Giungono voci dall'Iraq che Saddam Hussein possa essere disposto a ritirarsi dal Kuwait o almeno da una parte di esso. Ciò rilancia l'allettante possibilità che non ci sarà nessuna guerra nel Golfo Persico e che il grosso delle forze americane tornerà presto a casa, avendo raggiunto lo scopo senza sparare un colpo d'arma da fuoco. Sono in molti a rallegrarsi di un simile esito. Ma un'attenta analisi dimostra che una risoluzione pacifica ora non farebbe altro che procrastinare la battaglia a dopo. Quella che sembra essere una soluzione non-violenta quasi sicuramente porterà una maggiore violenza negli anni a venire.
Saddam Hussein ha molti motivi per evacuare le sue truppe dal Kuwait. La stragrande maggioranza dei governi di tutto il mondo sarà talmente sollevato e compiaciuto di una risoluzione non-violenta che abbatterà le sanzioni economiche contro l'Iraq. Che il Kuwait verrà saccheggiato e depredato, che molti kuwaitiani saranno brutalizzati, violentati e uccisi, beh tutto questo sarà dimenticato. Se Saddam Hussein dirà frasi di circostanza (del genere "Sono stato incastrato dagli americani"), acquisterà perfino un nuovo prestigio a livello internazionale come moderato e come statista.
Ritirare le proprie truppe sarà per lui imbarazzante in seno al Paese, ma a Baghdad i giornalisti di "regime" sanno come descrivere la ritirata facendola passare per una vittoria. Essi possono puntare ai profitti finanziari ottenuti dall'operazione, alla sconfitta del Kuwait o al fatto che la coalizione mondiale non osa affrontare le forze irachene. Probabilmente, si parlerà molto dell'opportunità di prepararsi a un prossimo scontro con Israele. Saddam Hussein è in grado di sopravvivere a questa sconfitta come è sopravvissuto a quelle precedenti.
E se così fosse, ricominceranno di certo i tentativi iracheni di costruire armi chimiche, biologiche e nucleari, come il programma missilistico (che possono alla fine includere i missili intercontinentali), e gli sforzi guidati dagli Usa di limitare il flusso di tecnologia e di armi verso l'Iraq potrebbe sortire qualche effetto, ma i precedenti dimostrano che uno Stato determinato ad acquisire le competenze e gli armamenti per costruire il suo arsenale troverà qualcuno disposto a concludere una vendita.
Si può anche prevedere con sicurezza che Saddam Hussein a un certo punto sarà fortemente tentato a utilizzare il suo arsenale. Il suo sogno è quello di ottenere l'egemonia sulla regione del Golfo Persico e quindi di diventare il più grande leader arabo del XX secolo e una grande potenza sulla scena mondiale. A giudicare dai suoi discorsi, Saddam è ossessionato dal fatto che oltre la metà delle riserve mondiali di petrolio si trovano dentro 600 miglia di confini iracheni. Egli sottolinea ripetutamente che se gli Usa dovessero controllare queste riserve, "controllerebbero il destino" dell'Europa, del Giappone e forse dell'Unione Sovietica.
In altre parole, un ritiro iracheno dal Kuwait prepara la strada a una nuova aggressione. Se non è stato fermato ora, Saddam dovrà essere fermato in seguito.
Anche se uno straordinario corpo di spedizione Usa stazionerà in Arabia Saudita negli anni a venire (un'ipotesi discutibile date le tensioni nell'area), affrontare Saddam Hussein sarà molto più difficile in futuro di quanto lo sia ora. Quando nel 1995 lui distruggerà o invaderà un Paese, gli Stati Uniti non potranno più scegliere, come oggi è loro possibile, tra mettete fuori uso il complesso militare-industriale ed eliminare lo stesso Saddam Hussein. Piuttosto, la risposta degli Usa dovrà essere cauta e indiretta, come lo è stata quando i sovietici invasero l'Afghanistan.
Se la coalizione guidata dagli americani dovesse andare in guerra, la parte più facile arriverà per prima. Non sarà difficile trovare un casus belli plausibile: le barbarie irachene in Kuwait o la detenzione di ostaggi occidentali ne forniscono già uno. Una volta che la guerra avrà inizio, ci sarà un ottimo motivo per pensare che le nostre forze prenderanno rapidamente il controllo dei cieli e che potrebbero distruggere il complesso militare-industriale iracheno.
Poi, le cose diventerebbero più difficili. Se l'offensiva terminasse con dei bombardamenti aerei, Saddam Hussein molto probabilmente rimarrebbe al potere e le sue truppe occuperebbero ancora il Kuwait. Se le truppe di terra si unissero all'attacco alleato, affronterebbero un numero maggiore di forze irachene ben trincerate a difesa della loro patria. E cosa succederebbe, se la nostra parte raggiungesse Basra o anche Baghdad ed eliminasse il regime di Saddam Hussein? La prospettiva delle forze di occupazione americane in Iraq che promuovono la creazione di un nuovo governo a propria immagine susciterebbe una forte ostilità tra alcuni iracheni e in tutto il Medio Oriente, e questa prospettiva probabilmente fallirà.
Ci saranno anche altre difficoltà. Gli impianti Usa e gli stessi cittadini americani potrebbero diventare bersagli della violenza in Medio Oriente. La fragile coalizione internazionale si spaccherà una volta che si ricorrerà all'uso della violenza, e con essa si frantumeranno la maggior parte delle sanzioni economiche contro l'Iraq. Negli Usa, gli isolazionisti a sinistra e a destra si daranno da fare per riportare a casa le truppe.
Tutte queste preoccupazioni sono reali e fastidiose. Ma sono secondarie perché, alla fine, si tratta di avere a che fare con un Iraq relativamente debole o si pensa di dover affrontare un Iraq molto più potente nel giro di pochi anni. Per dire le cose come stanno: o guerra subito o guerra in seguito. I kuwaitiani, i sauditi e gli israeliani hanno fatto una scelta chiara: preferiscono di gran lunga trattare con Saddam Hussein adesso, quando lui non riesce a mantenere il controllo dello spazio aereo iracheno o a lanciare missili nucleari. E hanno ragione.
Ma il presidente Bush non sembra essere sicuro di ciò che vuole fare. Ha inviato un nutrito corpo di spedizione in Arabia Saudita e ostenta una profonda conoscenza del barbaro operato di Saddam Hussein e delle eccessive ambizioni. Bush sembra davvero credere in quello che definisce "un risultato diplomatico". Una simile indecisione è del tutto normale, anzi è perfino gradita perché denota quanto lui sia preoccupato di dover prendere la decisione più fastidiosa per un presidente che è quella di inviare le truppe al fronte. Ma alla fine Bush dovrà prendere una decisione: e questo momento è molto vicino.