«Non è stata una mossa politica utile o astuta per il futuro dell´Iraq, ma umanamente e moralmente questa esecuzione era un passo necessario. Saddam Hussein era un mostro, e meritava questa morte e forse anche di peggio». Il giudizio di Daniel Pipes è come sempre netto. Il direttore del Middle East Forum di Philadelphia, studioso di questioni mediorientali e punta di diamante del movimento neoconservatore americano, sostenitore di tesi controverse sul conflitto Islam-Occidente, traccia sulla morte di Saddam una linea decisa: la pena capitale era l´unico esito possibile del processo all´ex dittatore iracheno (peraltro da lui considerato un inutile prologo), anche se il popolo iracheno non necessariamente ne beneficerà.
Professor Pipes, l´esecuzione di Saddam Hussein aiuterà o ostacolerà il processo di pace in Iraq?
«Non aiuterà la pace. Probabilmente la morte di Saddam porrà un ulteriore ostacolo alla riconciliazione tra le fazioni che attualmente si fronteggiano in Iraq, tra sciiti e sunniti in particolare. Ma non dobbiamo trattarlo come un atto politico. Non c´era alternativa all´esecuzione».
Una scelta obbligata o anche auspicabile?
«Obbligata ma soprattutto moralmente e umanamente necessaria. Per le famiglie delle vittime della dittatura, soprattutto, che così ricevono un risarcimento emotivo per le loro sofferenze, l´unico possibile. Stiamo parlando di un uomo che era un mostro storico e meritava questa morte, se non anche qualcosa di peggio. Era una chance di giustizia che non andava mancata».
Alcuni giuristi ritengono che la rapidità dell´esecuzione abbia danneggiato la possibilità di ristabilire completamente la verità storica degli anni della dittatura attraverso il processo. Un´esecuzione troppo rapida, e un processo incompleto.
«Non sono d´accordo. Il problema è proprio il processo: non ce n´era bisogno. I crimini di Saddam sono conosciuti, e in più parliamo di fatti avvenuti 25 anni fa. Da Norimberga in poi, i processi ai leader politici hanno tutti questo difetto di fondo: non sono adeguati alla portata degli eventi. Non so quale procedimento sarebbe stato appropriato nel caso di Saddam, ma certo il processo non serviva a niente. E poi i sostenitori di Saddam - perché ce ne sono ancora in giro - non sarebbero mai stati contenti, qualsiasi forma il processo avesse assunto».
Da cosa pensa sia dipesa la tempistica dell´esecuzione e la sua rapidità?
«Mi ha sorpreso, non pensavo che l´esecuzione sarebbe avvenuta così in fretta. Ma questo dimostra la totale autonomia del governo iracheno. E´ considerato un governo fantoccio, e per buoni motivi vista la massiccia presenza militare americana. Ma su scelte fondamentali, dalla gestione del petrolio ai rapporti con l´Iran fino a questa esecuzione, gli iracheni dimostrato di voler compiere scelte autonome, che a volte vanno anche contro gli interessi americani».
Pensa che la morte rapida di Saddam non giochi in alcun modo in favore di Bush?
«Bush ha di fronte un problema più generale, che è la strategia americana in Iraq. E su questo è prevedibile che non molto cambierà. Sarà annunciato l´invio di un maggior numero di truppe, ma purtroppo le scelte tattiche sembrano destinate a rimanere le stesse, e secondo me sono sbagliate: gli Usa non avrebbero dovuto assumere fin dall´inizio la responsabilità della sicurezza in Iraq. Avrebbero dovuto dispiegarsi nel deserto e ai confini e non nelle città. Questa strategia ci è costato finora molte morti e molti soldi, e saremmo ancora in tempo a cambiarla ma non credo che avverrà. In questo contesto, non credo che la morte di Saddam avrà un impatto politico particolare. E´ più che altro un atto dovuto per le vittime. E´ la vittoria dell´umanità contro le forze del male».