La nebbiosa ambiguità delle parole rappresenta un grosso ostacolo alla comprensione della storia e della politica del Medio Oriente. Geografia, popoli e culture dell'area sono nascosti da termini usati in modo inconsueto e incoerente. Di conseguenza, nelle pagine seguenti, vengono esaminati quattro termini chiave e con ciascuno di essi io cerco (1) di delineare i diversi modi in cui il vocabolo viene utilizzato e (2) di proporne una definizione pratica e di buon senso.
Il Medio Oriente. Gli amministratori coloniali britannici coniarono questo termine poco prima del 1900 per riferirsi alle regioni dell'Impero britannico che si trovavano tra il Vicino e l'Estremo Oriente, tra il Levante e l'Asia orientale. L'India Office (il Ministero britannico dell'India, N.d.T.) amministrò quest'area; quando gli inglesi lasciarono l'India e l'India Office chiuse i battenti, il Medio Oriente perse la sua precisa definizione amministrativa e nel linguaggio comune venne inteso indistintamente come una regione che comprende territori dell'Asia sudoccidentale. "Vicino Oriente" e "Medio Oriente" persero la loro specificità e si fusero in un unico significato, così che oggi i due termini sono praticamente identici.
Come termine geografico, "Medio Oriente" non è un'espressione felice: tradisce un pregiudizio eurocentrico non in linea con la realtà odierna e in una mappa dell'Eurasia, questa regione non si trova nel Medio Oriente, ma nel centro ovest. Ma ha ormai ottenuto un ampio riconoscimento nei nomi di innumerevoli istituti, riviste, titoli di libri e uffici governativi. Inoltre, questo termine è stato adottato non solo in quasi tutte le lingue usate al di fuori del Medio Oriente, ma anche nelle lingue di quella regione (arabo, persiano, turco, ebraico, curdo, armeno, assiro etc.). Nonostante la sua imprecisione, il "Medio Oriente" è qui per restare; abbiamo quindi bisogno di una definizione esatta per esso.
La mia indagine informale mostra che non ci sono due persone concordi sui precisi confini del Medio Oriente. Alcuni lo estendono fino alla Mauritania, a ovest, e all'India, a est, dai Balcani e dall'Asia centrale, a nord, fino al Corno d'Africa, a sud. All'altro estremo, qualcuno riduce la regione fino alla Mezzaluna Fertile (Iraq, Siria, Libano, Israele e Giordania), alla Penisola arabica e all'Egitto.
La scelta di confini sensati per il Medio Oriente richiede innanzitutto la necessità di definire ciò che tiene insieme la regione unitariamente: il suo ambiente e la cultura. Sebbene qualsiasi definizione di Medio Oriente generi una regione bizzarra e deforme, priva di coerenza geografica, presenta però elementi ambientali comuni: tutta l'area si trova in una zona arida dal clima caldo. Di conseguenza, alcuni tratti sono presenti in gran parte della regione: deserti, cammelli, oasi e giacimenti di petrolio. Il Medio Oriente ha anche caratteristiche culturali che vengono subito in mente: l'Islam, una molteplicità di minoranze, i suq, le donne velate, gli harem, una proverbiale ospitalità, la consuetudine di bere caffè e così via dicendo.
Una definizione sensata, anche se limitata, del Medio Oriente. |
Ma ciò che più conta è che questa regione ha sempre formato un'unica grande unità culturale, dai tempi più antichi fino ai giorni nostri, un periodo di circa cinquemila anni. La sua storia si divide in tre lunghe epoche: antica, greco-romana e islamica. Nel periodo più antico, l'intero Medio Oriente prese parte alla civiltà che prima si sviluppò e poi si diffuse dalla Mesopotamia all'Egitto. In epoca greco-romana, fu l'area conquistata da Alessandro Magno: per secoli, il Medio Oriente subì forti influenze ellenistiche [2]. In epoca islamica, il Medio Oriente costituisce il cuore dell'Islam, una regione in cui l'Islam ha avuto l'influenza più lunga e pervasiva e in cui i musulmani sono la stragrande maggioranza della popolazione.
Arabi. Per "arabi" s'intendono tre diversi gruppi: Popoli arabofoni che vivono (1) in Arabia, (2) in Medio Oriente oppure (3) ovunque [3]. Queste tre categorie vengono sistematicamente confuse e utilizzate in modo indiscriminato.
Gli arabi che appartengono alla prima categoria vivono nei deserti della Penisola arabica (in Arabia Saudita, Oman, negli staterelli del Golfo Persico o in Yemen) oppure risiedono altrove, ma fanno risalire i propri antenati a quell'area geografica. La lingua araba si è sviluppata in Arabia; i suoi abitanti sono stati chiamati "arabi" per migliaia di anni. Sebbene il vocabolo inglese "Arab" assomigli molto alla parola 'arab usata in arabo per indicare queste persone, anche la lingua inglese ha un termine più chiaro e specifico per loro che è Arabian. Molto meno ambiguo di "Arab", Arabian dovrebbe essere usato per riferirsi ai popoli della Penisola che contano circa dodici milioni di persone.
Un secondo significato di "Arab" include sia gli arabi sia gli arabofoni dei Paesi adiacenti: la Mezzaluna Fertile, lo Yemen e talvolta l'Egitto. Se si include l'Egitto, questo abbraccia tutti gli arabi del Medio Oriente [4], che sono circa ottanta milioni (quarantadue milioni senza l'Egitto).
Infine, il termine "Arab" è usato per riferirsi agli arabofoni che vivono ovunque, sia in Medio Oriente sia nell'Africa settentrionale. In Africa, predominano in Marocco, Algeria, Tunisia, Libia e in Egitto; sono numerosi anche in Mauritania, Sudan, Etiopia e in Somalia. Complessivamente gli arabofoni contano circa 140 milioni di persone.
Anche in questa definizione più ampia, non tutti gli arabofoni vengono chiamati arabi. I membri di gruppi minoritari a volte si identificano più con il loro gruppo che con la lingua araba; questi includono gli ebrei arabofoni, i drusi e i baha'i. Una definizione più precisa del terzo significato potrebbe essere: un musulmano o un cristiano autoctono arabofono.
Questi tre tipi di arabi vivono in aree concentriche asimmetriche: (1) l'Arabia; (2) l'Arabia, la Mezzaluna Fertile e forse l'Egitto; (3) l'Arabia, la Mezzaluna Fertile e il terzo settentrionale dell'Africa. Caveat emptor: nel linguaggio e nella scrittura, le diverse accezioni del termine arabo vengono adoperate senza proposito e talvolta in modo intercambiabile; è importante accertare a quale gruppo si riferisce il termine.
Come si sono evolute queste tre accezioni parallele ma distinte? Il termine Arab come Arabian è l'uso originario, antico e autoctono; gli altri due usi sono più recenti e richiedono una spiegazione. Entrambi i termini risalgono a circa un secolo fa, ai primi moti del nazionalismo arabo. Il concetto di popolo arabo, un popolo legato dall'uso comune della lingua araba, sorse solo alla fine del XIX secolo.
Per quanto strano possa sembrare ora, prima di allora non è mai esistita un'idea del genere. Nei secoli precedenti, gli arabofoni si identificavano per religione e per regione, quasi mai per lingua. La lingua divenne un importante elemento di identità soltanto sotto l'impatto del pensiero politico europeo. L'idea della lingua che definisce un popolo suscitò una forte risposta tra gli arabofoni del Medio Oriente. Gli arabi cristiani ripresero tale idea per primi: enfatizzando la lingua, trovarono un modo per colmare le differenze religiose che esistevano tra loro e il vasto numero di musulmani di lingua araba che li circondavano. L'enfasi posta dai cristiani sul termine "Arabic" come base della nazionalità divenne rapidamente dilagante tra i musulmani, che associarono il termine all'Islam. In poco tempo, l'idea di un unico popolo arabo ottenne un ampio consenso in Medio Oriente.
Dal 1890 fino alla Seconda guerra mondiale, il termine Arab si riferiva agli arabofoni del Medio Oriente (la seconda definizione di cui sopra). La terza accezione è derivata in seguito dalla seconda: inesorabilmente, il termine Arab arrivò a includere tutti coloro che parlavano arabo. L'Egitto divenne arabo alla fine della Seconda guerra mondiale (evento segnato dall'istituzione del quartier generale della Lega araba al Cairo), seguito dai Paesi nordafricani negli anni Cinquanta, dalla Mauritania negli anni Sessanta e dalla Somalia negli anni Settanta. Questo terzo significato è ora così saldamente radicato che è difficile immaginare come pochi di questi popoli si considerassero arabi fino a tempi recenti.
Di queste tre accezioni qual è la più utile? La prima può sempre essere sostituita da Arabian; la terza è troppo ampia e nella maggior parte dei casi, Arab si riferisce in modo più accurato agli arabofoni del Medio Oriente (in Arabia, la Mezzaluna Fertile, in Egitto) proprio come faceva nella prima parte di questo secolo. Gli arabofoni mediorientali hanno abbastanza cose in comune da giustificare un'unica denominazione per loro, mentre non è così per la grande totalità degli arabofoni.
La geografia, la storia, l'antropologia, l'economia e l'elevata cultura degli arabofoni mediorientali mostrano coesione. Condividono un ecosistema (la zona arida vicina ai deserti), una civiltà comune che risale a cinquemila anni fa (antecedente ai quasi millecinquecento anni da quando molti di questi arabofoni hanno iniziato a parlare arabo) e un'eredità politica (quattrocento anni di dominio ottomano, dal 1517 al 1915). Gli arabofoni mediorientali sono sempre stati in stretto contatto tra loro; le loro tradizioni popolari e l'alto livello culturale variano relativamente poco.
È difficile collocare l'Egitto all'interno di questo schema perché la sua popolazione ha spesso eguagliato quella dell'Arabia e della Mezzaluna Fertile messe insieme. Questo Paese si distingue però nettamente, poiché, sebbene esso sia sempre stato in stretto contatto con il resto del Medio Oriente, l'isolamento e le dimensioni hanno creato la sua originale e peculiare cultura.
Mentre gli arabofoni del Medio Oriente, con o senza l'Egitto, condividono molti aspetti della vita in comune, lo stesso non si può dire per gli arabofoni africani. I nordafricani condividevano poco in epoca preislamica tra di loro e con il Medio Oriente; anche in epoca islamica passarono attraverso varie dominazioni, svilupparono culture popolari, modelli economici e accenti religiosi sorprendentemente diversi.
Gli arabofoni dell'Africa condividono solo tre caratteristiche importanti con quelli del Medio Oriente: la religione, un'elevata cultura e l'antipatia per Israele.
1. Poiché la maggior parte degli arabofoni sono musulmani, condividono tutto ciò che l'Islam porta (su questo, si veda sotto la definizione di Islam). Eppure, l'Islam non ha nulla a che fare con la lingua: tutti i musulmani, che parlino arabo o meno, condividono l'Islam. Le caratteristiche islamiche non sono associate al parlare arabo.
2. Mentre i dialetti parlati dell'arabo differiscono ampiamente l'uno dall'altro, l'arabo standard è praticamente ovunque lo stesso sia nella sua forma parlata sia in quella scritta. Avere dialetti divergenti e una lingua universale ha l'effetto di isolare la cultura degli istruiti dalle influenze locali, rendendola appannaggio di tutti gli arabofoni istruiti. Proprio come l'Europa medievale condivideva una cultura latina soggetta a poche influenze locali, così l'alta cultura araba è l'eredità comune degli arabofoni istruiti, indipendentemente dalla posizione geografica.
3. A livello politico, un'ostilità unificata verso Israele funge da principale veicolo per esprimere la solidarietà arabofona. Su questo punto l'identità araba ha ispirato sentimenti quasi simili (se non una politica simile); per questo motivo, uscire dai ranghi nei confronti di Israele provoca urla di protesta tra gli arabi. Eppure, anche qui, gli arabofoni dell'Africa (in Marocco, Tunisia e in Egitto) si distinguono dai mediorientali per la loro flessibilità.
Da questa valutazione degli arabi derivano due ultimi punti: in primo luogo, non c'è alcuna base storica per un "popolo arabo" e ancor meno per una "razza araba". Gli arabofoni contano tra loro popoli diversi come arabi, yemeniti, egiziani e berberi. Condividere una lingua non implica nulla in merito alle qualità etniche o razziali di queste popolazioni.
In secondo luogo, negli ultimi vent'anni, una chiassosa campagna finalizzata a unire tutti gli arabofoni ha catturato un'ampia attenzione internazionale. L'ideologia nazionalista panaraba ignora i confini nazionali esistenti a favore di un'unica nazione composta solo da arabofoni, che si estende idealmente dall'Iran all'Atlantico. Uno Stato arabo universale ha un fascino diffuso, ma è del tutto inutile: gli arabofoni sono troppo eterogenei, troppo sparsi, troppo fratturati politicamente per potersi unire. Il totale fallimento dei ripetuti tentativi di fusione dal 1958 (il più recente è stato tra Libia e Siria) implica che anche gli sforzi futuri crolleranno. Il nazionalismo panarabo ha avuto una sfortunata influenza sulla vita politica araba, nonostante il suo evidente fallimento. Impedisce alle nazioni di dedicare piena attenzione agli affari interni a favore di uno sterile avventurismo straniero; ha ispirato intransigenza e guerra contro Israele; e coinvolge le relazioni tra i governi arabi. Ad esempio, gli ideali del panarabismo diedero agli stranieri (siriani, iracheni, libici, egiziani, sauditi) un incentivo nel partecipare alla guerra civile libanese del 1975-1977 e ne giustificarono le azioni, sebbene queste trasformassero una faida locale in una conflagrazione nazionale.
Ricapitolando: nell'alta vita culturale e politica moderna [5], il termine Arab sta per "tutti gli arabofoni", alternativamente il vocabolo ha più senso come "arabofoni del Medio Oriente".
Semiti: Si ritiene che soprattutto ebrei ed arabi, ma anche altre popolazioni che parlano lingue semitiche, siano etnicamente e razzialmente imparentati per due motivi: il racconto biblico della Genesi 10-11 e gli elementi comuni nelle loro lingue.
Il termine semita deriva dal nome proprio Sem, figlio di Noè e antenato di Abramo di nona generazione. Abramo a sua volta generò Isacco e Ismaele, progenitori rispettivamente degli ebrei e degli arabi. Quindi, secondo la Bibbia, ebrei e arabi condividono antenati comuni.
Pur prendendo questo racconto biblico come verità assoluta, esso dice poco sugli ebrei e sugli arabi odierni, quattromila anni dopo. Pochi ebrei di oggi discendono unicamente dagli antichi ebrei; e abbiamo già notato che il termine Arab, che originariamente si riferiva ai popoli della Penisola arabica, venne a indicare un gruppo di popoli molto più ampio. I legami familiari tra ebrei e arabi nell'antico passato non significano quasi nulla oggi.
August Ludwig von Schlözer ha coniato il termine "semita". |
Gravi problemi sorgono, però, quando il termine viene applicato alle persone. In breve, "coloro che parlano lingue semitiche" sono chiamati "popoli semitici" o semplicemente "semiti": e qui sta l'insidia. Questo trasferimento di significato implica che le persone che parlano lingue affini sono anche legate genealogicamente o etnicamente. Ma le lingue non forniscono una guida affidabile per la razza, per il semplice motivo che cambiano. Alcune lingue si diffondono, altre vengono dimenticate. Il flusso linguistico rende solitamente impossibile definire l'ascendenza di un popolo in base alla sua lingua o alla famiglia linguistica. Due esempi dovrebbero chiarirlo.
Fino al XII secolo circa, l'inglese era parlato esclusivamente da un piccolo popolo insulare che abitava nel sud-est della Gran Bretagna; nei secoli successivi si diffuse in tutto il mondo e divenne la lingua madre per le persone di tutti i continenti. Mentre tutti gli anglofoni una volta condividevano un legame etnico, nessuno oggi può rivendicare questo in tutto il mondo, o anche solo negli Stati Uniti. L'imperialismo fu la chiave per la diffusione dell'inglese; quando gli inglesi conquistarono e si insediarono in America, in Africa, in India, in Australia e altrove, impartirono la loro lingua a nuovi popoli.
Il percorso grandioso dell'arabo ebbe luogo circa un millennio prima. Gli arabi si stabilirono in tutte le regioni dove attualmente si parla l'arabo subito dopo le loro conquiste nel VII secolo. Con il tempo, l'arabo soppiantò altre lingue e divenne la lingua madre di diversi popoli. Altre lingue semitiche si diffusero in modo simile, anche se meno impressionante. Sebbene pochi non ebrei adottassero l'ebraico, la composizione razziale degli ebrei cambiò sostanzialmente nel corso dei secoli; e le lingue semitiche in Etiopia soppiantarono le lingue non semitiche. Anche se la genealogia biblica che collegava arabi, ebrei e altri popoli antichi a Sem era assolutamente corretta, questo non ci dice praticamente nulla sui popoli che parlano lingue semitiche oggi.
In breve, non ci sono semiti, né una razza semitica, né una mentalità semitica, né un naso semitico. Il sostantivo semita non dovrebbe mai essere usato e l'aggettivo semitico si riferisce propriamente soltanto alla lingua e ad alcuni aspetti della cultura. Anche il termine antisemita non ha senso, perché una persona può essere antiebraica o antiaraba, ma presumibilmente non odia le lingue parlate da quei popoli [6].
Islam. Il termine "Islam" si riferisce a una religione o a una civiltà [7]. Nella sua prima accezione più stretta l'Islam è una fede monoteistica, paragonabile all'Ebraismo o al Cristianesimo; nel secondo uso, si confronta con la civiltà cinese, con quella indiana o con quella europea. Questi due significati di "Islam" implicano una divergenza sulla portata della sua influenza, e ci si chiede se esso sia limitato alle questioni spirituali o se sia un intero modo di vivere.
Questo argomento si riduce a un dibattito sugli elementi condivisi della vita musulmana. I sostenitori dell'Islam come civiltà evidenziano i numerosi tratti comuni della vita musulmana e affermano che l'Islam deve svolgere un ruolo; coloro che lo pensano non spiegano questi tratti senza fare riferimento all'Islam né sottolineano le molteplici differenze nei dettagli e nello spirito.
I fautori dell'Islam come religione si limitano a sostenere che esso non contribuisc a comprendere l'economia, la guerra, la vita urbana, l'organizzazione sociale o altri aspetti della vita musulmana: questi dipendono interamente da fattori di tempo e spazio, da specifici sviluppi storici. Per comprovarlo, i fautori dell'Islam come religione fanno notare la grande diversità tra i musulmani che spaziano dalle prime tribù dell'Arabia alle metropoli odierne, dalle savane dell'Africa occidentale ai tropici dell'Indonesia. Notano che i musulmani di una determinata regione, ad esempio l'India meridionale, condividono di più con i non musulmani che li circondano che con i musulmani di qualche luogo remoto, ad esempio, i Balcani. Li impazientiscono i tentativi di sfruttare l'Islam e di attribuirgli quasi tutto.
Coloro che prediligono un ampio uso dell'Islam accettano l'importanza del tempo e dello spazio, ma notano che l'influenza dell'Islam si fa sentire in molti ambiti al di là di quello strettamente spirituale. In primo luogo, l'Islam include un codice di leggi, la Shari'a, che regola praticamente ogni aspetto dell'attività umana. In secondo luogo, l'Islam ha storicamente portato con sé un gran numero di costumi, atteggiamenti e istituzioni che, sebbene non prescritti dalla Shari'a, sono diventati peculiari della vita musulmana. Questi includono i metodi di istruzione, il posto delle donne nella società, le relazioni tra governanti e governati e le reazioni all'Occidente moderno. Più una comunità è completamente islamizzata, più condivide con altri musulmani questi aspetti. Nonostante molte variazioni, i temi chiave riappaiono costantemente tra i musulmani dall'Africa occidentale all'Indonesia, dal VII secolo fino ad oggi.
Il muqarnas è una decorazione tipicamente islamica che si trova in molte parti del mondo. |
[1] Le zone cuscinetto comprendono: il Mar Mediterraneo, il Mar di Marmara, il Mar Nero, le montagne del Caucaso, il Mar Caspio, la steppa kazaka, l'Hindu-Kush, i deserti dell'Afghanistan, del Rajasthan, del Sistan e del Belucistan, l'Oceano Indiano, il Golfo Persico, il Deserto Nubiano e il Deserto Libico.
[2] L'ellenismo si protrasse per un periodo di tempo più breve in Iran (fino all'inizio del III secolo d.C.) e più a lungo in Anatolia (un intero millennio in più).
[3] Esistono anche altri due significati: abitanti del deserto di lingua araba (quest'accezione è comunemente usata tra gli stessi arabofoni, ma raramente in inglese) e musulmani. Sebbene l'identità di arabi e musulmani si manifesti comunemente, è assolutamente imprecisa; alcuni arabofoni non sono musulmani e la maggior parte dei musulmani non parla arabo.
[4] Compresi anche piccoli numeri in Iran, in Turchia, in Asia centrale e altrove.
[5] In epoca premoderna, il significato più ampio di "Arab" non aveva alcuna validità. Ovviamente, Israele non esisteva e gli arabofoni non avevano alcuna identità politica. Anche a livello culturale, il termine non serve a nulla, perché sebbene tutti gli arabofoni, allora come oggi, condividessero un'elevata cultura comune, anche molti altri musulmani la condividevano. Fino a qualche tempo fa, i musulmani istruiti imparavano l'arabo per studiare i testi religiosi e quelli giuridici; la conoscenza della lingua ha quindi aperto loro la strada per partecipare all'alta cultura araba. La letteratura e il pensiero astratto espressi in arabo sono rimasti una parte dell'eredità islamica comune fino ai tempi moderni, quando la maggior parte di coloro che non erano di madrelingua araba abbandonò l'arabo per le lingue europee.
[6] Naturalmente, il termine antisemita è solo un modo moderno per dire antiebraico e poche persone lo intendono come qualcos'altro; tuttavia l'inesattezza di questo termine provoca danni. Alcuni antisemiti sottolineano la loro simpatia per gli arabofoni a dimostrazione del fatto che non sono antisemiti; e gli stessi arabi possono anche affermare di essere incapaci di essere antisemiti poiché sono essi stessi semiti.
[7] Alcuni, illogicamente, usano anche "Islam" come espressione geografica.