Ora che ci si avvicina al termine dell'offensiva israeliana nella Striscia di Gaza, occorrerà pensare al dopo. Qualche giorno fa, il direttore del Middle East Forum, Daniel Pipes, aveva lanciato una provocazione sul Jerusalem Post, ripresa poi in Italia dal quotidiano Liberal. In uno slogan, per risolvere il problema palestinese, propone di incorporare Gaza all'Egitto e la Cisgiordania - detta anche la West Bank - alla Giordania. Ma non è solo fantasia, spiega Pipes a Libero, perché «nessuno vuole procrastinare la situazione iniziata nel 1967, quando le Forze di difesa israeliane assunsero il controllo di una popolazione diversa a livello religioso, culturale, economico e politico, nonché ostile». E «vista la reciproca antipatia che intercorre tra le due popolazioni», anche «la prospettiva di uno Stato congiunto israelo-palestinese (quella che Muammar Gheddafi chiama "Israstina") è assurda».
"Due popoli, due Stati", quindi, è un obiettivo utopico?
«Più un incubo che un'utopia. Come ho scritto qualche giorno fa, una mistura tossica di anarchia, estremismo ideologico, antisemitismo, jihadismo e dittature ha ucciso l'idea di uno Stato palestinese, nata nel 1993 a seguito degli accordi di Oslo».
Significa che non si deve più considerare realizzabile nessuna road map per la Palestina?
«La road map non va da nessuna parte».
Ma come aveva funzionato tra il 1948 e il 1967 il governo condiviso tra Giordania ed Egitto?
«Non fu certo un grande successo, ma alla luce dei risultati ottenuti da Hamas e dall'Au - torità Nazionale Palestinese, appare sicuramente un buon risultato».
Ma Il Cairo cosa avrebbe da guadagnare da una soluzione del genere?
«Almeno sotto il governo di Hosni Mubarak, guadagnerebbe poco. Lo stesso presidente egiziano ha annunciato un anno fa che "Gaza non fa parte dell'Egitto, né lo sarà mai". Ma la sua non è l'ultima parola. Innanzitutto, malgrado le parole di Mubarak, gli egiziani in massa desiderano avere un forte legame con Gaza. Inoltre Hamas concorda e anche i leader israeliani talvolta sono d'accordo. Pertanto, la base per una revisione della linea politica esiste. In secondo luogo, indubbiamente Gaza fa più parte dell'Egitto rispetto alla "Pale - stina". Durante la maggior parte del periodo islamico, era controllata dal Cairo oppure faceva parte a livello amministrativo dell'Egitto. I residenti della Striscia di Gaza parlano un arabo colloquiale identico a quello parlato dagli egiziani del Sinai. A livello economico, Gaza ha il maggior numero di legami con l'Egitto. La stessa Hamas deriva dai Fratelli musulmani, un'organizzazione egiziana. Forse è il momento di pensare agli abitanti della Striscia di Gaza come egiziani».
E la Giordania?
«Amman, invece è sempre stata ansiosa di controllare la Cisgiordania. Nel 1950 la annesse entusiasticamente e abbandonò le sue rivendicazioni solamente sotto minaccia nel 1988. Ora dà segni di ripensamento. E anche la burocrazia israeliana si è mostrata disposta ad accettare questa idea, chiedendo di tanto in tanto alle truppe giordane di entrare in Cisgiordania».
Quindi, secondo lei la Giordania è la Palestina?
«No. Semmai il contrario: la Palestina è la Giordania. Significa cioè che la Giordania governa la Palestina».
E a chi spetterebbe prendere l'iniziativa?
«Alle Nazioni Unite, alla Lega Araba. A Israele, se forzasse la mano all'Egitto, trasformando la Striscia di Gaza in un'estensione della penisola del Sinai».
Come?
«Un anno fa, il 30 gennaio del 2008, la Suprema corte israeliana aveva stabilito che il governo può ridurre le forniture di carburante ed energia elettrica a Gaza. E questo potrebbe rendere possibile una scorciatoia. Se Israele annunciasse una data in cui termineranno gli approvvigionamenti idrici, l'erogazione di elettricità, le forniture di cibo e medicinali, e altri scambi commerciali, allora il Cairo dovrebbe assumersi la responsabilità di Gaza. Tra gli altri vantaggi, ciò lo renderebbe responsabile della sicurezza degli abitanti di Gaza, mettendo definitivamente fine alle migliaia di razzi e di attacchi a colpi di mortaio».
Non ci sono altre opzioni possibili?
«Sì, un governo israeliano, l'anarchia, la soluzione di un unico Stato. Ma sono tutte molto peggiori».
Invece, per Israele sarebbe accettabile la rinuncia alla Striscia e alla Cisgiordania?
«Credo che sarebbe accettabile per la maggior parte degli israeliani».