Daniel Pipes, direttore del Middle East Forum di Filadelfia e già consulente della Casa Bianca, non ci sta per passare come colui che nega che l'islam non sia riformabile. Traccia però un percorso complesso il cui approdo non è detto sia vincente. In Italia per i Colloqui di Venezia della Fondazione di Liberal, Pipes apre la seconda giornata del convegno ("La guerra in Iraq. La sfida dell'Iran"), tenendo una lezione sulle prospettive sulle contrapposizioni fra il cosiddetto islam moderato, «debole e scarsamente rappresentato» e «l'islamismo », mix letale di religione e totalitarismo. «È questo il nemico da battere e l'Occidente deve rendersi conto che c'è una guerra in atto».
Pipes vede distinzioni di metodo ma sintonia sull'obiettivo finale «fra l'islamismo violento di Benladen e la presunta moderazione di Erdogan». Cui sferra un attacco diretto: «Leggiamo il suo programma e guardiamo la Turchia: chi può essere certo che il premier non stia portando avanti un piano di islamizzazione?».
Nel mirino del politologo finisce anche la frenesia con cui Bush – dice incontrando Avvenire a margine dei lavori – parla di democrazia e invoca elezioni nel mondo arabo.
Cosa non la convince dell'approccio Usa?
L'Amministrazione è intrappolata in una contraddizione fra le spinte per la democratizzazione del Medio Oriente e l'esigenza di stabilità. Quello che era un contrasto teorico sta oggi avvendo ripercussioni sul piano politico e operativo e Bush ha perso la bussola.
Il fatto che il presidente abbia atteso oltre 24 ore prima di formalizzare la posizione Usa su quanto stava accadendo in Pakistan è la conseguenza di questa confusione?
È il paradigma. Non conosco le motivazioni delle esitazioni di Bush, ma l'Amministrazione ha gestito malissimo la vicenda. Indecisa fra Bhutto e Musharraf e tesa solo a chiedere elezioni.
L'Amministrazione le ritengono il sale della democrazia...
Ciò vale per un Paese con una lunga tradizione ed educata alla democrazia, non nei luoghi dove questa non ha radici o dove il pericolo islamista è in agguato. Quest'ultimo è il caso del Pakistan. La democrazia è qualcosa che deve essere insegnato, è un processo lungo e non ci si può illudere che bastino i seggi e le urne. Prima bisogna che si imponga il rispetto delle minoranze, la libertà di culto, la proprietà, il primato del diritto.
Quando ci furono le elezioni nei Territori palestinesi la Rice si schierò per permettere ad Hamas di partecipare...
Altro errore gravissimo.
Ma al Dipartimento di Stato erano convinti che Hamas non avrebbe vinto...
Doppio errore. I gruppi terroristici non possono essere ammessi a far parte di un processo democratico.
Come giudica l'idea della Conferenza di pace di Annapolis?
Inutile, non porterà a nulla. C'è una guerra in corso fra i palestinesi: cosa può dare Abu Mazen ad Israele?
L'altro grande nodo è il nucleare iraniano. Si discute ancora di sanzioni. Saranno abbastanza per fermare Ahmadinejad?
Se saranno ampie serviranno a ritardare un attacco militare.
Lo considera quindi inevitabile?
Ue e Russia hanno detto a Teheran che non avrebbero tollerato l'atomica. Ma senza successo. Quando gli israeliani hanno colpito le installazioni siriane non c'è stata nessuna reazione né militare né in fondo diplomatica. Ecco, ciò rende più probabile un blitz israeliano in Iran.