La diffusa avversione che imperversa fra gli arabi in Cisgiordania e a Gaza nei confronti di Yasser Arafat è probabilmente il risultato più sorprendente dell'accordo tra Israele e l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). I suoi modi prepotenti e autocratici li fanno allontanare mentre le sue ipocrite pretese di democrazia ("Noi siamo la sola vera oasi democratica della regione araba") li irritano. Per esprimere la sua costernazione, ad esempio, Hanan Ashrawi ha di fatto lasciato l'Olp per dar vita a un'organizzazione di diritti umani che controlla le attività di Arafat.
Come spiegare questa improvvisa antipatia verso Arafat? In parte, ciò ha a che fare con il suo nuovo ruolo rafforzato. Per venticinque anni, gli abitanti della Cisgiordania e di Gaza hanno avuto una vaga immagine del "vecchio uomo" come un benevolo leader patriottico. Solo dopo il 13 settembre 1993 hanno avuto a che fare con lui come faccendiere e quello che hanno scoperto su di lui – l'egoismo, la mania di potenza, la meschinità – non l'hanno accettato. Un funzionario dell'Olp che aveva avuto dei contrasti con Arafat ha denunciato la sua "paranoia del potere".
Anche in parte, la collera contro Arafat deriva da una lunga esperienza con Israele: ed è questo l'argomento del mio articolo. Malgrado la retorica infiammata sull'occupazione "crudele" e "brutale", gli abitanti della Cisgiordania e di Gaza hanno assistito e imparato ad apprezzare il funzionamento di una democrazia liberale. Hanno visto come lo stato di diritto funziona; come i cittadini scelgono i loro leader; le sottigliezze della società civile e l'importanza dei diritti delle minoranze. La profonda conoscenza di Israele incide sul loro punto di vista riguardo una personalità dispotica come quella di Arafat.
È interessante notare che l'apprezzamento palestinese di Israele non è cominciato il 13 settembre. Già da qualche anno, i nemici più acerrimi dello Stato ebraico si esprimono pubblicamente sulle sue virtù politiche. Le loro dichiarazioni si dividono in due categorie: quelle che elogiano Israele affermando che esso è migliore dei regimi arabi e quelle che riconoscono che esso protegge i palestinesi da se stessi.
[Lo Stato ebraico è]Migliore dei regimi arabi. Talvolta i palestinesi ammettono che preferiscono vivere sotto il controllo israeliano piuttosto che sotto quello dei loro fratelli arabi.
Le tribolazioni del Kuwait dopo la sua liberazione dagli iracheni hanno evidenziato il contrasto fra lo stato di diritto in Israele e il dispotismo dei Paesi arabi. In Lines in the Sand, Deborah Amos cita un palestinese residente in Kuwait che non usa mezzi termini: "Ora ho l'impressione che Israele sia un paradiso. Adesso amo gli israeliani. So che ci trattano come degli esseri umani. La Cisgiordania è migliore (del Kuwait). Almeno, prima che gli israeliani ti arrestino, ti consegnano un documento". Con meno esuberanza, Yasser Arafat è d'accordo con questa opinione, dicendo: "Ciò che il Kuwait ha fatto per il popolo palestinese è peggiore di ciò che è stato fatto da Israele ai palestinesi nei Territori occupati". L'espulsione dal Kuwait di 300.000 palestinesi ha evidenziato un altro fatto saliente: Israele espelle degli elementi criminali e non intere comunità. Nel 1991, un quotidiano pro-Olp ha riassunto questi sentimenti osservando che "In Kuwait, i palestinesi ricevono un trattamento ben peggiore di quello riservatogli dai loro nemici, gli israeliani."
E il Kuwait non è l'unico problema. La Siria potrebbe essere ancora peggio. Middle East Watch osserva, ad esempio, che i palestinesi in Siria vengono incarcerati in una percentuale venti volte maggiore rispetto a quella dei siriani. Anche Ahmad Jibril, un dirigente palestinese che vive a Damasco, ammette che "qui, in Siria, sono 300.000 i palestinesi che non riescono a farsi ascoltare". Per questi e altri motivi, Salah Khalaf (alias Abu Iyad) dichiarò nel 1983 che i crimini commessi dal regime di Hafez Assad contro il popolo palestinese "superano quelli del nemico israeliano". Due anni più tardi, ai funerali di un personaggio dell'Olp assassinato su istigazione della Siria, Arafat si rivolse al morto dicendo: "I sionisti nei Territori occupati hanno tentato di ucciderti, e non essendoci riusciti ti hanno deportato. Ma i sionisti arabi rappresentati dai dirigenti di Damasco hanno pensato che ciò fosse insufficiente, così sei caduto come un martire".
Generalizzando a proposito dei regime arabi, un dirigente dell'Olp osserva: "Non abbiamo più paura degli israeliani né degli americani, a dispetto della loro ostilità. Ma ora temiamo i nostri 'fratelli arabi'". E non sono soltanto parole: in diverse occasioni, i palestinesi hanno trovato rifugio in Israele dai loro fratelli arabi. Nel 1970, ad esempio, sono sfuggiti alle forze giordane attraversando il fiume Giordano e passando in Cisgiordania.
Proteggere i palestinesi da se stessi. Dal momento che l'intifada è degenerata in veri e propri omicidi fratricidi (e pertanto è stata definita "intrafada"), i dirigenti dell'Olp hanno sempre più accettato la mano ferma di Israele. Il capo della delegazione palestinese durante i negoziati di pace arabo-israeliani ha fatto questa rilevante osservazione (secondo una trascrizione ufficiosa di una riunione del Consiglio centrale dell'Olp, pubblicata nel quotidiano di Beirut As-Safir): "Si può pensare che una famiglia sarebbe felice di sentire bussare alla propria porta nel bel mezzo della notte dall'esercito israeliano?" Ha poi proseguito dicendo: "Quando a Gaza sono iniziate le lotte intestine, la gente è stata felice che l'esercito israeliano abbia imposto un coprifuoco".
Talvolta i palestinesi ammettono che la vita sotto l'occupazione israeliana è preferibile a quella che condurrebbero sotto uno Stato palestinese indipendente. Dal momento che la politica palestinese assume una sfumatura fondamentalista, i musulmani laici e i cristiani trovano la libertà di religione di Israele sempre più allettante. Il settimanale francese L'Express riporta quanto asserito da un palestinese cristiano che spiega che quando ci sarà uno Stato palestinese, "l'unione sacra contro il nemico sionista avrà fine. Sarà il momento di saldare i conti. Subiremo la stessa sorte dei nostri fratelli libanesi o dei copti in Egitto. Mi rattrista dirlo, ma le leggi israeliane ci tutelano".
Ancora una volta, questi sentimenti pro-Israele non sono delle mere parole. In quello che potrebbe essere un preludio degli eventi a venire in Cisgiordania e a Gaza, parecchi palestinesi sono fuggiti in Israele nel 1982 per evitare di essere in balia dell'Olp in Libano.
In breve, a parole e a fatti perfino i palestinesi antisionisti ammettono che Israele è lo Stato più civilizzato del Medio Oriente.