Due dibattiti sono scaturiti in seguito al bombardamento americano della Libia della scorsa settimana e che probabilmente s'intensificherà alla luce di quanto osservato lunedì dal presidente Reagan: vale a dire che vari leader europei hanno suggerito di dare una risposta militare Usa più forte al sostegno dato al terrorismo da parte del colonnello Muammar Gheddafi.
Un dibattito riguarda l'opportunità di rispondere al terrorismo impiegando la forza convenzionale; l'altro si preoccupa del modo in cui questa forza dovrebbe essere utilizzata. Per il gusto di discutere, trattiamo con delicatezza la prima questione e presumiamo che l'uso della forza contro la Libia del colonnello Gheddafi sia giustificato e utile. Anzi, consideriamo il modo in cui è stata impiegata il 14 aprile. Quali erano gli obiettivi? La strategia utilizzata è stata corretta? Quali lezioni tratte da quanto accaduto possono essere applicate ai futuri scontri con il colonnello Gheddafi?
La strategia americana è stata spiegata in dettaglio in un certo numero di dichiarazioni espresse dal presidente Reagan, dal segretario di Stato George Schultz e dal segretario alla Difesa Caspar Weinberger. Per la circostanza, i tre uomini si trovano pubblicamente d'accordo su tutti i punti critici.
In breve, i tre sostengono che gli Usa avevano deciso di utilizzare la forza in modo "proporzionato" alle azioni libiche. Il segretario Weinberger ha notato che si sta "inviando un chiaro segnale a Gheddafi". Tutti e tre hanno sottolineato che i bersagli scelti per l'attacco sono in qualche modo collegati al terrorismo e che è stata espressa l'intenzione non solo di punire il colonnello Gheddafi per le azioni passate, ma anche di ridurre la sua capacità di lanciarsi in future aggressioni.
Le loro dichiarazioni spiegano chiaramente che gli Usa risponderanno agli atti del colonnello Gheddafi intensificando le pressioni: aumentando i costi dei danni che dovrà sostenere ogni volta che lui sponsorizzerà degli attacchi contro gli americani. Se Gheddafi dovesse desistere, farà così anche l'America; ma se dovesse continuare, il danno inflitto aumenterebbe. Qui la filosofia portante è quella della "risposta proporzionata" o dello "incrementalismo" , una strategia che ha svolto un ruolo ampio e importante nell'impegno Usa in Vietnam.
A un primo sguardo, la risposta proporzionata sembra essere ineccepibile. Colpire le infrastrutture terroristiche minimizza gli obiettivi politici e riduce il numero delle vittime, mentre la minaccia di un'intensificazione dell'uso della forza dà al colonnello Gheddafi un chiaro avvertimento che le sue azioni cattive non saranno più a lungo tollerate.
Ma gli svantaggi della risposta proporzionata superano i benefici. L'esperienza americana in Vietnam ha dimostrato che l'incrementalismo non dissuaderà un dato nemico. Al contrario, questa strategia funge da restrizione unilaterale sulle azioni Usa, quasi a garantire al nemico i mezzi sufficienti per continuare i suoi sforzi bellici. Per sua natura, la risposta proporzionata offre al nemico la scelta del momento, del luogo e delle armi. La nostra incapacità di scoraggiare il Vietnam del Nord dal continuare il conflitto dovrebbe essere rammentata.
In secondo luogo – e questo è un punto molto sottile – l'incrementalismo mette l'accento sui "messaggi" politici a scapito degli obiettivi militari. E ancora, l'esperienza del Vietnam dovrebbe servire da monito. Come ha mostrato Stephen Peter Rosen in un articolo del 1982 pubblicato nella rivista International Security, i leader americani di frequente scelgono delle azioni volte a inviare dei segnali al nemico, e non a sconfiggerlo. Ad esempio, un rapporto del NIE (National Intelligence Estimate) del maggio 1964 ha ammesso che bombardare e al contempo negoziare con Hanoi "non colpirebbe gravemente il potenziale dei comunisti in modo da farli desistere dal proseguo dell'insurrezione", ma in una certa misura colpirebbe la volontà di Hanoi, indicando le intenzioni americane.
Rosen osserva che l'effetto di un simile pensiero è consistito in ciò: "concentrarsi sull'invio di segnali ha distolto l'attenzione dal cercare delle misure militari che potevano essere efficaci". Gli strateghi americani hanno trascurato il problema militare di come vincere la guerra terrestre. La scelta dei bersagli in Libia (che sono stati scelti per inviare un messaggio al colonnello Gheddafi, senza però danneggiare le sue risorse) sta a indicare che queste idee screditate non sono affatto obsolete.
In terzo luogo, l'incrementalismo minaccia di spingere il nemico tra le braccia sovietiche. Più di quanto facessero un mese fa, i dirigenti libici oggi devono contemplare la possibilità di concedere delle basi all'Unione Sovietica. Se lo scontro con gli Usa dovesse continuare, il regime libico cercherà armi più sofisticate, un maggiore sostegno politico e altre forme di appoggio sovietico, e sarà più disposto a soddisfare qualsiasi richiesta Mosca gli farà in cambio. Le navi sovietiche sarebbero oggi ancorate nella baia vietnamita di Cam Ranh, se non fosse stato per la politica dell'incremantalismo attuata dagli Usa in Vietnam?
In quarto luogo, l'incremantalismo è insostenibile. A meno di una guerra totale con il colonnello Gheddafi, gli americani discuteranno ogni risposta separatamente. Un astuto avversario degli Usa sa che l'appoggio interno per la linea dura decisa dall'Amministrazione verrà meno se le aggressioni continuano. Ma sa anche che gli Stati Uniti non possono rispondere a ogni aggressione contro un americano in Europa o in Medio Oriente con un attacco aereo sulla Libia. Già una base della Guardia costiera americana ha subito un attentato e un americano presente a Khartoun, in Sudan, è stato ucciso, senza che vi sia stata un risposta repentina e decisa di cui avevano parlato i funzionari americani.
E per finire, le incursioni aeree mirate non sono poi così mirate come si vorrebbe. Che siano state causate da un F-111 che non rispondeva più ai comandi o da missili antiaerei, il danno collaterale nelle città libiche è stato più ingente del previsto. Con ogni probabilità, le operazioni future comporteranno costi simili. Ciò indebolisce la possibilità di una risposta controllata e depone a favore di un minor contenimento..
Molti alleati Usa sembrano avere delle riserve su una risposta proporzionale. Secondo il presidente Reagan, alcuni leader europei hanno asserito che la risposta contro il colonnello Gheddafi non è stato un raid veloce, ma "una vera e propria azione importante" che sarebbe stata un'esercitazione congiunta con uno o più alleati europei degli Stati Uniti.
Con l'aiuto degli alleati o meno, la prossima volta gli Usa dovrebbero fronteggiare un nemico come il colonnello Gheddafi, distruggendo il suo potenziale militate, paralizzando le sue strutture economiche, braccando la leadership del suo regime e così via.
Ovviamente, questo solleverebbe più obiezioni fra coloro che sono contrari all'uso della forza. Ma che differenza farebbe? Per molti, il semplice fatto di tornare all'uso della forza è riprovevole: il numero delle bombe sganciate e il loro scopo è una riflessione secondaria. Inoltre, se lo sforzo americano dovesse avere successo, metterebbe a tacere di fatto tutte le obiezioni. Le clamorose reazioni all'invasione dell'isola di Grenada si sono placate nel giro di un giorno o due, quando gli Usa hanno avuto la meglio e i combattimenti sono terminati. E così sarebbe anche in Libia.
La menzione di Grenada evidenzia un secondo vantaggio per un attacco letale contro il regime di Gheddafi: pur essendo la Libia un vasto Paese desolato, quasi tutte le abitazioni si trovano a poche miglia dalle coste. La Libia è funzionalmente un'isola, assai vulnerabile alla forza militare Usa nel Mare Mediterraneo.
Fino ad oggi, la Libia non ha beneficiato della diretta tutela sovietica. Le navi sovietiche hanno ovviamente lasciato le acque libiche quando hanno intravisto la possibilità di un attacco aereo americano. Per quanto gli amici della Libia scaglino fulmini, c'è poca probabilità che qualcuno si metta nei guai per il colonnello Gheddafi.
Come Grenada, la Libia è insolitamente vulnerabile alla forza americana. Sarebbe un terribile errore concludere da questi due casi che gli Usa possono causare rapidi sovvertimenti politici ovunque desiderino, ma simili casi esistono. Là dove esistono e dove un esecrabile governo minaccia gli interessi americani si dovrebbe trarre pieno profitto dalla nostra fortuna.