Come era prevedibile, il tanto atteso momento di crisi dell'Egitto è arrivato, le ribellioni popolari stanno scuotendo i governi in tutto il Medioriente e l'Iran si trova come mai prima di ora al centro dello scacchiere regionale. I suoi governanti islamisti intravedono, infatti, la possibilità, in questo caos, di dominare l'area mediorientale. Ma le rivoluzioni sono difficili da mettere a segno e sono convinto sia che i fondamentalisti non riusciranno a effettuare un ampio sfondamento del Medioriente sia che Teheran non emergerà come il giocatore chiave di questa contesa. Ovviamente dietro questa mia conclusione ci sono molte riflessioni. Di seguito le principali.
Tahrir Square al Cairo, il 25 gennaio scorso. |
Quinto punto: esercito contro moschee. I recenti avvenimenti confermano che due poteri, le forze armate e gli islamisti, dominano una ventina di Paesi mediorientali: l'esercito controlla il popolo grazie alla forza e gli islamisti offrono una visione. Le eccezioni esistono: una sinistra vivace in Turchia, fazioni etniche in Libano e in Iraq, la democrazia in Israele, il controllo islamista in Iran. Ma lo schema sopra descritto è ampiamente la norma. La sesta riflessione riguarda l'Iraq, che è il Paese più instabile della regione, l'Iraq e pur tuttavia non è teatro delle manifestazioni di protesta perché la sua popolazione non fa fronte a un'autocrazia vecchia di decenni.
Settima analisi: è possibile un golpe militare? Gli islamisti desiderano bissare il loro successo in Iran sfruttando il malcontento popolare per assumere il potere. L'esperienza della Tunisia ci induce a un attento esame dello schema che potrebbe essere reiterato ovunque. La leadership militare tunisina ha concluso che il suo uomo forte, Zine El Abidine Ben Ali, era diventato troppo difficile da accontentare – specie con l'ostentata corruzione della famiglia di sua moglie – per poter conservare il potere, così lo ha rimosso e, per sicurezza, ha spiccato un mandato di cattura internazionale per lui e la sua famiglia. Fatto questo, quasi l'intera vecchia guardia è ancora lì al suo posto, con il capo di Stato Maggiore Rachid Ammar a rimpiazzare Ben Ali come intermediario del Paese. La vecchia guardia spera che ritoccare il sistema, garantendo più diritti civili e politici, le garantirà di conservare il potere. Se questa mossa avrà successo la manifesta rivoluzione di metà gennaio finirà per essere un vero e proprio colpo di stato.
Il generale Omar Suleiman: sarà il quarto governante militare dell'Egitto dal 1952? |
Ottava considerazione: la politica americana. Il governo Usa ha un ruolo fondamentale nell'aiutare il Medioriente a transitare dalla tirannia alla partecipazione politica senza che gli islamisti assumano il controllo del processo rivoluzionario. Nel 2003, George W. Bush ha avuto l'idea giusta di chiedere che venisse avviato un processo di democratizzazione, ma ha rovinato questo tentativo chiedendo dei risultati immediati. Barack Obama ha inizialmente ripreso la vecchia politica fallita del comportarsi bene con i tiranni, ma ora si è schierato con gli islamisti contro Mubarak. Obama dovrebbe emulare Bush, facendo però un lavoro migliore, vale a dire comprendere che la democratizzazione è un processo a lungo termine che richiede la necessità di instillare delle idee intuitive riguardo alle elezioni, alla libertà di parola e alla supremazia della legge.