Pipes, 31 anni, esperto di questioni mediorientali e islamiche presso la University of Chicago, ha studiato e viaggiato molto in Medio Oriente. Sta scrivendo un libro sul ruolo dell'Islam nella politica globale e sulle conseguenze del boom petrolifero degli anni Settanta.
Daniel Pipes. |
Risposta: La guerra non può che danneggiare gli interessi americani.
Qualsiasi aumento di potere iracheno è dannoso per noi, in quanto l'Iraq è uno Stato con ambizioni territoriali che destabilizzeranno l'area. Ha intenzione di aumentare le riserve petrolifere conquistando la provincia del Khuzestan. È determinato a far saltare gli Accordi di Camp David. E credo che nutra speranze a lungo termine di stabilire l'egemonia sul Golfo Persico. Pertanto, questo è un pericolo: l'aumento del potere iracheno.
D: Quali sono gli altri pericoli?
R: Un secondo pericolo è costituito dal fatto che le esportazioni di petrolio dal Golfo da parte di altri Paesi sarà messa a repentaglio, anche se tale rischio sembra ridotto. Finora non è successo.
Sussiste anche il pericolo che l'Unione Sovietica, che è sponsor dell'Iraq, acquisisca prestigio a livello internazionale sostenendo la parte vincente e guadagni potere a livello locale, ossia l'Unione Sovietica avrebbe il controllo sul potere che è preponderante nel Golfo.
D: Finora i russi hanno tratto notevoli profitti?
R: I russi ora hanno più influenza sull'Iraq rispetto a prima. Gli iracheni stanno rapidamente esaurendo i pezzi di ricambio e le munizioni, e l'Unione Sovietica è ora nella posizione di fornire loro dei ricambi, oppure no. Se decidesse di farlo, gli iracheni sarebbero sempre più in debito con i sovietici di quanto non lo fossero prima.
Si rammenti che l'Iraq ha tentato di uscire fuori dall'orbita sovietica. Ha votato contro l'Unione Sovietica alle Nazioni Unite sulla questione afghana. Ha cercato di acquistare sempre più armi e beni industriali dall'Occidente. Ovviamente, nessun Paese occidentale invierà armi a questo punto. Pertanto, se l'Unione Sovietica fornisse più armi, accrescerebbe la sua influenza in Iraq.
D: Più a lungo termine, anche l'Unione Sovietica migliorerà la propria posizione nell'area, non è così?
R: Si può considerare questo come un movimento a tenaglia verso il Golfo. L'anno scorso abbiamo assistito all'invasione dell'Afghanistan da parte dei sovietici. Ora un quasi-cliente sovietico, l'Iraq, si sta espandendo territorialmente e sta acquisendo un controllo militare sempre maggiore sulla parte settentrionale del Golfo; questo non può che aiutare l'Unione Sovietica.
Minaccia i nostri interessi. Dopotutto, siamo la potenza dedita allo status quo nel Golfo, possiamo soltanto perdere. Noi – gli Stati Uniti e il mondo occidentale – riceviamo di fatto tutto il petrolio proveniente dal Golfo. Qualsiasi cambiamento avvenga lì danneggia i nostri interessi.
D: Qual è l'obiettivo a lungo termine dei sovietici in quella regione: controllare il Golfo?
R: Proprio così. Se l'Unione Sovietica controlla il Golfo Persico ha di fatto il controllo sulla politica estera del Giappone e su quella dell'Europa occidentale. Se i sovietici volessero prendere il controllo dell'Europa occidentale, probabilmente non l'attaccherebbero direttamente. È molto più facile per loro ottenere il controllo del petrolio. È, in un certo senso, indolore.
Gli Stati Uniti non hanno bisogno del petrolio: possiamo sopravvivere anche senza. Ma il Giappone e l'Europa occidentale dipendono abbastanza da esso. Hanno dimostrato in passato di essere pronti a cambiare le loro politiche per accontentare gli arabi che controllano il petrolio. Pertanto, ci sono tutte le ragioni per pensare che cambierebbero le loro politiche per i russi se i russi controllassero quel petrolio. Lo smembramento dell'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord sarebbe una delle prime cose richieste dai sovietici, e questo porterebbe all'isolamento internazionale degli Stati Uniti. La posta in gioco è molto, ma molto alta.
D: A suo avviso, esiste un modo in cui questa guerra potrebbe aiutare a riportare a casa presto gli ostaggi americani?
R: Tutto ciò che riguarda gli ostaggi è imprevedibile, ma credo che comprometterà le possibilità che gli ostaggi vengano rilasciati.
D: Perché?
R: In Iran, c'è una lotta di potere tra due fazioni: tra quelli che potremmo chiamare nazionalisti e gli attivisti musulmani, ossia tra Bani-Sadr, il quale è un nazionalista iraniano di formazione occidentale, e Mohammad Beheshti, leader del Partito Repubblicano Islamico (PRI).
Gli ostaggi sono un asso nella manica per il PRI e tale questione è molto importante nella loro lotta per il controllo dell'Iran. Semmai, le sfide della guerra hanno ridotto le probabilità che gli ostaggi vengano rapidamente liberati.
D: In che modo il conflitto nell'area influirà sugli equilibri di potere tra gli arabi? L'Iraq sta per diventare il nuovo gendarme del Golfo Persico?
R: È in gioco l'equilibrio di potere tra gli arabi. Da quando l'Egitto ha firmato gli Accordi di Camp David e il trattato di pace con Israele ha perso influenza politica in Medio Oriente. È una questione aperta se l'Egitto continuerà ad essere osteggiato dalla politica araba, ma nel frattempo, finché lo sarà, Baghdad è probabilmente ampiamente qualificata ad assumere il controllo: ha infatti l'esercito arabo più forte. Ha una delle economie più forti. Il Paese non ha più gravi problemi interni. Ha una popolazione abbastanza consistente.
Per quanto concerne l'ipotesi che diventi il gendarme del Golfo, beh, sembra piuttosto credibile. Dopo il crollo del potere militare iraniano, non c'è davvero nessun altro. Non credo che i sauditi abbiano una forza militare credibile. Stanno spendendo grandi somme di denaro per costruire il loro esercito e l'aviazione. Ma sono molto scettico sul fatto che la forza aerea si dimostrerebbe efficace e l'esercito non è molto meglio. Pertanto, rimangono gli iracheni, i quali hanno la forza lavoro, il denaro e l'ambizione.
D: Che effetto avrà la guerra sulle probabilità di una pace arabo-israeliana?
R: È dannosa per Israele, in quanto la maggiore potenza dell'Iraq nuocerà agli Accordi di Camp David, al trattato di pace israelo-egiziano, e renderà più difficili ulteriori passi su quella strada per altri Paesi, in particolare Siria e Giordania.
D: Come accetteranno il nuovo ruolo dell'Iraq gli altri Paesi arabi, soprattutto i regimi conservatori del Golfo, ossia Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein? Sono preoccupati per l'influenza sovietica a Baghdad?
R: Sono sicuro che lo sono. In quanto fratelli arabi, hanno una preferenza per gli iracheni rispetto agli iraniani. In quanto potenze da status quo, prediligono l'Iraq rispetto all'Iran rivoluzionario.
D'altra parte sono molto spaventati dalla presenza russa in Iraq. Diffidano di ciò che gli iracheni potrebbero fare dopo. Dopo tutto, l'Iraq ha, in diverse occasioni, minacciato di impadronirsi del Kuwait. Ora, se l'Iraq prendesse il Khuzestan e il suo petrolio dall'Iran e poi assumesse il controllo del Kuwait, diventerebbe la potenza dell'area. L'Iraq avrebbe una parte considerevole delle riserve petrolifere nel Golfo, avrebbe una lunga costa sul Golfo, e sarebbe in grado di dominare la metà settentrionale come nessuno ha fatto finora.
D: L'Iraq diventerà la potenza nell'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio che è stata l'Arabia Saudita?
R: Parte della forza che l'Arabia Saudita ha nell'OPEC è costituita dalle sue riserve petrolifere: può sempre produrre sempre più petrolio. Ciò conferisce ai sauditi un vantaggio che nessun altro Paese ha. Per quanto ne so, gli iracheni non possono farlo. La produzione irachena, anche se raggiunge abbastanza rapidamente i livelli prebellici, è considerevolmente inferiore a quella dell'Arabia Saudita. Non c'è paragone.
D: I sauditi adesso dovranno adottare misure particolari a causa della forza dell'Iraq?
R: Penso di sì. I sauditi, i kuwaitiani e tutti gli altri piccoli Stati del Golfo presteranno molta attenzione a ciò che vogliono gli iracheni. Questo sarà probabilmente un punto di svolta nell'equilibrio di potere nel Golfo Persico. Forse dovremmo vederlo come un evento importante dal 1978 fino ad oggi: un trasferimento di potere lungo due anni dall'Iran all'Iraq e, in un certo senso, dagli Stati Uniti all'Unione Sovietica.
D: L'Iran ha ancora amici in Medio Oriente?
R: Sì che ce l'ha. L'Iraq e la Siria si sono scontrati per anni. Pertanto, se l'Iraq combatte l'Iran, allora la Siria diventa amica dell'Iran. E ora che la Siria è in una presunta unione con la Libia, i libici devono stare dalla stessa parte dei siriani.
Di certo, anche molti pii musulmani attivisti di tutto il mondo sono preoccupati per ciò che accade alla rivoluzione in Iran. Gli iracheni, per loro, sono un anatema. Ma questi musulmani non governano i loro Paesi.
D: Il regime di Baghdad è in pericolo in patria a causa di questo tipo di simpatia per l'Iran?
R: Sì, è vero, c'è una certa simpatia per l'Iran, in particolare tra gli iracheni che sono musulmani sciiti, ossia appartengono alla setta che governa l'Iran. Non credo però che l'opposizione sia molto ben organizzata. Il regime di Baghdad è al sicuro.
D: La guerra rafforza la mano del presidente iracheno Saddam Hussein in patria? O l'incapacità di ottenere una rapida vittoria e l'incendio di alcuni pozzi petroliferi iracheni potrebbero innescare una reazione e fomentare gruppi come i comunisti e i curdi?
R: Il fatto che Saddam Hussein goda di un maggiore consenso da parte dell'esercito sarà il suo principale vantaggio. Hussein è il primo governante iracheno che da qualche tempo non proviene dagli ambienti militari e la sua carica non gode della piena approvazione da parte dell'esercito. Pertanto, se entrasse in guerra e riportasse una vittoria, Saddam accrescerebbe il suo prestigio agli occhi delle forze armate e otterrebbe un controllo più sicuro su di esse.
Presumo che gli iracheni penseranno di aver vinto la guerra con gloria. In tal caso, la distruzione di alcuni dei loro impianti di produzione di petrolio sembrerà un sacrificio minimo.
I comunisti non rappresentano una minaccia così grande per Saddam Hussein da fare un passo indietro. Lo stesso dicasi per i curdi. Se questa è una vittoria militare sull'Iran, chi sono ora i curdi per sfidare l'esercito iracheno? Ma finché la guerra continua, possono sfruttarla per fare le proprie mosse.
D: In Iran, il conflitto indebolisce la posizione di Khomeini?
R: Il governo in Iran è piuttosto solido. È arrivato al potere con un enorme sostegno. Il dissenso è in aumento, ma a quanto pare è ancora marginale.
Ancora una volta, la lotta principale è fra i due partiti saliti al potere con la rivoluzione. Pertanto, quale dei due prenderà il sopravvento non è affatto una questione che dipende da Khomeini. Egli ha rinunciato a questo. È molto anziano e molto malato in questo momento. Potrebbe morire a breve. Sta lasciando a loro il compito di combatterlo. Il futuro dell'Iran nei prossimi anni sarà determinato da chi vincerà questa battaglia.
D: Le sconfitte militari dell'Iran daranno inizio a un nuovo round di ribellioni da parte delle minoranze in cerca di autonomia, come i curdi e i beluci?
R: Sembra molto probabile di sì. Questo è un duro colpo per il governo centrale. Sembrerebbe un invito a queste minoranze ad affermare la propria autonomia o forse anche l'indipendenza.
Questa è una magnifica opportunità anche per l'Unione Sovietica di creare problemi: sobillare, inviare armi, trasmettere programmi radiofoniche. L'Iran si trova proprio sul confine sovietico.
D: Le forze militari iraniane saranno in grado di far fronte a qualsiasi tipo di problema interno?
R: Ciò dipende in parte dalla risoluzione della lotta per il potere. Finora hanno svolto un lavoro piuttosto buono. Se l'Iran dovesse fare presto la pace con l'Iraq, anche se le forze iraniane sono state sconfitte, probabilmente potrebbero ancora sconfiggere i curdi. Ma se ci sono diverse ribellioni contemporaneamente, sembra improbabile che l'esercito iraniano riuscirebbe a resistere. Questo potrebbe essere l'inizio del disfacimento dell'Iran.
D: Se lei fosse presidente degli Stati Uniti, come si occuperebbe in futuro del mondo musulmano e di quello arabo?
R: La cosa più importante che potremmo fare sarebbe definire un approccio militare davvero credibile, ossia creare una forza d'intervento rapido o qualche altro braccio armato su cui si possa davvero contare in caso di crisi. Sentiamo il Presidente declamare sul fatto che il Golfo Persico è un'area critica, ma noi non abbiamo la forza militare per affrontare questo problema.
Dobbiamo anche diventare molto più coerenti. I nostri segnali non arrivano, specialmente nel Golfo. L'Iraq e l'Iran non sanno davvero cosa fare degli Stati Uniti e tendono a non prestarci molta attenzione.
D: Cosa crede che succederà in seguito nel Golfo Persico?
R: Stiamo imparando quanto sia terribilmente instabile questa regione. Mi aspetto che diventi ancora più instabile in futuro. Ci sono troppe armi, troppe dispute sui confini e troppi effetti dannosi della vasta ricchezza petrolifera. C'è aria di guai.