La morte dell'Ayatollah Ruhollah Musavi Khomeini sta a significare che la sua visione rivoluzionaria ed eccentrica dell'islam si è molto indebolita, e che questa è una buona notizia per la maggioranza del popolo iraniano. Ed è una meravigliosa notizia anche per gli americani. Ironia della sorte, una delle poche persone che hanno motivo di piangere la sua scomparsa è lo scrittore Salman Rushdie.
Khomeini è arrivato al potere poco più di un decennio fa, nel febbraio 1979, e anche a suo giudizio, l'esperienza con l'islam fondamentalista di tipo radicale che ha avuto luogo in Iran potrebbe ben difficilmente essere considerata di successo. In patria, la leadership non ha mai compreso esattamente a cosa una società rivoluzionaria islamica dovrebbe assomigliare: le controversie sulla ripartizione delle terre e sul ruolo del capitale non solo hanno consumato ingenti energie, ma non sono mai state del tutto risolte. I leader concordano su un'unica cosa: la necessità di imporre le norme islamiche, e con la forza se necessario. Questo lo hanno fatto con entusiasmo, ignorando la forte opposizione di un gran numero di persone, comprese le donne e le minoranze.
Khomeini aveva anche meno da mostrare in politica estera. A dire il vero, fu Saddam Hussein dell'Iraq a dare inizio alla guerra del Golfo nel settembre 1980. Ma le forze iraniane passarono all'offensiva nel luglio 1982, e fu Khomeini che continuò a combattere per altri sei anni. La guerra, che è costata un tributo di circa 300.000 vite umane e innumerevoli miliardi di dollari, è terminata con un infamante insuccesso per Khomeini, che ha paragonato la decisione di accettare il cessate il fuoco a "bere del veleno". Ma a suo parere la cosa peggiore consistette nel fatto che il dedicare così tante risorse a questa guerra significava limitare la diffusione della rivoluzione in Libano e in Afghanistan.
La dipartita del vecchio leader 86enne mette fine alla rivoluzione permanente dell'ultimo decennio; con ogni probabilità, comincerà adesso un'era di moderazione e di ricostruzione. Lo sbandamento nella politica iraniana che ha esordito nel 1979 dovrebbe ben presto avere fine, con il ritorno della popolazione a una vita più normale. La buona notizia per gli iraniani è che il Lenin dell'islam è morto; e la sua visione totalitaria dell'islam non potrà essere loro imposta molto più a lungo.
Non c'è niente di sorprendente riguardo a questa evoluzione. Due secoli di rivoluzione hanno mostrato che le ambizioni che hanno scosso il mondo falliscono sempre, che i leader visionari muoiono e la disillusione rimpiazza la fede. L'idillio con il comunismo sta naufragando sotto i nostri occhi, e probabilmente farà seguito il fascino dell'islam fondamentalista.
In effetti, esistono dei paragoni sorprendenti fra la situazione odierna dell'Iran e la Cina del 1976 al momento della morte di Mao Tse-Tung. Sia Mao che Khomeini sono state le figure politiche più anziane, più influenti e più radicali del loro Paese. Ognuno aveva una sagacia alquanto spiccata e un'autorità trascendentale che non potevano essere trasmesse.
In fin dei conti, i due sono stati isolati dai loro partigiani e delusi nei loro tentativi di trovare un successore che avesse le loro stesse idee. In Iran non c'è alcun potenziale leader (con la possibile eccezione di Ali Akbar Mohtashemi, il ministro dell'Interno) dotato di una sagacia neppur lontanamente simile a quella di Khomeini – e di certo, non Ali Khamenei, il presidente dell'Iran e ora successore di Khomeini.
Malgrado ricopra una posizione elevata, Khamenei è poco noto agli americani, in gran parte perché ha avuto un ruolo minore negli affari esteri. Tuttavia, nelle questioni interne ha avanzato delle pretese economiche da moderato ed è stato il principale paladino dei mercanti dei bazar nei consigli di Stato. Dunque è improbabile che l'uomo ai vertici del Paese abbia voce in capitolo nella lotta contro i radicali della politica estera guidati da Mohtashemi e Ahmed Khomeini, figlio del defunto Ayatollah. A quanto pare quest'ultimo è stato scelto come successore del padre solo perché non è un personaggio controverso, il che suggerisce a certi osservatori che forse non è che una figura di transizione.
La notizia è stata altresì ben accolta dagli americani. Se l'anti-americanismo è diffuso fra i leader iraniani, nessuno di essi, tuttavia, ne è affetto in una forma assai virulenta come lo era il vecchio uomo. Gli americani possono aspettarsi meno terrorismo contro di loro e che vi siano maggiori probabilità di rilascio per gli ostaggi in Libano. I rapporti fra Washington e Teheran non possono che migliorare, e quasi certamente sarà così, poiché i due Paesi condividono parecchi interessi.
Tuttavia, permettetemi una nota di prudenza. Non occorre che Washington invii dolci, Bibbie o armamenti a Teheran. Gli iraniani verranno a noi quando sono pronti a farlo. E non lo saranno per un certo periodo di tempo, perché nessun politico vuole essere accusato di tradire il patrimonio di Khomeini.
E per finire, una parola su Salman Rushdie, autore de I versetti satanici e vittima della "sentenza" di morte emessa da Khomeini a febbraio. Le cose per lui peggioreranno. Solo Khomeini avrebbe potuto abrogare l'editto, e non lo ha fatto. Ora, con la sua morte, l'editto è stato inciso nella pietra e reso immutabile. Alcuni dei seguaci più ferventi di Khomeini possono vedere l'esecuzione di Rushdie come il modo estremo per rendere omaggio al loro maestro defunto.