[Nota di Daniel Pipes: Questo articolo replica a un editoriale apparso su USA Today dal titolo "Ballot box gains for Hamas pose dilemma for U.S. allies" (una vittoria elettorale di Hamas pone gli alleati degli Stati Uniti davanti a un dilemma). L'editoriale argomenta a favore della possibilità di trovare il modo di indurre Hamas "a costruirsi una nuova immagine più che presentabile". Per una riflessione complementare sulle elezioni palestinesi, vedere l'articolo del weblog "Thoughts on Hamas' Ascendance" (riflessioni sull'ascendente di Hamas).]
Dal momento che Hamas, il gruppo terroristico islamista, rimonta i sondaggi e non si esclude la possibilità che entri a far parte dell'Autorità palestinese o che arrivi perfino a guidarla, i governi di tutto il mondo devono decidersi a manifestare le loro reazioni.
Un numero crescente di voci chiede il riconoscimento di Hamas, arguendo che gli imperativi di governo l'ammansirebbero, ponendo fine alla sua vocazione omicida (ha ucciso circa 600 israeliani) e trasformandolo in un gruppo di cittadini responsabili. Perfino il presidente Bush affrontò questo argomento all'inizio del 2005: "C'è una positiva conseguenza nel candidarsi alle elezioni. Può darsi che qualche candidato dica: ‘Votate per me, non vedo l'ora di distruggere l'America' (…) Non penso sia così. Credo che la gente che in genere si candida alle elezioni dica piuttosto: ‘Votate per me, non vedo l'ora di risolvere i vostri problemi o di assicurarvi il pane quotidiano'".
Ma i precedenti storici confutano questa "pothole theory of democracy". Mussolini faceva circolare i treni in orario. Hitler costruiva autostrade. Stalin spalava la neve e Castro riduceva la mortalità infantile – senza che nessuno di questi totalitaristi abbia rinunciato al proprio zelo ideologico né alle ambizioni grandiose. Anche gli islamisti in Afghanistan, Iran e Sudan hanno governato senza diventare mansueti. Se occorressero altre prove di ciò, si osservino i tentativi iraniani di costruire armi nucleari in un fervore apocalittico.
Hamas potrebbe aver assunto un esperto per migliorare la sua immagine in Occidente, ma la sua leadership asserisce con franchezza di non avere alcuna intenzione di apportare cambiamenti. Nel rispondere alla domanda se Bush avesse ragione a credere che il dialogo degli Stati Uniti con Hamas indurrebbe alla moderazione il gruppo terroristico, Mahmoud Zahar, uno dei fondatori di Hamas, dichiarò divertito che questa tattica "non avrà successo". Negli ultimi giorni, Zahar ha reiterato pubblicamente che Hamas intende ancora distruggere Israele.
Fortunatamente, la politica americana è fermamente risoluta: "Non abbiamo trattato con Hamas e non desideriamo trattare con i membri di Hamas che verranno eletti", chiosa Stuart Tuttle, portavoce dell'ambasciata americana in Israele. Il che è un ottimo punto di partenza. L'ideale sarebbe non avere a che fare con un'Autorità palestinese che annoveri Hamas nella sua leadership.
È stato un errore permettere a Hamas di partecipare alle elezioni. Come al-Qaeda, Hamas andrebbe distrutto, non legittimato, e men che meno corteggiato.