo curdo che semina distruzione in Turchia), dà asilo ai criminali occidentali, traffica in droga e falsifica dollari. Le truppe siriane occupano il Libano. Assad si fa del male per mantenere dei legami stretti con Paesi anti-occidentali come la Libia, l'Iran e la Corea del Nord.
Ma la cosa più inquietante di tutte è che Assad è impegnato in un massiccio rafforzamento militare che fa delle Siria una grande potenza mediorientale. L'arsenale gli offre un'opzione militare specie riguardo ai suoi vicini più deboli (il Libano e la Giordania), ma anche contro quelli più forti (l'Iraq e la Turchia) e perfino contro Israele.
La scelta del governo siriano – con noi o senza di noi – dipenderà in definitiva da un solo fattore: da quello che deciderà Hafez al-Assad. I suoi pregiudizi determineranno la politica. L'interesse nazionale è il suo interesse.
E qual è il suo interesse? Controllare la Siria da vivo e poi passare lo scettro del potere alla sua famiglia e ai suoi correligionari alawiti, dopo la sua morte. Egli deve arrabbiarsi terribilmente a riguardo, perché gli alawiti, una piccola comunità religiosa post-islamica che si trova quasi esclusivamente in Siria, ha una lunga storia di pessime relazioni con la maggioranza musulmana sunnita.
In effetti, una volta che la maggioranza piena di risentimento dei musulmani sunniti arriverà al potere, probabilmente metterebbe in atto una terribile vendetta. In ogni caso, questo è il timore che gli alawiti esprimono in privato. Le guerre recenti in Azerbaijan, Yugoslavia e Ruanda non possono che rafforzare questo presentimento: non solo la carneficina etnica assume vaste proporzioni, ma il mondo esterno non fa nulla per fermarla. Se in Siria inizieranno i massacri, gli alawiti se la sbroglieranno da soli.
Per assicurare la sopravvivenza della sua comunità, Assad governa in modo pragmatico. Egli comanda con la mente e non col cuore, pertanto c'è da aspettarsi che faccia qualunque cosa per rimanere al potere.
Negli anni passati, i mezzi totalitari e l'alleanza con i sovietici rappresentavano, secondo Assad, il migliore meccanismo per sopravvivere. Se mantenere se stesso, la propria famiglia e gli alawiti al potere comporta la necessità di diventare un alleato americano, ebbene, che sia così. Se l'antisionismo non giovasse più ai suoi interessi, egli si recherebbe perfino in visita a Gerusalemme.
Questi cambiamenti così radicali sarebbero in linea con quelli già apportati da Assad. Ad esempio, nel giugno 1976, egli abbandonò i suoi alleati palestinesi di sinistra in Libano e si mise dalla parte dei loro avversari della destra maronita. Pertanto, unirsi alla squadra americana è una chiara possibilità.
Logicamente, il governo americano (e i suoi alleati) dovrebbe trattare la Siria come uno stato canaglia, perché Assad è secondo a Saddam Hussein in Medio Oriente, quando si tratta di reprimere il proprio popolo e di prendersela con i paesi vicini. Ma è un uomo politico straordinario la cui abilità gli permette di farla in barba alle stesse politiche dannose che fanno finire nei guai i leader di minore importanza.
Mentre Saddam e Muammar Gheddafi subiscono l'embargo e i boicottaggi, la Siria di Assad riceve effettivamente dei doni dagli Usa (boeing, veicoli blindati e perfino denaro). Ma la cosa peggiore è che le autorità americane sperano che minimizzare le prevaricazioni di Assad permetterà di creare un'atmosfera amichevole e lo indurrà a migliorare il suo comportamento.
Adesso basta! Washington ha ottenuto poco per la pazienza mostrata e i regali offerti se non delle vaghe promesse e dei miglioramenti reversibili. È arrivato il momento di porre fine a questo approccio e di rimpiazzarlo con una linea politica più decisa. Il presidente Clinton dovrebbe utilizzare il suo tempo a Damasco per esercitare delle pressioni sui siriani affinché questi optino per un'unica direzione da seguire che sia orientata verso l'Occidente. Assad deve porre definitivamente fine al sostegno dato ai gruppi terroristici; deve dare l'alt al traffico di droga, alla falsificazione di denaro e al bizzarro potenziamento delle forze armate; deve fissare una data per ritirare tutte le truppe e i servizi di intelligence dal Libano e impedire l'accesso iraniano a quel Paese; e ancora, deve spiegare in modo chiaro cosa significhi "una pace totale" con Israele, e non deve più fornire nessun appoggio al Pkk e ad altri gruppi ostili alla Turchia. In una sola parola, è arrivato il momento per Assad di comportarsi bene. Oppure può decidere di seguire la sua vecchia linea di condotta, e in tal caso noi dovremo trattarlo come facciamo con Saddam e Gheddafi.
Di fronte a questo ultimatum, Assad potrebbe piegarsi al volere americano. Ma per farlo, innanzitutto occorre che il nostro presidente si trovi di fronte al suo ospite. Ma come lo stesso Bill Clinton ha osservato, Assad è "assai intelligente e molto duro", di conseguenza, questo compito non sarà facile.