Con la ripresa di ieri del percorso negoziale tra Israele e Siria, c'è una vasta concordanza sul fatto che un trattato sia quasi imminente. Come osservatore di lunga data della Siria, ho alcuni spunti di riflessione da offrire.
*L'economia siriana è andata in pezzi in modi che echeggiano ciò che sta avvenendo in Iraq. In entrambi i luoghi, un governante totalitario sacrifica il benessere del suo popolo per assicurarsi il potere.
In un recente articolo del Middle East Quarterly, l'economista Steven Plaut elenca i segni di quel sacrificio: la percentuale di bambini siriani nati nelle strutture sanitarie è solo del 37 per cento, uno dei tassi più bassi al mondo al di fuori dell'Africa subsahariana. La Siria ha meno trattori pro capite rispetto a Cuba. Secondo le ultime stime, in tutto il Paese ci sono 5.000 fax. Nell'intero sistema bibliotecario accademico siriano sono presenti tanti volumi quanti ne contiene una biblioteca di buone dimensioni in Occidente.
Poiché questo collasso economico si traduce in debolezza militare, ci si deve chiedere perché Israele sia così entusiasta di un accordo con un regime la cui base è stata erosa in modo così rilevante.
Come suggerisce Plaut, "la frenesia da parte di Israele di raggiungere un accordo con [il presidente siriano Hafez al-] Assad è assurda quanto la fretta avuta dagli Stati Uniti nel 1989 di raggiungere accordi con l'Unione Sovietica". Perché non sedersi e aspettare una Siria ancora più indebolita? Magari anche un regime post-Assad?
*C'è un altro parallelismo con l'Iraq. Come Saddam Hussein, Assad non fa che firmare accordi internazionali quando questi gli sono utili, per poi ignorarli quando non servono più ai suoi scopi.
Ha promesso tre volte di rimuovere le sue truppe dal Libano, nel 1976, nel 1982 e nel 1989, ma 35.000 soldati occupano ancora quel Paese. Ha promesso 18 volte di aiutare a porre fine al terrorismo del gruppo curdo PKK contro la Turchia, ma ogni volta non ha mantenuto la sua parola.
Così anche con Israele, in particolare per quanto riguarda l'accordo per la separazione delle forze del 1974, Assad ha promesso a Gerusalemme che "i civili siriani torneranno" nel territorio evacuato dalle forze israeliane nel 1974, come segnale delle sue intenzioni pacifiche, ma così non è stato: ci sono soltanto soldati. Negli anni Settanta, ha consentito operazioni terroristiche contro Israele attraverso le alture del Golan. Nel 1992, ha trasferito commando e artiglieria pesante nella zona demilitarizzata tra il suo territorio e quello di Israele.
Perché qualcuno dovrebbe credere che Assad, più di Saddam, manterrà la sua parola?
*Come tutti i bulli, Assad comprende solo il linguaggio della forza e fa marcia indietro di fronte all'opposizione. Ciò è stato dimostrato in modo spettacolare l'anno scorso quando il governo e la società turchi, in un atto tappezzato di solidarietà e caparbietà, hanno chiesto l'espulsione del leader del PKK, Abdullah Ocalan, dalla Siria. Poiché i politici turchi hanno lanciato avvertimenti velati a Damasco e i media turchi hanno parlato di azione militare, il regime di Assad ha rapidamente capitolato.
Questo episodio lascia intendere che se anche Israele vuole ottenere ciò che vuole (ad esempio, fermare gli attacchi di Hezbollah dal Libano), dovrebbe minacciare piuttosto che blandire.
*Il protocollo della diplomazia richiede che i capi di governo trattino soltanto con le loro controparti, mentre i ministri degli Esteri, gli ambasciatori e simili lavorino anche con i loro pari.
E così, è sorprendente, e anche emblematico, che Ehud Barak, leader di Israele, abbia deciso di incontrare il ministro degli Esteri Farouq al-Sharaa, che di fatto non ha alcun potere in Siria. La Siria è uno spettacolo condotto da un unico artista, con Assad che prende ogni decisione chiave e persone come al-Sharaa che agiscono semplicemente come consiglieri, portavoce ed esecutori dei suoi desideri.
Il fatto che la parte israeliana acconsenta a questo schema iniquo fa pensare che essa sia quasi alla disperata ricerca di raggiungere un accordo con Damasco, e ovviamente non è un'ottimale posizione negoziale.
*Un esame dei negoziati tra Israele e Siria dal 1991 rivela l'estrema riluttanza di Assad a parlare con gli israeliani, e a raggiungere qualsiasi tipo di accordo con loro. Di volta in volta, inventa un pretesto per stare lontano dal tavolo o per bloccare le trattative.
Si può solo speculare sulle sue ragioni per farlo: credo che egli tema che un accordo con Israele segnalerebbe alla popolazione siriana un'apertura all'Occidente e la fine del governo totalitario, che a sua volta farebbe perdere a lui (o al suo successore) il controllo del Paese.
Qualunque siano le ragioni di questo comportamento persistente, i precedenti fanno pensare che Damasco escogiterà ancora una volta una ragione per interrompere questo round di negoziati ben prima di arrivare a ottenere un accordo firmato.
E proprio a causa di un regime siriano inaffidabile e di una leadership israeliana non strategica, nessun accordo è imminente.