È stato finalmente risolto il grande mistero aleggiante intorno "alle armi di distruzione di massa" irachene. La risposta laconica in merito all'interrogativo "Che fine hanno fatto quelle armi?" è la seguente: a causa dell'incessante mole di menzogne dette da Saddam Hussein nessuno gli credette quando egli all'ultimo momento, in realtà, rimosse le armi di distruzione di massa.
In un avvincente rapporto voluminoso, diffuso dal Joint Forces Command del Pentagono, dal titolo Iraqi Perspectives Project, i ricercatori americani hanno pubblicato i risultati di un sistematico studio biennale sulle forze e sulle motivazioni che influenzarono Saddam Hussein e il suo regime. Ben scritto, storicamente inquadrato e zeppo di particolari salienti, il rapporto concorda con la magistrale descrizione di quel regime fatta da Kanan Makiya nel suo volume Republic of Fear. (Per una versione sintetica del rapporto si legga il numero di maggio-giugno di Foreign Affairs).
Il documento mostra come, parimenti alla Germania di Hitler o alla Russia stalinista, l'Iraq di Saddam fosse un paese in cui la realtà era imprevedibilmente distorta. In particolare, a metà degli anni Novanta Saddam ebbe un cambiamento, sviluppando un delirante senso del suo stesso genio militare, anzi della sua infallibilità. In questo mondo fantastico, la fede e la bravura dei soldati contano molto più della tecnologia o degli equipaggiamenti. Disprezzando le performance militari americane dal Vietnam all'Operazione Desert Storm e dalla Somalia ai Balcani, il tiranno considerò gli americani come un nemico codardo e spregevole.
E inoltre, in quello stesso periodo, Saddam iniziò a esigere solo buone notizie, isolandosi spesso dalla dura realtà. Dal momento che sempre meno subalterni osavano contraddire le intuizioni del loro capo, la sua risolutezza fece scempio all'esterno del palazzo presidenziale, seminando distruzione nell'intero governo iracheno e oltre. Kevin M. Woods, autore principale del rapporto Iraqi Perspective Project, insieme ai quattro co-autori, osserva che: "A partire dalla metà degli anni Novanta, la maggior parte di coloro che erano vicini agli ambienti legati al regime riconobbero che ciascuno mentiva a tutti gli altri". Inganni, raggiri e sotterfugi venivano rafforzati ed elaborati; come ha asserito un generale dell'aviazione militare: "Un (ufficiale) mentiva a un altro, dal primo luogotenente in su, finché la bugia non raggiungeva Saddam".
L'ampio credito dato alle stupidaggini dette dal Ministro iracheno dell'Informazione (beffardamente soprannominato Baghdad Bob dai giornalisti occidentali) – dal momento che egli deliziava il mondo con vivaci resoconti delle vittorie irachene – era sintomatico del fatto che nessuno realmente sapesse cosa stava accadendo nel paese; "secondo i dirigenti iracheni, Baghdad Bob era prodigo nel riferire le notizie da loro ricevute dal fronte". Un comandante della milizia confessò di essere rimasto "del tutto sbalordito" nell'imbattersi in un carro armato americano a Baghdad.
Lo stesso dicasi per l'infrastruttura militare-industriale. Innanzitutto, il rapporto spiega che per Saddam "la semplice emanazione di un decreto era sufficiente per fare il piano d'azione". Secondariamente, per paura di perdere la vita, chiunque fosse coinvolto forniva dei bollettini sull'andamento dei lavori. In particolare, "gli scienziati dicevano sempre che la prossima arma mirabolante era vicinissima". In un ambiente del genere, chi poteva conoscere la reale situazione delle armi di distruzione di massa? Perfino Saddam, "quando si era lì lì per avere le armi di distruzione di massa, non conosceva appieno la verità".
Il dilemma strategico dell'Iraq complicò ulteriormente le cose. Resosi conto che dando un'immagine debole dell'Iraq ciò avrebbe costituito un invito a lanciare un attacco – specie da parte dell'Iran – Saddam preferì far sì che il mondo pensasse che egli fosse in possesso di armi di distruzione di massa. Ma alla fine Saddam capì che per respingere l'attacco della coalizione avrebbe dovuto convincere gli Stati occidentali che il suo regime non era affatto in possesso di quelle armi. Poiché le forze della coalizione erano pronte a entrare in guerra alla fine del 2002, Saddam decise di cooperare con le Nazioni Unite per provare che il suo paese non aveva armi di distruzione di massa, dal momento che egli asseriva che lo faceva "per non fornire al Presidente Bush un qualsiasi pretesto per muovere guerra".
Ironia della sorte, questo momento di lucidità fu vittima dei suoi numerosi tentativi di raggirare le Nazioni Unite; le mosse irachene per conformarsi al regime delle ispezioni sortirono l'effetto paradossale di confermare i dubbi dell'Occidente in merito al fatto che la cooperazione fosse un espediente. Ad esempio, intercettati ordini "di rimuovere ogni traccia dei precedenti programmi di armi di distruzione di massa" furono travisati ed equiparati a un altro stratagemma, piuttosto che essere considerati come tali.
I tardivi tentativi di Saddam di essere trasparente si rivelarono controproducenti, portando a ciò che gli autori del rapporto definiscono come "un comma 22 diplomatico e di propaganda". Ne seguì un'enorme confusione. Una volta catturati, gli alti ufficiali iracheni continuarono per parecchi mesi – dopo l'inizio della guerra del 2003 – "a credere che fosse possibile (…) che ancora l'Iraq fosse in possesso di armi di distruzione di massa nascoste da qualche parte". Non c'è da meravigliarsi che le agenzie di intelligence della coalizione mancarono il colpo di scena finale e inaspettato in un dramma di lunga data. Né quelle agenzie né i politici occidentali hanno mentito; Saddam fu il malvagio impostore i cui raggiri alla fine confusero e misero a repentaglio chiunque, incluso lui stesso.