La creazione di uno Stato palestinese è un risultato scontato in senso formale, ma non nei suoi elementi essenziali. Il 4 maggio Yasser Arafat annuncerà la nascita di uno Stato ed esso sarà riconosciuto da un numero crescente di governi in tutto il mondo. Ma uno Stato palestinese potrà essere diverso dall'Autorità palestinese solo se esso controllerà la politica estera e la difesa. In questo senso, lo Stato palestinese sarà formalistico, e non reale. Fino a quando Israele non lo riconoscerà, esso resterà un guscio vuoto.
Quando sarà proclamato uno Stato, i risultati saranno estremamente negativi per i palestinesi come per gli israeliani. Questa evidente violazione degli accordi di Oslo causerà un ulteriore indebolimento dei rapporti economici e un intensificarsi della violenza. La proclamazione di uno Stato palestinese probabilmente aggraverà i grandi scismi della politica israeliana: fra Destra e Sinistra e fra laici e religiosi, portando a una politica dello Stato ebraico ancor più instabile su tale questione.
In questo caso, come in tanti altri, gli Usa e Israele sono più importanti degli altri 180 Paesi. Spero che essi non rifiuteranno soltanto di riconoscere lo Stato palestinese, dicendo apertamente ad Arafat e all'Autorità palestinese che una dichiarazione unilaterale costerà cara ai palestinesi. Il prosieguo dei negoziati rappresenta l'alternativa sensata ad una dichiarazione unilaterale d'indipendenza. Le questioni da discutere sono spinose e il processo andrà per le lunghe; non ci può essere alcuna data arbitraria per la conclusione dei negoziati, poiché ciò costituirebbe per i palestinesi un puro e semplice invito a temporeggiare. Perché i negoziati abbiano successo, il processo deve proseguire fino alla sua naturale conclusione.