Il rappresentante dell'entità sionista è palesemente incapace di nascondere un profondo odio verso il mondo arabo per essere stato tagliato fuori dal famigerato sfruttamento delle sue risorse naturali, a lungo assoggettate e saccheggiate dalla cabala del suo stesso popolo, che padroneggia, manipola e sfrutta il resto dell'umanità controllando il denaro e la ricchezza del mondo. (...) Persone come Lord Rothschild ogni giorno, nella più assoluta riservatezza, decidono di mostrare in giro per il mondo quanto dovrebbe essere alto il prezzo dell'oro in un determinato giorno. E c'è il signor Oppenheimer del Sud Africa, che tiene in schiavitù 15 milioni di neri per sfruttare e monopolizzare i diamanti, l'uranio e altre preziose risorse che appartengono di diritto al popolo africano in lotta del Sud Africa e della Namibia. È risaputo che i sionisti sono le persone più ricche al mondo e controllano gran parte del loro destino.
Se ignorate i riferimenti alla "entità sionista" e al "popolo africano in lotta del Sud Africa e della Namibia" queste parole potrebbero essere risuonate a un raduno nazista negli anni Trenta. Eppure, sono state pronunciate nel dicembre 1980 e non da un membro della Destra radicale, ma da Hazim an-Nusayba, delegato della Giordania alle Nazioni Unite. Inoltre, sebbene insolitamente plateali e provocatorie, queste considerazioni sono tutt'altro che esclusive: discorsi simili riguardo all'esistenza di un complotto mondiale ebraico vengono regolarmente pronunciati dai leader di molti Paesi musulmani in Medio Oriente. Attaccano gli ebrei, non fingendo nemmeno più di fare una distinzione fra loro e gli israeliani.
Questo è sconcertante, perché fino a poco tempo fa i musulmani non avevano nulla nel loro lessico di corrispondente all'antisemitismo cristiano. Gli ebrei avevano vissuto fra i musulmani sin dai tempi di Maometto senza mai diventare il bersaglio di attacchi ignobili e inverosimili come quello dell'ambasciatore giordano. Tuttavia, se le nozioni di complotto ebraico sono estranee all'Islam, ora si sentono spesso provenire dai musulmani. Come è successo? Che significato ha?
Contesto storico
Prima di affrontare tali questioni, è necessario chiarire due punti linguistici. In primo luogo, l'antisemitismo, in linea di principio, dovrebbe essere diretto contro tutti i popoli che parlano lingue semitiche, non soltanto gli ebrei, ma anche arabi, etiopi e altri. Di fatto, si riferisce solo agli ebrei, come ha dimostrato la collaborazione fra i nazisti e i leader arabi durante la Seconda guerra mondiale. Gli arabi occasionalmente protestano asserendo che, essendo loro stessi semiti, sono incapaci di antisemitismo, ma questo è un'astuzia semantica: qualunque sia la sua fonte etimologica, il termine antisemitismo si riferisce soltanto al sentimento anti-ebraico. gli arabi ne sono capaci come chiunque parli una lingua indoeuropea.
In secondo luogo, va fatta una distinzione fra l'antisemitismo ordinario – detestare gli ebrei e attribuire loro vari tratti discutibili – e la paura morbosa degli ebrei. L'avversione nei confronti degli ebrei rientra nei normali schemi di pregiudizi razziali, etnici e religiosi e, sebbene non sia né piacevole né innocua, non differisce sostanzialmente dal pregiudizio nutrito nei confronti di altre minoranze. La seconda categoria di antisemitismo è molto diversa. Affermare che gli ebrei minacciano effettivamente il mondo va ben oltre le normali animosità etniche o religiose. Prima del XVIII secolo, questa minaccia era concepita in termini teologici: gli ebrei erano visti come i nemici del Cristianesimo. Da allora, l'enfasi è diventata laica, così che l'antisemitismo moderno ha come tema centrale l'idea che gli ebrei debbano essere temuti perché aspirano, attraverso la cospirazione economica e politica, a dominare il mondo. Non deve stupire il fatto che i musulmani non abbiano avuto familiarità con questo secondo livello di antisemitismo fino a qualche tempo fa, poiché si tratta di una convinzione tipicamente cristiana che deriva da antichi rapporti con gli ebrei, che risalgono alla nascita stessa del Cristianesimo.
I cristiani nutrono sentimenti complicati nei confronti degli ebrei, derivanti almeno in parte dall'ambiguo legame che li lega: Gesù era uno di loro, ma rifiutò molte delle loro pratiche; i cristiani accettano i testi sacri ebraici, ma li leggono da un'altra prospettiva; gli ebrei non riconoscono che Gesù sia il Messia e furono ritenuti responsabili della sua crocifissione: alcuni cristiani credono che la seconda venuta di Gesù non avverrà finché tutti gli ebrei non si convertiranno. Per queste e altre motivazioni, gli ebrei non possono che occupare un posto centrale nella coscienza cristiana; non possono mai essere dimenticati. Anche i cristiani non credenti conservano la consapevolezza del ruolo speciale degli ebrei nella loro civiltà. Per lo stesso motivo, i popoli cristiani non possono essere indifferenti allo Stato di Israele. Che siano favorevoli o meno, Israele non può essere uno Stato come un altro per i cristiani, non più di quanto possa esserlo per gli ebrei. I legami sono troppo profondi per lasciare posto alla mera indifferenza.
Se gli ebrei in Occidente sono stati vittime di un'eccessiva attenzione da parte dei cristiani, nei Paesi musulmani, hanno però avuto la fortuna di essere meno importanti e rilevanti. In Europa, gli ebrei erano, dopotutto, gli unici "infedeli" che la maggior parte dei cristiani avesse mai incontrato e spiccavano distintamente in quello che altrimenti sarebbe stato un ambiente religioso abbastanza omogeneo. Nel mondo musulmano, al contrario, gli ebrei erano una minoranza fra le altre, e sebbene importanti nelle prime fasi dello sviluppo dell'Islam, essi non hanno svolto un ruolo di rilievo nella successiva vita musulmana. Di conseguenza, non si sono mai insinuati più di tanto nella coscienza musulmana.
In linea di massima, i musulmani hanno una visione piuttosto paternalistica delle altre religioni. Ai loro occhi, l'Islam è l'unica religione vera ed eterna, e mentre le altre fedi contengono parte, se non tutto, del messaggio di Dio, inevitabilmente lo distorcono. Pertanto, gli ebrei sbagliano nel credere che la religione di Dio sia esclusivamente a loro appannaggio, e i cristiani sbagliano nell'adorare uno dei messaggeri di Dio come se fosse Dio stesso. (Il Corano riconosce Gesù come profeta e messia, ma non come figlio di Dio.)
Un musulmano crede con tanta fiducia nella perfezione dell'Islam che non riesce a comprendere del tutto perché ebrei e cristiani continuino a seguire le loro versioni obsolete e imperfette della verità. Questa fiducia può essere ravvisata nella risposta musulmana alle discrepanze fra le narrazioni bibliche e quelle coraniche. Anche se il Corano è meno longevo della Bibbia, i musulmani non esitano ad affermare che la loro versione di alcuni eventi basilari per il Giudaismo e il Cristianesimo è quella corretta. Così, Abramo visse alla Mecca secondo il Corano, e Gesù non fu mai crocifisso. Il Corano implica altresì che la Trinità cristiana consiste nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. I cristiani non possono convincere i musulmani che questo è erroneo, o nella migliore delle ipotesi è una nozione scismatica, perché i musulmani ritengono che il Corano sia infallibile.
Paradossalmente, proprio questa fiducia ha consentito all'Islam di tollerare le minoranze meglio del Cristianesimo, come si evince nella maggiore diversità religiosa del Medio Oriente rispetto all'Europa. Fintanto che soddisfacevano certi criteri (in particolare il possesso delle sacre scritture) e non contestavano lo status superiore dell'Islam, ai non musulmani era permesso vivere sotto il dominio musulmano con lo status legale di dhimmi (persone protette). Pagavano tasse più alte e godevano di minori privilegi, in cambio dei quali avevano il diritto di praticare la propria religione. Tale tolleranza sanzionata non ha una controparte cristiana; sotto l'Islam, gli ebrei erano cittadini di seconda classe ma facevano parte del panorama legale, non dell'anomalia problematica che presentavano al mondo cristiano.
Storicamente, ebrei e cristiani sotto il dominio musulmano hanno ricevuto un trattamento paritario. Lo stesso Maometto aveva rapporti asimmetrici con gli ebrei, pertanto, questi ultimi sono condannati più volte nel Corano. Eppure, gli ebrei non hanno quasi mai minacciato la supremazia politica musulmana, mentre i cristiani hanno lanciato grandi attacchi contro i musulmani a cominciare dai bizantini, continuando con i Crociati e culminando con il moderno imperialismo europeo. In parte per questo motivo, gli ebrei, in genere, sono sopravvissuti al dominio musulmano meglio dei cristiani. In effetti, in alcune aree geografiche, come in Yemen e in Nord Africa, il Cristianesimo si è estinto ed è sopravvissuto soltanto l'Ebraismo.
Nell'Europa cristiana, gli ebrei sembravano strani: le loro particolari abitudini alimentari, l'abbigliamento insolito e una propensione a vivere separatamente li rendevano diversi e bizzarri. Ma i musulmani avevano abitudini alimentari, distinzioni nel vestire e stili di vita simili, pertanto, trovavano le pratiche ebraiche abbastanza normali. Anche a livello culturale gli ebrei parteciparono alla vita musulmana convenzionale, come non avevano mai fatto nell'Europa cristiana premoderna. In quanto minoranza tra le tante – inoffensiva e che viveva in modi relativamente consueti – gli ebrei attiravano poco interesse da parte dei musulmani. In linea di massima, la vita ebraica prosperò sotto il dominio musulmano quando le cose andavano bene per i musulmani e declinò nei tempi bui. Sebbene lo status di dhimmi implicasse una discriminazione istituzionalizzata, fece anche sì che gli ebrei raramente incorressero in una persecuzione sistematica. In epoca premoderna, gli ebrei vissero decisamente meglio sotto l'Islam piuttosto che sotto il Cristianesimo.
Il XIX secolo
L'atteggiamento dei musulmani nei confronti degli ebrei iniziò a cambiare nel XIX secolo. La conquista dell'Egitto da parte di Napoleone avvenuta nel 1798 mise i musulmani del Medio Oriente in contatto diretto e intenso con l'Europa moderna. Dopo molti secoli di disprezzo dei "Franchi", i musulmani osservarono con stupore e in preda alla disperazione come i cristiani dell'Europa occidentale li avevano superati di gran lunga in ricchezza e potere. I cristiani avevano una tecnologia più avanzata, istituzioni più sviluppate, una cultura più dinamica e una medicina moderna. Nel corso del XIX secolo, estromisero la maggior parte dei governanti musulmani, così che durante la Prima guerra mondiale pochi Paesi islamici godevano ancora dell'indipendenza.
Come altri popoli non occidentali, i musulmani reagirono imparando i costumi occidentali. Ammiravano e cercavano di imitare non solo le tecniche militari ed economiche occidentali, ma anche molti aspetti della cultura politica europea, comprese le sue idee sociali e le mode culturali. Insieme a molte altre cose, impararono anche a conoscere l'antisemitismo. Non sorprende che i cristiani arabofoni del Levante si siano dimostrati più ricettivi alle teorie della perfidia giudaica. Nel 1840, ad esempio, quando un monaco italiano e il suo servitore scomparvero da Damasco, i cattolici autoctoni col sostegno del console francese invocarono l'antica accusa della "calunnia del sangue" contro alcuni ebrei della locale comunità. Aiutati dagli europei residenti nella regione, i cristiani mediorientali hanno svolto un ruolo chiave nel trasmettere nozioni antisemite ai musulmani.
L'Europa non si limitò a mettere a disposizione l'antisemitismo ai musulmani, ma li fece anche sentire deboli e quindi vulnerabili alle idee antisemite. I musulmani erano da tempo abituati a considerarsi vincenti nelle questioni terrene. L'entusiasmante storia dell'ascesa di Maometto, il quale da orfano divenne sovrano d'Arabia; le fenomenali conquiste arabe che raggiunsero Francia e Cina in meno di un secolo; i grandi imperi medievali, con il loro fiorente commercio e la loro brillante cultura: tutto ciò creò un'aspettativa musulmana di ricchezza e potere. E allora, cosa andò storto? In che modo i disprezzati Franchi superarono i musulmani? Ancora oggi, dopo molti decenni di dibattito, a questa domanda non è stata data una risposta soddisfacente.
Le teorie cospirazioniste sono servite ad attutire il colpo. La nozione di un'influenza occulta che manipola gli eventi è particolarmente importante nella politica moderna mediorientale, poiché a quanto pare molti musulmani hanno bisogno di credere che agenti del male li abbiano derubati del loro legittimo successo. Spesso sono gli Stati Uniti chiamati a ricoprire questo ruolo. Così, quando gli arabi non poterono accettare la catastrofica sconfitta inflitta loro da Israele nel giugno 1967, attribuirono la colpa al sostegno americano clandestino. Più di recente, gli iraniani hanno portato la paranoia cospiratoria a nuovi livelli, ed entrambe le parti nella guerra fra Iran e Iraq hanno inizialmente accusato gli Stati Uniti di sostenere l'altra. Le teorie del complotto sionista sono, come vedremo, ancora più diffuse.
Se le rimostranze musulmane contro gli ebrei erano state trascurabili nel periodo premoderno, aumentarono notevolmente nell'era coloniale. Gli ebrei ricevettero un trattamento privilegiato da parte dei colonizzatori europei, in particolare i francesi, che avevano bisogno di assistenza locale per gestire i loro imperi, ma temevano e diffidavano dei musulmani sunniti. I colonizzatori europei si rivolsero soprattutto ai non musulmani per chiedere aiuto, offrendo loro ogni sorta di benefici economici e sociali. Gli ebrei colsero rapidamente queste opportunità e acquisirono vantaggi sui loro vicini musulmani, e non essendo più legati allo status di dhimmi, divennero ambiziosi proprio in quei modi che più offendevano la sensibilità musulmana e ne provocavano il risentimento. Quando il dominio europeo finì, gli ebrei autoctoni affrontarono la rabbia accumulata nel corso dei decenni e spesso non ebbero altra scelta se non quella di fuggire. La ritirata francese dall'Algeria nel 1962, ad esempio, segnò anche un esodo di massa ebraico da quel Paese.
La reazione a Israele
Nonostante questi risentimenti delle popolazioni locali, il mondo musulmano nutrì poche preoccupazioni politiche nei confronti degli ebrei e questo fino al periodo immediatamente precedente lo Stato ebraico. La nascita dello Stato di Israele avvenuta nel 1948 destò sconcerto e fu anche un evento traumatico, poiché significò che in un sol colpo gli ebrei si erano sbarazzati dello status di dhimmi, avevano conquistato parte del patrimonio musulmano ed erano riusciti a governare i musulmani. Il dominio cristiano era già di per sé abbastanza brutto, ma che gli ebrei, il popolo sottomesso per eccellenza, comandassero a bacchetta i musulmani era troppo. I musulmani dovettero rendersi conto del loro rovinoso fallimento e dell'inaspettato potere degli ebrei.
Avendo familiarità con la cultura europea cristiana, essendo ricettivi alle teorie cospirazioniste, irritati dal successo economico ebraico, indignati per la creazione di Israele, gli arabi musulmani rivolsero l'attenzione all'antisemitismo. Negli anni Cinquanta, sotto l'egida del regime di Jamal 'Abd an-Nasir (Gamal Abdel Nasser Nasser) in Egitto, varie opere letterarie antisemite furono tradotte in arabo e successivamente pubblicate e diffuse in tutto il mondo arabo. Il famigerato falso russo, I Protocolli dei savi anziani di Sion, apparve negli anni Cinquanta e Sessanta in nove edizioni separate, una delle quali introdotta da una prefazione del fratello di Gamal Abdel Nasser. Nel marzo 1970, un quotidiano libanese mise I Protocolli in cima alla lista dei best-seller di saggistica. Nel giro di pochi anni, la maggior parte dei temi antisemiti dominanti nel repertorio europeo fu ampiamente disponibile in arabo, con delle varianti per adattarsi alle contingenze locali e con ogni sorta di infiorettature aggiunte nella traduzione.
I nazisti fecero anche molto per rendere l'antisemitismo familiare ai musulmani. Sfruttando il risentimento mediorientale contro i governi alleati negli anni Trenta e Quaranta, stabilirono stretti legami con i principali elementi politici in Egitto, Palestina, Iraq, Iran e altrove. Il sostegno nazista all'antisemitismo ne fece un'ideologia vivente nel mondo arabo: gli ex nazisti successivamente ricoprirono posizioni importanti nel governo di Abdel Nasser, negli anni Cinquanta.
In larga misura, l'antisemitismo è stato una conseguenza delle ostilità politiche con Israele, e non la causa. Questa è una distinzione importante: sebbene sia stato l'antisionismo (ossia l'avversione per la sovranità ebraica su terre che erano appartenute ai musulmani) a spingere gli Stati arabi a combattere inizialmente Israele, l'antisionismo da solo non può spiegare lo straordinario ruolo che Israele ha giocato da allora nella vita politica araba. Il merito di questo deve andare all'antisemitismo. L'ossessione araba per Israele negli ultimi trent'anni dipende per il suo sostentamento dal repertorio di idee antisemite importate dall'Europa cristiana. Senza questa ideologia, gli arabi non avrebbero potuto mantenere un'opposizione così febbrile. (Anche al culmine della guerra d'Algeria, gli arabi non denigrarono il popolo francese come fanno con gli ebrei, sebbene quello fosse un conflitto molto più lungo e brutale contro un nemico molto più potente.) Sebbene l'ostilità verso Israele abbia radici autoctone, la sua trasformazione nell'unica causa araba predominante è dipesa dalla disponibilità di un'ideologia antisemita. Non avendo una tale ideologia propria, i musulmani hanno preso in prestito quella inventata dai cristiani.
Ormai la maggior parte delle principali caratteristiche dell'antisemitismo cristiano sono state completamente assorbite nel mondo arabo musulmano. Gli ebrei non sono più soltanto un'altra minoranza in Medio Oriente: improvvisamente sono ben visibili come lo sono stati per secoli in Europa. Le voci sull'accusa del sangue e sulle cabale hanno ottenuto un'ampia copertura mediatica, odiose caricature di ebrei riempiono la stampa araba e i libri di testo scolastici, i discorsi a vanvera sullo sfruttamento economico ebraico sono incontrastati e gli ebrei che vivono ancora in Paesi come la Siria e l'Iraq subiscono persecuzioni da parte del governo. Raramente si verifica un inconveniente nel mondo arabo che non sia attribuito agli ebrei. La cosa più importante è che gli arabi hanno acquisito l'idea di una cospirazione mondiale ebraica, resa popolare per la prima volta nei Protocolli dei savi anziani di Sion, e le hanno dato nuova linfa.
L'idea di una cospirazione mondiale ha molti vantaggi evidenti nella lotta araba. Rende sinistra la stessa esistenza di Israele; attutisce la realtà delle ripetute sconfitte per mano di Israele; fa apparire Israele più pericoloso, incentivando così passioni distruttive nella popolazione araba che altrimenti potrebbero placarsi. Infine, collegando la cospirazione sionista con l'imperialismo europeo, gli arabi conquistarono ampie simpatie per la loro causa nelle ex colonie del Terzo Mondo.
Durante gli anni Cinquanta e Sessanta, il mondo esterno sentì parlare poco dell'antisemitismo arabo. La cospirazione sionista era tenuta in gran considerazione nella retorica politica araba, ma serviva principalmente a scopi interni e furono fatti pochi tentativi per convincere gli altri della sua validità. C'erano ovviamente delle eccezioni, come quando i diplomatici arabi, al tempo del Concilio Vaticano II, fecero del loro meglio per esercitare pressioni sulla Chiesa affinché non discolpasse gli ebrei della morte di Gesù. Ma soprattutto i non arabi non erano consapevoli della crescente importanza delle idee antisemite in Medio Oriente.
Cambiamenti negli anni Settanta
Tutto questo cambiò negli anni Settanta. Gli arabi non limitarono più il loro antisemitismo a discussioni interne, ma fecero vigorosi sforzi per diffonderlo a livello internazionale, riportandolo, per così dire, nella sua patria cristiana. Due fatti sono alla base di questo cambiamento: la comparsa di nuovi leader in Medio Oriente e il grande boom petrolifero.
In questo periodo, violenti leader antisemiti salirono al potere in Arabia Saudita, in Libia e in Iran. I governanti sauditi avevano a lungo collegato il sionismo al comunismo, ma la guerra del 1967 intensificò il loro antisemitismo, e il gruppo dirigente che subentrò dopo la morte di re Faysal, nel 1974, lo enfatizzò ancora di più. I sauditi promossero apertamente l'antisemitismo prima di qualsiasi altro Stato del Medio Oriente; ai dignitari stranieri in visita venivano spesso regalate copie dei Protocolli e vengono loro donate tuttora. Copie vennero distribuite all'Assemblea Consultiva del Consiglio d'Europa a Strasburgo. Si dice che Faysal abbia sovvenzionato personalmente la pubblicazione in Libano di 300 mila copie in un gran numero di lingue. (Durante il mio soggiorno a Tunisi, nel 1970, mi capitò tra le mani una versione francese distribuita gratuitamente dal consolato saudita.)
In Libia, la situazione cambiò in modo ancor più radicale. Il colonnello Muammar Gheddafi, il quale prese il potere nel 1969, è cresciuto idolatrando Gamal Abdel Nasser. Le sue convinzioni politiche si sono formate in gran parte sulla base dei programmi radiofonici di "Voce degli arabi" di Radio Cairo, che in quegli anni erano intrisi di antisemitismo. Gheddafi fece della distruzione di Israele la sua massima priorità; inoltre, consigliò ai giornalisti occidentali i Protocolli come "documento storico più importante. In Iran, anche l'Ayatollah Khomeini fece dell'antisemitismo al vetriolo una questione chiave nel suo attacco allo Scià. Khomeini sembra aver raccolto nozioni antisemite piuttosto tardi nella vita, forse durante la sua permanenza nell'Iraq ba'thista fra il 1964 e il 1978.
Le opinioni di questi leader musulmani avrebbero contato poco al di fuori del Medio Oriente se non fosse stato per lo straordinario boom petrolifero iniziato intorno al 1970. I ricavi dei produttori raddoppiarono nel 1973, si quadruplicarono fra il 1973 e il 1974, per poi raddoppiare ancora nel 1978-1979. Le nazioni dell'OPEC acquisirono improvvisamente una ricchezza e un potere sorprendenti. I leader sauditi e Gheddafi in particolare si resero conto del potere di cui disponevano, e in modi differenti ottennero una notevole influenza internazionale. I loro sforzi aggiunsero una dimensione completamente nuova all'antisemitismo mediorientale. Grazie alla loro ricchezza petrolifera, gli Stati arabi acquisirono i mezzi per calunniare gli ebrei di tutto il mondo e per assicurarsi che queste opinioni avessero un peso.
Il potere arabo proviene da tre fonti: la vendita di petrolio, l'acquisto di beni e servizi, le donazioni. Nella lotta per l'approvvigionamento energetico durante gli anni Settanta, molti governi occidentali consideravano una priorità urgente i buoni rapporti con gli Stati arabi e fecero loro numerose concessioni. Non meno importante della vendita di petrolio, i Paesi arabi acquisirono massicciamente beni e servizi, pagando in genere prezzi elevati. Per molte aziende, aggiudicarsi un contratto arabo potrebbe benissimo sancire la differenza fra un anno mediocre e uno fantastico. Gli Stati arabi produttori di petrolio portarono benefici economici a chiunque: finanzieri, avvocati, produttori, trasportatori, costruttori, architetti, scienziati, accademici, pubblicitari e persino governi.
Gli uomini d'affari occidentali notarono puntualmente l'estrema importanza delle relazioni personali nel fare affari in Medio Oriente, dove le vendite spesso dipendono dal mantenimento di buoni rapporti con gli acquirenti più che da considerazioni di qualità e prezzo. Per meglio dire, ciò si traduceva nella necessità di un accordo sulla questione che gli arabi hanno sollevato più spesso e con più passione: vale a dire, Israele. I politici preoccupati per le forniture di petrolio e i venditori in cerca di contratti sapevano di dover mostrare sensibilità e simpatia per il punto di vista arabo su Israele, pertanto, non sorprende che questa pressione avesse cominciato a cambiare le loro opinioni. Poiché gli arabi avevano il coltello dalla parte del manico in queste transazioni e nutrivano anche le opinioni più ferme, inevitabilmente venivano accontentati e le loro opinioni finirono per permeare le istituzioni che avevano a che fare con loro: ministeri degli Esteri e società petrolifere in modo più clamoroso, ma anche molte altre. Pur non avendo in precedenza nutrito tali opinioni e non essendo così crudi come Billy Carter, famoso per aver detto che "ci sono molti più arabi che ebrei", i dipendenti si resero presto conto che un pizzico di antisemitismo contribuiva a stringere amicizie e a chiudere contratti in Medio Oriente.
Non solo i Paesi arabi fornirono nuovi mercati d'eccellenza, ma anche i loro governi e i privati cittadini divennero i più importanti filantropi del mondo. In un momento in cui altre fonti di finanziamento si prosciugarono (a causa dell'aumento del petrolio), la ricchezza dell'OPEC attrasse tutti coloro che speravano nel denaro, dai Paesi africani che necessitavano di infrastrutture alle università americane in cerca di fondi. Gli Stati arabi avevano un'aura di ricchezza che conferiva loro influenza anche quando non davano denaro. Quando lo fecero, la concorrenza fu agguerrita e un modo in cui i potenziali destinatari degli aiuti arabi fecero a gara tra di loro fu attraverso dichiarazioni di eterna ostilità nei confronti di Israele.
Con questi metodi, gli arabi riuscirono a fare di Israele un paria della politica internazionale, rendendolo oggetto di un maggior numero di polemiche e di voti sfavorevoli alle Nazioni Unite rispetto a qualsiasi altro Paese. Proprio come l'Europa cristiana una volta accusava gli ebrei dei vari mali esistenti nel continente, così un numero eterogeneo di Paesi vituperava regolarmente Israele e lo incolpava di tutti i problemi. Con più di venti voti alle Nazioni Unite, controllando gran parte del petrolio disponibile nel mondo ed essendo in possesso di ingenti risorse finanziarie, gli arabi avevano il potere di imporre le proprie opinioni agli altri e lo utilizzarono per elevare l'antisemitismo al livello della politica internazionale.
L'Unione Sovietica è stata ovviamente un partner prezioso in questa impresa, perché, a livello internazionale, ha considerato Israele utile per attirare il consenso antioccidentale e per giustificare le proprie politiche antisemite a livello interno. Tra le maggiori potenze, la Francia e il Giappone sono state quelle che hanno fatto di più per evitare di offendere gli arabi, ma come ha dimostrato "l'iniziativa europea" del Mercato comune del 1980, questo approccio ha finito per diffondersi in gran parte del mondo occidentale.
E non soltanto nel mondo occidentale: anche altri Paesi musulmani hanno seguito l'esempio, persino quelli in cui non vivono ebrei. Un articolo d'opinione pakistano ha osservato che "è risaputo che gli ebrei rapiscono i bambini cristiani, li torturano e li uccidono". Quando gli estremisti musulmani in Indonesia hanno dirottato un aereo di linea, una delle loro richieste era l'espulsione di tutti gli "agenti ebrei" dall'Indonesia. La Malesia si distingue per essere un focolaio di antisemitismo. Il primo ministro Mahathir Mohamed ha scritto un libro intitolato The Malay Dilemma che attacca gli ebrei (la loro "avarizia e il loro genio finanziario hanno fatto guadagnare loro il controllo commerciale dell'Europa") e un leader politico malese ha annunciato in occasione della "Giornata antiebraica" che "il nostro obiettivo è distruggere gli ebrei". Forse l'esempio più peculiare è stato il rifiuto da parte del governo malese di consentire alla New York Philharmonic di eseguire la rapsodia ebraica per violoncello e orchestra, Schelomo, di Ernest Bloch, che ha portato all'annullamento del concerto del 1984 della NY Philharmonic orchestra a Kuala Lumpur.
Tuttavia, vale la pena ricordare che fra i musulmani l'antisemitismo, pur rafforzandosi, continua ad essere perlopiù un'arma politica e non una profonda malattia sociale. Il caso di Anwar as-Sadat ne è la prova: nel 1953, egli scrisse un elogio commemorativo di Hitler ("Puoi essere orgoglioso di essere diventato il leader immortale della Germania") e nel 1979 fece la pace con Israele.
Sensibilità occidentale
La deliberata cooperazione di numerosi occidentali – gruppi protestanti, attivisti per i diritti umani, reporter, comitati accademici e un numero crescente di progressisti – i quali per una serie di motivi cercavano un forum rispettabile in cui esprimere le proprie opinioni sugli ebrei ha notevolmente rafforzato l'impatto dell'antisemitismo musulmano.
Ci sono molte organizzazioni in America la cui unica attività sembra essere quella di monitorare e giudicare ogni mossa di Israele, e che sembrano conoscere un'incredibile quantità di informazioni sugli alloggi in Cisgiordania, sulla proprietà delle compagnie elettriche a Gerusalemme, sull'utilizzo dell'acqua del fiume Giordano e sugli espropri per pubblica utilità. Tali gruppi si oppongono a gran voce a quasi tutti i tentativi israeliani di autodifesa, che si tratti dell'OLP in Libano, dell'acquisto di armi americane, dell'arresto di terroristi o del bombardamento del reattore nucleare iracheno. Si mostrano talmente soddisfatti nel formulare accuse di tortura o di altri abusi commessi da parte degli israeliani che si è tentati di pensare che il loro vero obiettivo sia quello di attaccare gli ebrei e non di aiutare gli arabi.
Nulla lo rivela così chiaramente come le preoccupazioni umanitarie riversate sui palestinesi. Sotto ogni profilo, le questioni relative ai diritti umani che coinvolgono Israele sono minori: i palestinesi sono pochi rispetto alle altre popolazioni sfollate a seguito della Seconda guerra mondiale (tedeschi, coreani, indiani, pakistani); non muoiono di fame e la loro vita non è in pericolo. E allora perché la loro situazione desta preoccupazione quasi quanto quella generata da tutti gli altri rifugiati? Che dire dei tatari o tartari di Crimea, strappati di notte alla loro terra natia, il 18 maggio 1944, e da allora è stato proibito loro di farvi ritorno? E i profughi ebrei provenienti dai Paesi arabi? La tristezza di un campo profughi palestinese è a malapena paragonabile alla sofferenza dei vietnamiti e dei cambogiani, e fra i popoli musulmani, i somali e gli afghani hanno patito tribolazioni ben peggiori. Visti i problemi di altri profughi che attirano poca o nessuna attenzione, non si può fare a meno di notare che il benessere dei palestinesi interessi a molti solo nella misura in cui può essere utilizzato per danneggiare gli ebrei.
I nemici di Israele giustificano la loro preoccupazione ossessiva nei suoi confronti rilevando l'importanza cruciale dello Stato ebraico nel mettere a repentaglio le forniture petrolifere degli arabi e nell'indebolire la loro opposizione all'Unione Sovietica. Se solo Israele accettasse le richieste arabe, secondo la logica, il Medio Oriente diventerebbe più stabile; questo, a sua volta, ridurrebbe sia le preoccupazioni energetiche statunitensi sia il pericolo sovietico. In pratica, sostengono i nemici di Israele, il destino dell'intero Medio Oriente, con le sue enormi risorse, dipende dal minuscolo Israele. Pertanto, in Libano, si è sentito asserire che "la fornitura di petrolio [offerta dall'Iran] a buon mercato a Israele è stata la causa dell'eccesso globale di greggio". Queste analisi non plausibili richiamano incredibilmente l'idea che la seconda venuta (di Cristo) avverrà dopo la conversione del popolo ebraico. In ambo i casi, gli ebrei sono cruciali per il destino del mondo, e in entrambi, il ruolo indesiderato che è stato loro imposto si ripercuote su di loro ed esorta all'antisemitismo.
In effetti, Israele non è così importante per il Medio Oriente. A parte boicottaggi temporanei e insostenibili, finora non ha influenzato in modo significativo il commercio internazionale del petrolio; il conflitto arabo-israeliano ha avuto un impatto nettamente inferiore sulle forniture di petrolio rispetto agli sviluppi avvenuti in seno agli stessi Paesi petroliferi, come la rivoluzione in Iran o la guerra fra Iran e Iraq. Inoltre, non c'è alcun motivo per cui questo dovrebbe cambiare. Per quanto riguarda la minaccia sovietica, Israele, lungi dal mettere in pericolo la regione, è il partner più affidabile dell'Occidente, l'unico Paese politicamente stabile in Medio Oriente e il solo ad avere l'intenzione e i mezzi per resistere alle invasioni sovietiche.
Nell'orchestrare la loro campagna contro Israele, i portavoce arabi hanno fatto una grande distinzione tra antisionismo e antisemitismo, ma nella vita reale questa distinzione si rivela pretestuosa. Anche se in teoria l'ostilità verso Israele non dovrebbe colpire gli ebrei di tutto il mondo (e i portavoce arabi lo ripetono fino alla nausea), il fatto che la grande maggioranza degli ebrei sostiene attivamente la causa di Israele fa sì che l'antisionismo finisca per non sembrare diverso dall'antisemitismo. Se l'antisionismo fosse davvero la loro unica preoccupazione, i terroristi palestinesi non ucciderebbero viaggiatori, uomini d'affari e bambini ebrei in Europa occidentale; né fornirebbero armi e addestramento ai gruppi paramilitari neonazisti tedeschi, secondo quanto riportato. La pretesa di distinguere l'antisionismo dall'antisionismo è pertanto insostenibile.
Ma sostenere la violenza contro gli ebrei non è il peggior problema creato dall'antisemitismo musulmano, perché l'influenza degli Stati arabi su molte delle istituzioni chiave del mondo occidentale pone pericoli assai più grandi a lungo termine. Per quanto possibile, l'Arabia Saudita, la Libia e altri governi boicottano segretamente gli ebrei, indipendentemente dal loro orientamento politico. Alcuni Paesi arabi si rifiutano di rilasciare visti agli ebrei e incaricano i loro agenti di evitare di trattare con loro. Per la prima volta da decenni, ci sono incentivi reali per rendere le istituzioni judenrein, ossia ripulite dagli ebrei. Negli Stati Uniti, ci sono leggi che lo vietano, ma con cura e ingegno possono essere aggirate.
Gli sforzi arabi hanno importanti implicazioni per la posizione ricoperta degli ebrei in molte importanti aziende, studi professionali, università e persino agenzie governative. (La pressione araba ha un'influenza decisamente minore sulle piccole imprese, sui piccoli giornali, sui college della comunità e sui politici locali, che hanno poco da offrire loro, rispetto a quanto ne abbia sulle più grandi società, sugli imperi della stampa, sulle reti nazionali, sulle più grandi università e sul governo federale. Questi hanno contatti più frequenti con gli arabi e traggono il maggior profitto e i massimi vantaggi dal placarli. E segnano il passo da seguire per le istituzioni più piccole.) Gli atteggiamenti arabi fanno sì che gli ebrei siano un ostacolo agli affari. Come ha notato un uomo d'affari americano dopo aver concluso un accordo, i libici "semplicemente non vogliono avere a che fare con gli ebrei o con chiunque altro lo faccia". Nella migliore delle ipotesi, gli ebrei sono tacitamente esortati a stare alla larga dalle questioni mediorientali; nel peggiore dei casi, sono visti come potenziali piantagrane che potrebbero intentare azioni legali o suscitare scalpore sulla stampa: pertanto, è meglio non assumerli ed evitare complicazioni.
A un certo punto, anche il Corpo degli Ingegneri dell'Esercito degli Stati Uniti ha ammesso l'esclusione degli ufficiali ebrei dai progetti in Arabia Saudita. I leader sauditi non molto tempo fa hanno rifiutato di accettare un alto diplomatico britannico come ambasciatore quando hanno saputo che era ebreo. Gheddafi ha affermato che le relazioni fra Libia e Stati Uniti potrebbero migliorare soltanto se nessun ebreo detiene posizioni influenti nel Consiglio di sicurezza nazionale o nel Dipartimento di Stato.
Gli ebrei sono colpiti dall'antisemitismo arabo non solo nel mondo del commercio internazionale e della diplomazia. I sauditi forniscono silenziosamente denaro a una varietà di gruppi antiebraici, compresi quelli che diffondono opere di letteratura negazionista della Shoah. Per fare solo un esempio, William Grimstead, autore di The Six Million Reconsidered, ha lavorato dopo il 1977 come agente saudita registrato.
Alcuni dei casi meglio documentati di discriminazione antiebraica provengono dalle università, forse perché i professori di ruolo non devono temere le conseguenze di una denuncia. I Paesi arabi hanno spesso offerto alle università americane borse di studio e contratti pregiudizievoli per gli ebrei. Quasi inevitabilmente tali borse di studio, che spesso sono destinate agli studi mediorientali e islamici, sono soggette a condizioni. I donatori sono tenuti a promuovere le loro opinioni politiche e sulla religione e raramente si sforzano di nascondere i loro obiettivi. Scoraggiano l'insegnamento dell'ebraico, fanno del loro meglio per eliminare gli studi ebraici dai programmi sul Medio Oriente ed esercitano pressioni per bandire del tutto Israele dai percorsi formativi. È superfluo dire che le istituzioni accademiche che ricevono finanziamenti dagli arabi o dai loro partner commerciali (le compagnie petrolifere e le imprese edili, in particolare) sono sottoposte a notevoli pressioni per soddisfare tali richieste, creando un'atmosfera ostile agli ebrei (e ancora di più agli israeliani).
Il caso di un giovane professore israeliano dell'Università del Texas ha fatto notizia quando il Middle East Center ha tentato di bloccare la sua nomina da parte del dipartimento di storia, temendo che la sua presenza potesse inimicarsi i suoi benefattori arabi. Di fatto, anche alcune delle scuole più prestigiose escludono gli ebrei dagli incarichi didattici: ovviamente, nessuno lo ammette, ma il modello di assunzione è troppo coerente per essere casuale, soprattutto alla luce dei numerosi studenti e laureati ebrei in questi ambiti.
A volte, le pressioni arabe diventano talmente palesi che le forze esterne sono costrette a intervenire. Nel 1976, il governo saudita donò 1 milione di dollari alla University of Southern California per istituire la cattedra re Faysal di studi arabi e islamici. Una condizione del finanziamento era "l'accordo" secondo cui "il primo titolare della cattedra sarà il professore Willard A. Beling [e che] i futuri titolari sarebbero stati scelti dall'Università di concerto con il ministro saudita dell'Istruzione superiore". Inutile aggiungere che i governi stranieri non esercitano mai tali diritti sugli incarichi accademici negli Stati Uniti. Beling, un burocrate di ARAMCO con poche credenziali accademiche (e nessuna in studi arabi e islamici), nel maggio 1978, organizzò una conferenza in onore di re Faysal. In quel contesto, uomini d'affari di quaranta multinazionali con interessi in Arabia Saudita appresero che i sauditi sarebbero stati lieti se le loro aziende avessero contribuito alla creazione di un Middle East Center, un Centro per il Medio Oriente presso la University of Southern California, sotto la direzione di Willard A. Beling. Il Centro sarebbe stato finanziato dalla Middle East Center Foundation, guidata nientemeno che dallo stesso Beling.
Alla fine, la proposta del Middle East Center non è sopravvissuta all'attenzione dell'opinione pubblica. Quando i gruppi ebraici hanno contestato le numerose irregolarità nei finanziamenti e nel controllo, e i giornali di Los Angeles hanno reso note tali irregolarità il consiglio di amministrazione dell'USC in seguito ha bocciato gli accordi originali. Ciò ha spinto un vicepresidente della Fluor Corporation, uno dei principali sostenitori del Middle East Center, ad accusare "la stampa ebraica" di aver distorto l'intera vicenda.
Ma violare le procedure in questo modo è raro per i sauditi, i quali, in genere, esprimono le loro opinioni con molto più tatto e discrezione. Per la maggior parte, il loro antisemitismo tende ad assumere forme più vaghe e meno comprabili: è più una questione di stato d'animo che di manifesta azione. (Dopotutto, non c'è alcun ricorso legale per qualcuno che è stato fatto sentire non gradito.) Con il tempo, le tattiche arabe in Occidente stanno diventando sempre più raffinate e meno suscettibili al tipo di interessamento mostrato dall'opinione pubblica al caso della University of Southern California.
In effetti, gran parte del problema risiede nella crescente rispettabilità dell'antisemitismo musulmano, poiché colpisce le istituzioni più centrali e importanti d'America. In altre parole, il problema risiede molto più nelle relazioni con l'Arabia Saudita che in quelle con la Libia. Quest'ultima ha la fama, ben meritata, di incoraggiare i movimenti fanatici e violenti. Dal momento che Gheddafi oltrepassa seriamente il limite e pochissimi americani oserebbero intrattenere relazioni con lui, le sue possibilità di fare danni si sono costantemente ridotte. Ma non si può dire lo stesso degli altri Paesi arabi. Ciò è stato clamorosamente dimostrato nel febbraio 1981 quando i membri del consiglio di amministrazione della Georgetown University hanno votato per restituire alla Libia, con tanto di interessi, 600 mila dollari per istituire una cattedra nel suo Centro per gli Studi Arabi Contemporanei, trattenendo, però, al contempo circa 3,5 milioni di dollari da altri governi arabi. Un portavoce di un'organizzazione ebraica non ha protestato contro questo distinguo, osservando che "soltanto la sovvenzione libica ci è sembrata offensiva in quanto il colonnello Gheddafi era il sottoscrittore della sovvenzione così come del terrorismo internazionale".
Raramente, gli sceiccati del Golfo Persico vengono accusati di sostenere il terrorismo (nonostante il loro aiuto all'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e a numerosi altri gruppi) poiché questi Paesi sono alleati dell'America e ampiamente considerati conservatori e moderati. Tuttavia, in materia di antisemitismo, non sono da meno dei libici, degli iracheni, degli iraniani o di altri radicali. Il pericolo saudita supera quello libico proprio a causa della buona reputazione dell'Arabia Saudita e del linguaggio generalmente ragionevole; alcuni dei più rispettabili politici e avvocati di Washington figurano tra i suoi lobbisti. Mai in America l'antisemitismo ha avuto una così buona reputazione, mai si è insinuato in così tante istituzioni centrali.
Ed è per questo che le tendenze antisemite già presenti in America e in Europa vengono ulteriormente incoraggiate dal denaro arabo, con effetti pericolosi. Paradossalmente, il nuovo antisemitismo musulmano è per certi versi meno una minaccia per gli ebrei in Medio Oriente, dove rimane un'importazione priva di radici locali, di quanto lo sia per gli ebrei nei Paesi occidentali, dove tocca un nervo molto profondo.