L'opinione comunemente accettata è che l'Organizzazione per la liberazione della Palestina sia fondamentale per un accordo di pace arabo-israeliano. Diversi ex-diplomatici Usa nei Paesi mediorientali sostengono questa tesi e tra questi, Robert Neumann, che in passato è stato ambasciatore americano in Arabia Saudita, argomenta che il "contatto con l'Olp è la chiave per aprire la porta [a un accordo]". Hermann Eilts (Egitto) scrive che "è arrivato il momento di parlar con l'Olp". Michael Sterner (Emirati arabi uniti) dice che l'Olp deve essere coinvolta nei negoziati come una delle "vere parti del conflitto". Ma costoro e chiunque creda nell'importanza dell'Olp non riescono a cogliere un importante sviluppo: l'Olp non compare più in un accordo arabo-israeliano. L'attore arabo che conta realmente è la Siria.
L'impotenza dell'Olp può essere dimostrata ponderando le conseguenze di un cambiamento dell'atteggiamento israeliano verso questa organizzazione. Ipotizziamo che Gerusalemme intavoli negoziati con l'ala dell'Olp di Yasser Arafat e le garantisca il controllo esclusivo sulla Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza in cambio di un trattato di pace: Cosa cambierebbe?
Di certo, l'Egitto sarebbe soddisfatto, poiché un accordo tra l'Olp e Israele legittima il suo stesso trattato di pace con lo Stato ebraico agli occhi degli arabi. Molti libanesi reagirebbero altresì in modo favorevole. Ma il governo giordano, amaramente deluso di perdere la lotta per la Cisgiordania, entrerebbe in competizione per esercitare la propria influenza sui territori palestinesi, probabilmente attraverso la sovversione. L'ala dell'Olp contraria ad Arafat, la Libia, l'Algeria e lo Yemen meridionale condannerebbero senza riserve Arafat per aver accettato qualunque cosa fuorché la totale distruzione di Israele – e l'Iraq si unirebbe a loro quando terminerà la sua guerra con l'Iran. L'Arabia Saudita una volta ancora rimarrebbe neutrale.
Ma la cosa più importante è che il governo siriano rifiuterebbe esplicitamente un accordo tra l'Olp e Israele. Damasco già definisce Arafat un "deviazionista" e uno "strumento degli Usa" per aver preso in considerazione i negoziati con Israele. Lo accusa di sprofondare in "una palude di tradimento [e] di resa" e di adottare "i metodi cospirativi contro la questione palestinese". Il presidente Hafez Assad ha apertamente promesso "un appoggio illimitato alle forze nazionali che si oppongono al complotto di Re Hussein e Yasser Arafat". L'operato della Siria – nel 1979, essa ha guidato l'opposizione al trattato di pace dell'Egitto con Israele; nel 1982, ha evitato che la Giordania accettasse il piano di pace di Reagan; ha spaccato l'Olp quando Arafat, agli inizi del 1983, ha mostrato un certo interesse nei negoziati e ha costretto il governo libanese ad abrogare il suo accordo con Israele del maggio 1983 – dimostra come questa minaccia sia molto seria.
Anche se un accordo tra l'Olp e Israele sopravvivesse all'opposizione siriana, il conflitto arabo-israeliano proseguirebbe immutato. La minaccia militare siriana a Israele rimarrebbe forte come sempre. Con le sue 400.000 truppe regolari, con i suoi 650 aerei da combattimento e con circa 4.000 carri armati, la Siria dispone di forze militari più consistenti numericamente di quelle israeliane. La qualità delle sue truppe sta progressivamente migliorando e gli stretti legami con l'Unione Sovietica assicurano un sufficiente rifornimento di armi in caso di guerra.
Né va molto meglio l'azione diplomatica congiunta dell'Olp e della Giordania. Il governo giordano è fragile, le sue forze armate esigue e la sua popolazione è divisa. Se Re Hussein dovesse firmare un accordo con Israele, la Siria e i suoi alleati inciterebbero i palestinesi residenti in Giordania alla rivolta, utilizzerebbero il terrorismo contro gli ufficiali giordani, attaccherebbero ripetutamente il confine settentrionale della Giordania e organizzerebbero dei colpi di stato.
Ma se fosse la Siria a firmare un trattato di pace con Israele? Le conseguenze sarebbero ben diverse. L'isolamento dell'Egitto terminerebbe, i cristiani libanesi rinnoverebbero l'accordo del maggio 1983 con Israele e l'Arabia Saudita si districherebbe con gratitudine dall'intera questione. La Giordania offrirebbe prontamente a Israele un trattato di pace in cambio di parte o dell'intera Cisgiordania, e ipotizzando che Israele accetti, otterrebbe dei confini tranquilli con i suoi quattro Paesi vicini. E il conflitto arabo-israeliano terminerebbe.
Risolto il conflitto, i Paesi vicini non accetterebbero le rivendicazioni territoriali dell'Olp. Priva dell'appoggio da parte dei Paesi arabi chiave, l'Olp scomparirebbe e i palestinesi si insedierebbero tranquillamente ovunque si trovino. La Libia, l'Algeria, lo Yemen e altri Paesi lontani potrebbero continuare a incoraggiare le aspirazioni dell'Olp a distruggere Israele, ma questo non avrebbe nessuna importanza, una volta sistemati l'Egitto, la Giordania e la Siria.
Il conflitto arabo-israeliano si riduce a un conflitto tra la Siria e Israele. La Siria e non l'Olp, prende le importanti decisioni di guerra e di pace. Il conflitto andrà avanti finché la Siria non seguirà altri tre Paesi vicini di Israele e non si rassegnerà all'esistenza dello Stato ebraico; una volta che ciò accadrà lo scontro terminerà rapidamente. La leadership siriana comprende appieno il suo ruolo ostruzionista e si vanta del fatto che "tutti i Paesi [mediorientali] resterebbero in pace" se accettassero gli accordi di Camp David.
Tentare di risolvere il conflitto arabo-israeliano con l'intervento dell'Olp è come cercare di porre fine alla corsa alle armi nucleari attraverso un accordo con la Jugoslavia. Certo, è vero che Belgrado è più amico di Mosca e più soggetto all'influenza americana: ma non possiede armi nucleari e non può porre fine alla corsa agli armamenti. Nello stesso modo, l'Olp non può decidere la posizione araba in merito alla guerra e alla pace. Questo tentativo non è una soluzione, ma una diversione, una falsa pista. Un accordo tra l'Olp e Israele che escluda la Siria non otterrebbe quasi nulla; un accordo tra la Siria e Israele che escluda l'Olp otterrebbe ogni cosa.
Due tratti della politica estera siriana limitano quello che gli Usa possono fare per contribuire a portare a un simile accordo.
Innanzitutto, il presidente Assad controlla una posizione di principale avversario degli Usa in Medio Oriente. Stretti rapporti con la Libia e l'Iran pongono la Siria al centro di un'alleanza responsabile di fatto di tutti gli atti terroristici perpetrati contro gli americani in Medio Oriente, dagli attentati alle caserme dei Marines al dirottamento di un aereo della Twa. I leader siriani non fanno segreto del loro antagonismo. Assad ha detto che "gli Stati Uniti sono il principale nemico" della Siria. Il suo primo ministro ha minacciato: "Se fossi in grado di colpire Washington, lo farei". Le barriere anti-bomba intorno alla Casa Bianca mostrano quanto sia preoccupato il governo Usa.
Piuttosto, Assad fa della Siria l'alleato chiave dell'Unione Sovietica in Medio Oriente. Il presidente siriano ha firmato un trattato di amicizia con Mosca e vota con regolarità alle Nazioni Unite a favore delle truppe sovietiche in Afghanistan. Damasco sta al momento aiutando una coalizione di forze filo-sovietiche a ottenere il potere in Libano. La semitotale identificazione della Siria con gli interessi sovietici limita drasticamente la capacità degli Usa di poter influire sulle politiche di Damasco. Washington ha poche carote o bastoni per la Siria.
In secondo luogo, la bellicosità della Siria verso Israele riceve di gran lunga la maggiore attenzione, e ciò segue uno schema di rivendicazioni territoriali siriane contro tutti i suoi vicini. Assad e altri funzionari spesso chiamano Israele la "Siria meridionale" e promettono l'eliminazione di "falsi confini" tra i due Paesi per creare "un'unica patria". Malgrado la retorica in merito ai diritti palestinesi, Assad aspira a incorporare il territorio di Israele nella Siria.
Lo stesso vale per gli altri vicini. Assad dichiara spesso che la "Siria e il Libano sono un unico Paese" – una pretesa corroborata dal controllo militare siriano di due terzi del Libano. Le mappe ufficiali siriane mostrano che una provincia della Turchia (Alessandretta) appartiene alla Siria. Aerei militari siriani hanno violato lo spazio aereo iracheno per ben tre volte lo scorso mese. Damasco nega l'esistenza stessa di una Giordania indipendente, definendo lo Stato "un'entità artificiale", la sua monarchia "illegittima", e il suo territorio "terra della Siria, parte naturale della Siria".
Una simile malevolenza irredentista in genere denota che un governo ha dei problemi interni e persegue una politica estera aggressiva per distogliere l'attenzione. Tutto ciò che sappiamo della Siria – incluso il massacro di circa 20.000 abitanti di Hama perpetrato nel febbraio 1982 – conferma l'impressione che Assad faccia affidamento sui successi all'estero per ottenere l'appoggio popolare. Ovviamente, un regime con questo tipo di esigenze non reagisce normalmente alle pressioni esterne: che gli Usa riescano a modificare la politica siriana è una prospettiva che sembra molto vaga.
Le relazioni tra la Siria e Israele sono inesistenti e di fatto non possono essere considerate tali. Piuttosto, devono essere viste nel contesto di un anti-americanismo e di un espansionismo siriano. Finché il regime siriano sarà alleato dell'Unione Sovietica e affronterà una vasta opposizione interna, esso trarrà profitto dal mantenere uno stato di guerra con Israele. Anzi, il conflitto lo aiuterà a rimanere al potere. Riformulando questa equazione, il conflitto arabo-israeliano non terminerà finché un governo ben diverso non prenderà il potere a Damasco.