Un altro scontro è appena iniziato per le forniture di armi statunitensi all'Arabia Saudita. L'amministrazione Bush desidera vendere a Riad 72 caccia F-15 all'avanguardia, ma una coalizione di oppositori è contraria. Entrambe le parti hanno buone argomentazioni e quindi non è ovvio cosa sia meglio fare per l'interesse nazionale americano. Per fortuna, una combinazione di conoscenze tecniche e diplomazia statunitense può escogitare un modo per raccogliere i frutti della vendita riducendo notevolmente gli svantaggi.
I sostenitori della vendita evidenziano l'utilizzo dell'accordo avvalorando le reali preoccupazioni per la sicurezza di un importante alleato e il fatto che l'accordo prevede l'impiego di circa 40 mila persone in cinque anni. Quando il Congresso bloccò nel 1986 la vendita di caccia F-15 all'Arabia Saudita, Riad acquistò i caccia Tornado britannici. Allo stesso tempo, gli americani hanno perso l'influenza che i fornitori acquisiscono dalla formazione e dal supporto tecnico forniti con gli aerei, che a loro dire, oggi è ancora di più in gioco. Soltanto una linea di assemblaggio di aerei da combattimento avanzati potrebbe sopravvivere nel mercato aerospaziale militare che è stato ridotto dopo la Guerra Fredda. Se il Congresso dovesse nuovamente rifiutare una vendita ai sauditi, l'industria aerospaziale statunitense soffrirà per gli anni a venire.
Israele è stato leggermente svantaggiato perché, osservano i sostenitori della vendita, gli Stati Uniti avrebbero ritirato il sostegno tecnico cruciale in caso di crisi, se necessario, cosa che gli europei non avrebbero fatto. Inoltre, il caccia Tornado racchiude una minaccia più offensiva rispetto all'F-15 ed è di stanza in basi più vicine a Israele di quanto non lo sarebbero i caccia dell'Arabia Saudita costruiti negli Stati Uniti.
Gli oppositori sostengono due eccellenti argomentazioni contrarie riguardanti la sicurezza di Israele e la tecnologia americana. Gli F-15 sauditi potrebbero causare gravi danni a Israele, ostacolando la mobilitazione israeliana in tempo di crisi e attaccando obiettivi sia civili sia militari, incluso il complesso nucleare di Dimona. Anche se i 72 nuovi F-15 non lasciassero mai il suolo, la loro semplice presenza in un Paese che attualmente ha solo circa 150 aerei da combattimento avanzati complica la pianificazione israeliana. Israele dovrebbe destinare molti aerei alla neutralizzazione di quella forza, lasciando meno risorse per affrontare le minacce provenienti dalla Siria e non solo. In breve, la vendita pregiudica il vantaggio militare qualitativo di Israele che il governo degli Stati Uniti ha promesso di sostenere.
Inoltre, se gli aerei dovessero cadere nelle mani dell'Iran fondamentalista, dell'Iraq di Saddam o di un regime rivoluzionario in Arabia Saudita, potrebbero essere usati con rilevanti ripercussioni contro una miriade di altri Paesi amici americani, tra cui il Bahrein, l'Egitto, la Giordania, il Kuwait, l'Oman e la Turchia.
E ALLORA COME OCCORRE COMPORTARSI? Vendere gli F-15 con una condizione tecnica imposta: che ci sia un doppio trigger sugli aerei sauditi di produzione USA che dia a Washington il co-controllo sulle missioni degli aerei. Ciò significa preprogrammare con dei codici i computer degli F-15 in modo che richiedano un'immissione giornaliera per il funzionamento dei sistemi avanzati dell'aereo. Senza codici, il sistema di navigazione, quello avionico e quello di armamento dell'F-15 non funzioneranno; un pilota potrebbe alzarsi in volo, ma non potrebbe navigare o fare fuoco.
I codici di impianto sono economici e praticamente infallibili; migliaia di sequenze numeriche casuali possono essere caricate prima della consegna in Arabia Saudita, abbastanza per durare un decennio. Ogni giorno, un orologio interno richiederebbe al computer di generare un nuovo codice; se l'orologio fosse manomesso, i computer si spegnerebbero. Il codice può essere trasmesso giornalmente via radio dagli Stati Uniti all'Arabia Saudita. I piloti sauditi inserirebbero il codice più o meno allo stesso modo in cui si accede a uno sportello bancario automatizzato. La procedura richiederebbe pochi secondi. Non sarebbe necessaria alcuna presenza militare intrusiva degli Stati Uniti in Arabia Saudita e le prestazioni degli aerei non ne risentirebbero affatto.
Un doppio trigger non risolverebbe tutti i problemi. In una retorica dettata da una crescente crisi, le forze aeree israeliane e iraniane su allerta dei funzionari statunitensi potrebbero mostrarsi esitanti a nascondere i codici, e quindi gli F-15 sauditi sarebbero teoricamente capaci di attaccare Israele contro la volontà americana. Ma un doppio trigger riduce le possibilità che ciò accada e garantisce che, nel peggiore dei casi, potrebbe succedere soltanto una volta. I codici renderebbero anche questi F-15 praticamente inutili nelle mani di Saddam Hussein o di un regime espansionista iraniano.
I leader sauditi possono opporsi alla presenza di un doppio trigger, inteso come una violazione della loro sovranità, ma ci sono diverse ragioni per pensare che la loro remora potrebbe essere vinta. In primo luogo, se i sauditi rinunciassero realmente all'uso della forza contro Israele, un doppio trigger non sarebbe un vero problema.
In secondo luogo, un doppio trigger migliora effettivamente la sicurezza saudita collegando quotidianamente gli Stati Uniti alle difese saudite. Gestito correttamente, il dispositivo di programmazione potrebbe inviare il messaggio giusto a Baghdad e a Teheran senza compromettere l'orgoglio saudita. I mediorientali spesso sentono meglio le cose dette a fior di labbra rispetto alle grida.
Infine, la dinastia saudita probabilmente accetterà i codici perché vuole trattare con gli Stati Uniti. Le armi americane sono migliori; e Washington da sola può proteggere gli interessi sauditi fondamentali, come ha dimostrato in modo così convincente l'operazione Tempesta del Deserto. In effetti, i precedenti dimostrano che i sauditi si piegano per ottenere la cooperazione americana in materia di sicurezza: Riad ha in precedenza acconsentito di basare aerei di produzione statunitense a metà strada dalla costa del Golfo Persico, a Dhahran, e non a Tobuk, vicino a Israele. E ora potrebbero piegarsi di nuovo.
Oppure no. Ma non lo sapremo mai, a meno che non ci impegniamo e, purtroppo, quando si tratta dei sauditi, raramente lo facciamo. Attualmente, Washington ha un'enorme influenza su Riad: è giunto il momento di utilizzarla.