Governare le riottose correnti delle idee nutrite dai rifugiati politici non è mai agevole, specie per il gruppo di opposizione iraniano conosciuto come Mujahedeen-e Khalq (MEK) o Mujahedeen del Popolo dell'Iran (PMOI). Detto con parole semplici, il regime dello stato petrolifero canaglia cui esso si oppone terrorizza metà dei paesi occidentali e istiga l'altra metà; e lo stesso MEK è accusato di essere un obsoleto gruppo terroristico marxista-islamista.
Ma questi ostacoli non hanno impedito al MEK di sbandierare che l'islamismo costituisce la nuova minaccia globale, fornendo importanti informazioni di intelligence all'Occidente (ad esempio, in merito al programma nucleare iraniano), spaventando il regime di Teheran e organizzando solenni dimostrazioni di solidarietà anti-regime.
Partecipanti al raduno del Mujahedeen-e Khalq, organizzato il 30 giugno alle porte di Parigi, hanno accolto con clamore Maryam Rajavi. |
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Il meeting ha suggerito diverse osservazioni. Innanzitutto, l'eccellente allestimento, dal sapore di una convention politica americana (palloncini e coriandoli che cadono dai travetti, una sequenza televisiva della leader che arriva in corteo), era principalmente rivolto a un pubblico esterno al parco, specie iraniano.
In secondo luogo, la manifestazione aveva due evidenti obiettivi: rammentare agli iraniani che esiste un'alternativa alla teocrazia odierna, oltre che esercitare pressioni sulla Unione europea per rimuovere il MEK dalla lista delle organizzazioni terroristiche. Per gli iraniani, la parte musicale includeva la presenza di graziose ragazze che indossavano abiti occidentali (per loro, audaci). Per gli europei, volutamente includeva "Le chant des partisans" (Il canto dei partigiani), l'inno della Resistenza francese durante la Seconda guerra mondiale.
In terzo luogo, nella minuziosa analisi fatta dalla Rajavi non c'era alcuna menzione né degli Stati Uniti né di Israele, qualcosa di estremamente insolito per un importante discorso sulla politica mediorientale. Né la Rajavi ha fatto alcuna allusione alle idee cospirative, un cambiamento ben accetto per le idee politiche iraniane.
E per finire, nessun altro gruppo di opposizione in tutto il mondo è in grado di allestire una esibizione di forza così imponente come è capace di fare il MEK, con migliaia di sostenitori, molti dei quali giovani, e una rosa di candidati in cui emergono nomi non privi di una certa qualifica.
Giovani cantanti al raduno del Mujahedeen-e Khalq, organizzato il 30 giugno alle porte di Parigi. Molti dei partecipanti indossavano degli indumenti con la scritta "Abbiamo scelto Maryam Rajavi", un'allusione alla leader del MEK. |
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Ahimé, gli occidentali attualmente non possono lavorare con il MEK, a causa della decisione presa nel 1997 dall'amministrazione Clinton, alla quale fece seguito cinque anni dopo quella dell'Unione europea, di offrire un contentino ai mullah e dichiarare il MEK un gruppo terroristico, ponendolo ufficialmente sullo stesso piano di organizzazioni come Al-Qaeda, Hamas e Hezbollah. Paulo Casaca, un membro portoghese del Parlamento europeo, osserva che "funzionari da entrambe le sponde dell'Atlantico hanno ufficialmente dichiarato che l'unico motivo per il quale il gruppo si trovava in cima alla lista del terrorismo americano consisteva nell'inviare un ‘segnale di buona volontà' al regime iraniano".
Ma il MEK non costituisce alcun pericolo per gli americani e per gli europei, e questo da decenni. Esso rappresenta un pericolo per il malefico e bellicoso regime teocratico di Teheran. L'utilità del MEK per i paesi occidentali è riflessa nell'inconsistente e perfino contraddittorio atteggiamento tenuto nei decenni passati dal governo americano nei confronti del gruppo. Un divertente esempio risale all'ottobre 2003, quando il segretario di Stato americano Colin Powell scrisse, utilizzando toni pungenti, a Donald Rumsfeld, allora ministro della Difesa, per ricordargli che i 3.800 soldati del MEK presenti a Camp Ashraf, in Iraq, avrebbero dovuto essere trattati come prigionieri e non come alleati.
Ma non ci sarà nulla di divertente quando la presenza americana in Iraq diminuirà e migliaia di membri disarmati del MEK saranno lasciati in balia del regime filo-Teheran di Baghdad. Tardivamente, l'amministrazione Bush ha bisogno di compiere tre passi. Innanzitutto, permettere che i membri del MEK lascino Camp Ashraf in tutta sicurezza e in rispetto dei diritti umani. In secondo luogo, rimuovere l'organizzazione dalla lista terroristica, inducendola a lanciare una sfida alla Repubblica islamica dell'Iran. In terzo luogo, sfruttare quella smisurata paura che il regime nutre nei confronti del MEK.
Come Patrick Clawson ed io suggerimmo quattro anni or sono: "Per dissuadere i mullah dal compiere dei passi ostili (appoggiare il terrorismo contro le truppe di coalizione in Iraq, costruire armi nucleari), sarebbe altamente efficace da parte degli Stati Uniti minacciarli attraverso incontri con il MEK oppure fornire aiuto alla campagna pubblicitaria contraria al regime".
Il che continua ad essere un ottimo consiglio, ma non si possono attendere altri quattro anni.