Qui di seguito è riportata la trascrizione leggermente modificata delle osservazioni introduttive formulate da Daniel Pipes, seguita da uno scambio di domande e risposte.
È un grande piacere essere qui con un nuovo episodio del podcast del Middle East Forum, la cui serie è stata da me lanciata quattro anni fa, nel marzo 2020. Questa è la prima volta che torno in veste di relatore solista.
Ho appena finito di scrivere un libro sul conflitto israelo-palestinese, pertanto, seguo con particolare interesse ciò che è accaduto dopo il 7 ottobre 2023. Vorrei affrontare cinque questioni che trovo alquanto sconcertanti e che cercherò di chiarire. Ne esaminerò quattro abbastanza rapidamente e mi soffermerò su quella finale.
Primo punto: cosa c'è che non va nell'esercito israeliano e, più in generale, nel suo apparato di sicurezza? Com'è potuto accadere qualcosa come il 7 ottobre? Risposta: l'apparato di sicurezza sionista e poi quello israeliano (l'esercito, l'intelligence, le forze dell'ordine) hanno subito un rapido declino nell'ultimo mezzo secolo. I sionisti erano molto intelligenti e assai abili, pur disponendo di pochi mezzi. Quanto agli israeliani, vinsero una straordinaria guerra di indipendenza nel 1948-1949, in seguito riportarono nel 1967 quella che fu probabilemente la vittoria più sbilanciata della storia moderna.
La famosa foto che mostra i paracadutisti israeliani in piedi accanto al Muro Occidentale dopo aver preso Gerusalemme Est. (Foto: David Rubinger) |
Da allora, più di mezzo secolo fa, si sono indeboliti. Notoriamente, nel 1973, non riuscirono a vedere cosa arrivava dalla Siria e dall'Egitto. Seguirono altri terribili problemi. Nel 1993, furono firmati gli Accordi di Oslo, che non avevano alcun senso poiché trasformavano il nemico più violento e veemente di Israele nel suo vicino semisovrano. Nel 2005, il ritiro da Gaza consentì al nemico di prenderne il controllo. L'apparato di sicurezza israeliano non è più quello di una volta. E così, quanto accaduto nel 2023 non rappresenta uno shock così grande dopo gli eventi del 1973, del 1993 e del 2005. Questo establishment necessita di un impulso reale, come quello appena ricevuto, per riconoscere i suoi problemi profondi.
In secondo luogo, se gli israeliani hanno reagito al 7 ottobre parlando molto di vittoria, discorsi che erano musica per le mie orecchie, sono poi rapidamente tornati ad un approccio non finalizzato alla vittoria. Sono tre mesi che assistiamo a questa inversione di marcia. Per fare un esempio, sebbene in retrospettiva i lavoratori di Gaza siano considerati delle spie, gli israeliani hanno senza indugio consentito l'ingresso nel Paese a circa 6 mila lavoratori della Cisgiordania, i quali presumibilmente potrebbero essere anch'essi delle spie. Il governo israeliano ha deciso di inviare denaro all'Autorità Palestinese. Ha rabbonito il Qatar accettandolo come mediatore. Ha fornito a Gaza carburante e acqua. Ha ignorato la minaccia rappresentata dalla costruzione di edifici in Cisgiordania. Si parla di consentire alla leadership di Hamas di fuggire da Gaza e stabilirsi altrove, magari in Qatar o in Turchia. C'è stata un'impennata nel sostegno elettorale non a favore di coloro che sono intenzionati a porre fine alla presenza di Hamas, ma a beneficio di chi è più moderato e meno determinato a vincere.
Pertanto, non ravviso alcun cambiamento fondamentale. Come negli Stati Uniti, dopo l'11 settembre (2001), si diceva "Tutto è cambiato", così anche in Israele, dopo il 7 ottobre. Ma io non credo che sia cambiato tutto.
Il senatore John Fetterman (democratico della Pennsylvania) nei corridoi di un edificio che ospita uffici del Senato. |
Ma poi col passare del tempo la simpatia per Israele si è erosa, mentre quella per Hamas è aumentata. C'era profonda preoccupazione che Israele facesse quello che hanno fatto gli Stati Uniti e i loro alleati contro l'ISIS: entrare ed eliminare il nemico. Gli israeliani perdono continuamente sostegno.
Quarto punto. Hamas ha una logica esclusiva. Non conosco nessun esempio storico paragonabile a esso. Hamas cerca morte e distruzione. Non cerca di vincere sul campo di battaglia, ma di perdere. Vuole che le persone che governa siano danneggiate, bombardate, sfollate, affamate, uccise. Utilizza gli abitanti di Gaza come carne da macello, ma non il solito tipo di carne da macello che attacca il nemico allo scoperto. Questa è carne da macello che soffre.
Si può vedere quanto Hamas sia diverso da Hezbollah in Libano o dall'Autorità Palestinese in Cisgiordania, entrambi molto più convenzionali. Essi valutano, guardano, creano problemi, fanno i furbi e non vogliono essere distrutti. Nel 2006, Hezbollah uccise tre israeliani e ne catturò altri due: il che portò ad una guerra totale. Subito dopo quella guerra, il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, disse: "Se ci fosse stato anche solo l'1 per cento di possibilità che l'operazione di cattura dell'11 luglio avrebbe portato a una guerra come quella che è avvenuta, l'avrei fatto? Direi di no, assolutamente no".
Pensava che ci fosse un accordo sul fatto che le cose potessero essere lasciate covare sotto la cenere, e in effetti ora è così. C'è qualcosa di latente tra Hezbollah e Israele. Hezbollah sta attento a non provocare, si guarda bene dal non impedire che gli F-35 sorvolino il Libano e bombardino gli obiettivi. Hamas non sta attento. Hamas vuole morte e distruzione.
La Cisgiordania sotto l'Autorità Palestinese è molto più attenta di Hamas. Mahmoud Abbas fa il furbo. Lavora con gli israeliani qui e li uccide là, ma sta attento. Non vuole essere bombardato. Non vuole essere destituito. Non vuole essere martellato come sta accadendo a Hamas.
Hamas è il solo a voler perseguire questa logica del risultare perdente per guadagnarsi la simpatia dei suoi alleati, in particolare degli islamisti di tutto il mondo e della Sinistra in generale, soprattuto dell'estrema Sinistra. E ciò funziona in una certa misura. Come ho appena detto, il sostegno a Israele si è eroso negli ultimi tre mesi.
L'ultimo punto sul quale mi soffermerò è provare a capire gli alleati di Hamas. Si sono impegnati in una campagna difficile da comprendere, particolarmente aggressiva e che sembra controproducente. Così, gli attivisti pro-Hamas negli Stati Uniti hanno interrotto parate, come quella del Giorno del Ringraziamento a New York, o quella del Rose Bowl, a Pasadena. Hanno intralciato il traffico, bloccato le principali vie di accesso ad aeroporti come LAX e JFK. Hanno paralizzato Manhattan un lunedì mattina, bloccando i ponti e un tunnel, creando il caos. Hanno attaccato le celebrazioni cristiane, tra cui un concerto di canti natalizi finalizzato a raccogliere fondi per non vedenti, a Melbourne, in Australia, e una festa di Natale organizzata dagli attivisti democratici, a Detroit. Hanno attaccato l'esercito americano. Creano problemi alle basi dell'aeronautica. La mattina di Natale hanno fatto una "serenata", intonando orribili canzoncine davanti alla casa di Lloyd Austin, segretario alla Difesa degli Stati Uniti. Si sono resi odiosi.
Gli amici di Hamas hanno interrotto il traffico sulla Van Wyck Expressway che porta all'Aeroporto internazionale Kennedy. |
Su un altro piano, gli Houthi stanno facendo lo stesso nel Mar Rosso, rendendosi odiosi. Hanno poco da guadagnare dall'interruzione del commercio mondiale. Non hanno nulla da guadagnare dal costringere le navi a circumnavigare il Corno d'Africa anziché il Canale di Suez. Quello che fanno sembra senza contropartita. Inoltre, le milizie appoggiate dall'Iran in Siria e in Iraq hanno attaccato le forze statunitensi più di cento volte nei cento giorni successivi al 7 ottobre, sferrando più di un attacco al giorno.
Pertanto, tra queste buffonate di scena in Occidente e questi attacchi letali lanciati in Medio Oriente, cosa sta succedendo? Queste azioni ostili sono autoindulgenti o fanno parte di qualche strategia intelligente?
Evidentemente gli alleati di Hamas non cercano di conquistare nuovi amici. Piuttosto, stanno imitando la tattica del martirio di Hamas per ottenere il sostegno degli islamisti e della Sinistra. Mentre i jihadisti in genere desiderano vincere sul campo di battaglia, Hamas inizia consapevolmente guerre contro un nemico più potente, desiderando essere sconfitto e rivendicando lo status di vittima. La distruzione e la morte ne aumentano l'attrazione. [Hamas] Trae benefici politici, nonostante le sue scarse prestazioni militari.
In questo spirito, anche i gruppi occidentali e mediorientali aspirano a conquistare simpatia e sostegno diventando martiri. Feste di Natale, sfilate di partite di footbal, blocco del traffico a New York e davanti alla Casa Bianca spingono la polizia ad arrestare e magari a picchiare i manifestanti. Gli attacchi al trasporto marittimo globale e gli attacchi alle forze americane provocano una risposta da parte degli Stati Uniti.
Pertanto, massacrare israeliani, destabilizzare il commercio mondiale e causare disagi al traffico automobilistico degli americani non sono l'obiettivo primario, ma un mezzo per provocare militari israeliani e statunitensi e ottenere nuovo sostegno a favore di Hamas e dei suoi sostenitori. Tuttavia, questo mette tutto a rischio. Il massacro del 7 ottobre mette a repentaglio l'esistenza di Hamas e anche altre organizzazioni corrono rischi simili.
Domande e risposte
D: La soluzione dei due Stati è sostanzialmente morta e sepolta? È sempre stata una fantasia occidentale?
R: Non credo che sia morta e sepolta. Sì, è vero. Adesso è una chimera, dato che l'Autorità Palestinese e ogni altro gruppo palestinese mirano alla distruzione di Israele. Ma un giorno, qualora ci fosse una vittoria israeliana e una sconfitta palestinese, se i palestinesi rinunciassero ai loro obiettivi negazionisti, sì, che potrebbero esserci due Stati. Ciò non sarà dunque possibile a breve, ma è concepibile come una possibilità astratta.
D: Gli obiettivi israeliani per la guerra contro Hamas sono realistici alla luce della politica mondiale e dell'ideologia di Hamas radicata a Gaza?
R: Abbiamo tutti chiesto la distruzione e l'eliminazione di Hamas, me compreso, fin dall'inizio. E ora, cento giorni dopo, è poco chiaro cosa significhi esattamente. Credo che ciò significhi (1) porre fine al controllo di Hamas su Gaza e (2) ridurre o forse addirittura eliminare i suoi finanziamenti da parte degli Stati. Le sue idee vivranno ancora, ma l'organizzazione no. Quindi no, non penso che sia illusorio. È realistico e gli israeliani sono determinati a farlo. Solo due giorni fa, il primo ministro Netanyahu ha tenuto un discorso in cui ha affermato: "Siamo sulla strada verso la vittoria e non ci fermeremo finché non la otterremo". Sembrano determinati. Buon per loro.
D: Data la geopolitica, Israele può davvero sottrarsi al vassallaggio agli Stati Uniti?
R: Vassallaggio è un termine forte. Gli Stati Uniti sono una gran potenza, la grande potenza. Israele è un Paese piccolo: 330 milioni di abitanti contro 10 milioni. Israele non può costruire i propri aerei da combattimento, le proprie navi militari e così via dicendo. Israele ha bisogno di alleati, e in particolare degli Stati Uniti, ma è in corso una contrattazione. Gi israeliani possono contrattare non solo per denaro, ma anche per influenza. Gli israeliani hanno alternative a cui possono ricorrere. Gli Stati Uniti hanno bisogno di Israele. Non è solo Israele ad aver bisogno degli Stati Uniti. Il Medio Oriente è al centro del mondo. È un'area molto instabile. Non c'è nessun altro Paese nella regione che condivide i nostri valori e con il quale abbiamo un'alleanza strategica. La Turchia una volta era così, ma non negli ultimi vent'anni. Pertanto, Israele è solo in Medio Oriente. Non vedo il vassallaggio. Si tratta di tensioni insite in un'alleanza tra una grande potenza e una piccola potenza.
Soltanto gli Stati Uniti continentali sono leggermente più grandi di Israele. |
D: Cosa spingerebbe gli Stati Uniti a chiedere la resa di Hamas invece di un "cessate il fuoco"?
R: Gli Stati Uniti sono diventati un alleato militare attivo di Israele, ovviamente. Negli ultimi giorni gli Stati Uniti hanno ucciso un certo numero di Houthi e attaccato diverse installazioni Houthi nello Yemen. Questi fatti non sono stati presentati come qualcosa di utile per Israele, ma piuttosto come una misura favorevole alla libertà di navigazione. Ma, in realtà, gli Stati Uniti e Israele sono dalla stessa parte e la loro alleanza si è rafforzata. Inoltre, in ottobre, una nave americana ha abbattuto missili lanciati dallo Yemen verso Israele, cosa mai accaduta prima. Quindi le cose stanno cambiando e, anche se c'è riluttanza da entrambe le parti, israeliana e americana, a prendere atto di ciò che ho appena detto, la nuova realtà esiste.
D: Lei ha affermato che l'apparato di sicurezza ha favorito Israele mentre gli islamisti e la Sinistra hanno offerto il loro sostegno a Hamas. L'apparato di sicurezza rimarrà saldamente al fianco di Israele o cederà alle pressioni islamiste e della Sinistra?
R: Fondamentalmente ci sono tre gruppi. Il primo, quello anti-israeliano (per inciso, non uso la parola filo-palestinese, perché non è affatto filo-palestinese: è anti-israeliano), che è principalmente islamista e di Sinistra, come Jeremy Corbyn, ad esempio, il quale si è unito allo sforzo del Sudafrica nella causa intentata da quest'ultimo contro Israele davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aia [CIG in italiano, N.d.T.]. Poi ci sono coloro che sostengono fortemente Israele, incrollabili nel loro sostegno. Infine, ci sono quelli nel mezzo che si sentono sotto pressione. Joe Biden è un esempio perfetto. Istintivamente è favorevole a Israele, ma molti in seno al Partito Democratico sono ostili a Israele. Pertanto, Biden cerca di avere entrambe le cose, tentando di accontentare ambedue le parti. Le missioni diplomatiche di Antony Blinken rispecchiano la confusione di questa posizione.
Non è chiaro dove finirà questo gruppo intermedio, che comprende molti governi occidentali. Anche se è rimasto sostanzialmente al fianco di Israele, fornendo armi e, di fatto, schierandosi militarmente con Israele, ha però vacillato, e la sua convinzione non è più quella di tre mesi fa. Tuttavia, esiste ancora e, a mio avviso, i fatti indicano che questo gruppo intermedio rimarrà fedele a Israele, sebbene con riluttanza.
D: Alla luce di ciò che sappiamo ora sulla portata, l'estensione e la complessità della città sotterranea e dei sistemi di tunnel a Gaza, come è stato possibile svilupparli senza che l'intelligence israeliana ne fosse a conoscenza?
R: Gli israeliani sapevano dei tunnel, che chiamavano la "metropolitana" [della Striscia di Gaza]. Ciò che non sapevano era che Hamas era pronto ad attaccare, come ha fatto il 7 ottobre. Avevano l'impressione che Hamas si stesse stabilizzando e diventando sempre più un'autorità governativa, perdendo così il suo fervore rivoluzionario. Hamas ha assecondato questa convinzione e l'ha incoraggiata. Gli israeliani erano ciechi riguardo a ciò che vedevano. Hanno visto la realtà, come indicano numerosi rapporti sugli israeliani nell'esercito, ma l'alto comando era cieco di fronte ad essa. Era un problema concettuale, non un problema di intelligenza. È simile al problema concettuale che avevano gli israeliani nel 1973, quando presumevano che Anwar Sadat non avrebbe attaccato finché non avesse avuto aerei più avanzati. Lo presumevano, quindi, non vedevano cosa sarebbe successo a causa del "concetto o [errore concettuale]", in ebraico conceptzia. Avevano una conceptzia allora e ne hanno avuto un'altra adesso.
D: La Corte Internazionale di Giustizia sembra essere anti-israeliana in linea di principio. Come dovrebbe rispondere Israele, indipendentemente da qualsiasi decisione della Corte Penale Internazionale?
R: Gli israeliani stanno facendo la cosa giusta, vale a dire farsi portare avanti la loro causa da qualcuno con una buona reputazione internazionale. Potrebbero benissimo perdere, ma non so quanto ciò sia consequenziale. Ancora una volta, ci sono tre gruppi: quelli che sostengono Israele, quelli che si oppongono a Israele e quelli nel mezzo che non sono abbastanza sicuri della posizione da assumere. Tutta l'attenzione è focalizzata sull'ultimo gruppo. Sarà influenzato dalla Corte dell'Aia? Sarà influenzato dalla copertura mediatica? Col passare del tempo, il divario tra le fazioni pro e anti-Israele si riduce. Sempre più persone, soprattutto negli ultimi tre mesi, hanno preso posizione e hanno la consapevolezza delle proprie idee. La mia opinione, ad esempio, non verrà scalfita dal verdetto della Corte Internazionale di Giustizia, e probabilmente nemmeno la sua. Il numero di persone le cui opinioni saranno influenzate dal verdetto della Corte dell'Aia probabilmente non è così elevato.
D: Se la Corte Internazionale di Giustizia si pronunciasse contro Israele, è possibile che tutti i funzionari, i ministri, persino il Primo Ministro, vengano arrestati quando si recano all'estero?
R: Non sono il tipo che parla di cavilli giuridici, ma una sentenza della CIG contro Israele potrebbe complicare la vita degli israeliani nei Paesi che accettano quel verdetto. Presumibilmente, gli israeliani sanno di quali Paesi si tratta e, probabilmente, sono Paesi in cui comunque non vorrebbero recarsi.
D: Qual è la posizione della Cina in tutto questo?
R: La Cina ha ormai da decenni ottimi rapporti con Israele, ma le cose si sono gravemente deteriorate. TikTok, il social media cinese, è fortemente antisemita e il governo cinese si schiera sempre più dalla parte delle forze anti-israeliane, in particolare dell'Iran. La Cina sta uscendo dalla zona neutrale per entrare in una ostile. E ciò ha perfettamente senso: gli Stati Uniti sono vicini a Israele, pertanto, alla Cina non piace Israele.
Mahmoud Abbas, presidente dell'Autorità Palestinese, è stato salutato da una guardia d'onore durante la sua visita al presidente cinese XI Jinping, nel giugno 2023. |
D: Come fa Israele a riportare a casa in vita le persone rapite?
R: Minimizzerei l'enfasi sulla questione degli ostaggi e non li metterei al centro dell'attenzione pubblica, piuttosto mi concenntrerei sulla vittoria. Il modo per riaverli vivi non è certo attraverso i nastri gialli [il segno distintivo internazionale di solidarietà con chi è in condizioni di prigionia, N.d.t.] e le foto dei dispersi, il che è un errore madornale. Sarebbe il caso di dire alle famiglie degli ostaggi: "Abbiamo molto a cuore i vostri cari. Stiamo facendo tutto il possibile. Non raggiungeremo questo obiettivo negoziando con il Qatar e Hamas. Lo faremo vincendo".
D: Come pensa che si evolverà lo scontro tra Hamas e Israele?
R: Come ho detto prima, Hezbollah sta al gioco, conosce le regole del gioco, così come Israele. Nel 2006, gli israeliani infransero le regole del gioco, ma è improbabile che lo facciano adesso, essendo concentrati su Gaza. Hezbollah non vuole essere distrutto, vede che gli israeliani sono arrabbiati, quindi mi aspetto che le ostilità "a bassa intensità" degli ultimi tre mesi probabilmente continueranno. Sarei sorpreso se degenerassero in una guerra totale come quella avvenuta nel 2006 o quella attualmente in corso a Gaza.
D: Cosa bisogna fare per consentire agli israeliani nel nord del Paese di fare ritorno nelle proprie abitazioni?
R: Questo è un grosso problema, perché le ostilità di Hezbollah hanno sconvolto le loro vite e costretto centinaia di migliaia di israeliani ad allontanarsi dal confine settentrionale con il Libano. Gli israeliani devono raggiungere uno di questi accordi impliciti con Hezbollah. Per farlo devono mettere in chiaro con Hezbollah che la situazione attuale è inaccettabile, e che non può continuare. Hezbollah riconoscerebbe che non può tenere così tanti israeliani lontani dalle loro case per un tempo indefinito. Ma dal momento che gli israeliani sono molto impegnati e sono più focalizzati su Gaza anziché sul Libano, ciò non è ancora avvenuto.
D: Ha qualche idea su chi governerà Gaza dopo la vittoria di Israele?
R: Non so chi lo farà, ma so chi vorrei che lo faccia. Molti abitanti di Gaza disprezzano Hamas perché li utilizza come carne da macello. Vogliono una vita normale, vale a dire una vita paragonabile a quella in Egitto o in Giordania, dove non sono particolarmente amichevoli nei confronti di Israele, ma vivono fianco a fianco con esso senza creare problemi. Penso che ci sia un gruppo di abitanti di Gaza che lavorerà con Israele per istituire un'amministrazione, una forza di polizia e governare l'entità come un'agenzia semigovernativa. Spero davvero che gli israeliani vadano in questa direzione e che il governo americano non li ostacoli. È meglio per Gaza, e anche per Israele.
D: Che forma assumerà la totale sconfitta di Hamas da parte di Israele? Ci sarà un incontro e la firma di un documento di resa, come per il Giappone o la Germania nella Seconda guerra mondiale, oppure, fatta tabula rasa non ci saranno più uomini di Hamas disposti ad arrendersi, e la resa sarà data per scontata?
R: Per quanto ne so, non c'è stata alcuna cerimonia di resa dal 1945, né ce ne sarà una adesso. Ma ci sarà un crollo dell'autorità di Hamas e della capacità di Hamas di penetrare a Gaza e provocare ostilità contro Israele. Ciò costituirà la vittoria per Israele.
L'ultima cerimonia di resa? Delegati giapponesi a bordo della USS Missouri, il 2 settembre 1945. |
D: Dato che Hamas non cerca la vittoria a Gaza, come farà Israele a determinare la fine della guerra?
R: Hamas cerca la vittoria, ma non sul campo di battaglia. Cerca la vittoria attraverso il sostegno che trova in tutto il mondo. Israele deve impedire a Hamas di detenere qualsiasi tipo di potere a Gaza.
D: In che misura il conflitto con Hamas è una questione inerente il curare un sintomo e non il debellare il virus, ovvero l'Iran?
R: L'Iran è alla guida dell'Idra, ed è dietro gli attacchi in Iraq, Siria, Libano, Gaza, Yemen. Chissà dove andrà dopo? [Aggiunta di Daniel Pipes: poco dopo questa intervista gli iraniani hanno attaccato il Pakistan.] È necessario affrontare il problema del regime iraniano e, in particolare, della sua infrastruttura nucleare. Il governo degli Stati Uniti si mostra preoccupato, ma ha chiarito che non farà nulla. Chi lo sa? Potrebbe essere una finta, ma a questo punto non c'è motivo di non crederci. L'Iran è la fonte ultima di molti problemi del Medio Oriente, ma dal 1979 il governo degli Stati Uniti non si è mai posto l'obiettivo di rovesciare la Repubblica islamica. Non abbiamo mai aiutato i dissidenti a fare nulla, soprattutto nel 2009. Più di un anno fa non abbiamo risposto alle manifestazioni di protesta per la morte di Mahsa Amini [diffuse a macchia d'olio] in tutto l'Iran. È tempo di affrontare la vera fonte della maggior parte dei problemi del Medio Oriente, vale a dire Teheran.
D: Ci sono state conseguenze per i giornalisti presenti che hanno avuto un ruolo attivo durante la furia omicida di Hamas?
R: Sono stati individuati e segnalati, ma non mi risulta che siano stati licenziati e tanto meno sanzionati.
D: Nel frattempo, il massacro in Russia e Ucraina continua senza che vi siano proteste per i civili innocenti uccisi. Perché il diverso approccio? Perché, quando Israele agisce, c'è un controllo così rigoroso?
R: Non solo in Ucraina. Lei è a conoscenza dell'insurrezione iniziata il 27 ottobre, non il 7 ottobre, ma il 27 ottobre, che ha avuto luogo in Myanmar, in Birmania? Rappresenta un grande sforzo da parte degli insorti per rovesciare l'orribile governo militare di questo Paese. Tuttavia, bisogna fare un'accurata ricerca per trovare notizie sull'argomento, e la situazione è peggiore in Sudan, nel Congo orientale o in altre zone di conflitto molto più ampie. Quando gli occidentali combattono i non occidentali, gli americani in Iraq o i francesi in Africa occidentale, questo fa notizia, e lo fa ancor di più quando sono coinvolti gli ebrei dei Paesi occidentali. Ciò riceve molta più attenzione rispetto a quando si tratta di non occidentali che combattono contro non occidentali.
D: E la Russia? Lei da che parte sta?
Uno dei danni collaterali inaspettati della guerra tra Hamas e Israele: la presidenza di Claudine Gay all'Università di Harvard. |
D: C'è il rischio di un'escalation nella guerra tra Israele e Hamas? Ci sono segnali di una possibile espansione del conflitto all'Iran, agli Stati Uniti e alle potenze mondiali coinvolte in tutto ciò?
R: È già successo. Si pensi a Yemen, Stati Uniti, Gran Bretagna. Il conflitto potrebbe espandersi in Libano. Non penso che il governo siriano vorrebbe avere problemi con Israle, ma il problema potrebbe estendersi in altri modi. I rapporti indicano che i ribelli e i complotti iraniani avanzano in Giordania. Le implicazioni sono ben maggiori rispetto a quanto avrei immaginato tre mesi fa. In particolare, per quanto concerne l'interruzione da parte degli Houthi del commercio mondiale potrebbe causare ogni sorta di problemi. E se facessero saltare in aria una petroliera?