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In un'insolita combinazione di argomenti, Karin van Nieuwkerk, un'antropologa della Radboud University nei Paesi Bassi, ha raccolto sedici studi di casi empirici di conversione e di abiura dell'Islam in Europa, Nord America e in Medio Oriente. Tuttavia, tenuto conto della moltitudine di studi sulla "entrata" nell'Islam, i capitoli dedicati alla "uscita dall'[Islam]" offrono informazioni più originali e suscitano maggiore interesse.
Considerando i britannici che sono diventati musulmani e poi hanno abbandonato la fede, Mona Alyedreessy rileva che essi "hanno constatato che numerosi tratti culturali nelle pratiche, negli atteggiamenti e nei comportamenti dei musulmani sono incompatibili con i valori islamici e britannici", una valutazione negativa. Inoltre, hanno mosso obiezioni in merito alla "ipocrisia" e al "comportamento contraddittorio" tra i musulmani di origine. La pressione esercitata per essere dei "buoni musulmani" ha indotto molti convertiti a ribellarsi e ad abbandonare l'Islam. Peggio ancora, uno ha recriminato che "l'Islam non vuole affatto che tu ti goda la vita". Le donne potrebbero celebrare la loro apostasia liberandosi del loro hijab e di altri accessori islamici in una moschea o addirittura bruciando questi indumenti.
Simon Cottee ipotizza che abbandonare l'Islam è paragonabile al divorzio, per poi scartare quell'analogia a favore di un "coming out" omosessuale. Cottee sintetizza questa esperienza come "quella di un trauma e di una sofferenza (...) un processo lungo e psicologicamente costoso".
Van Nieuwkerk riscontra che in Egitto, l'Università di Al-Azhar ha avviato una campagna contro l'ateismo crescente (uno studio sui giovani ha rilevato che un giovane su otto è ateo) e contro la "rivoluzione silenziosa" che include le donne che si tolgono il velo, una tendenza verso il sufismo spirituale e la crescente accettazione sociale dello scetticismo e della miscredenza.
Teemu Pauha e Atefeh Aghaee osservano che, a partire dal 2014, "l'apostasia era illegale in venticinque Paesi, tutti, ad eccezione dell'India, a maggioranza musulmana", con l'Iran come unico governo a giustiziare ufficialmente una persona per questo crimine. Pauha e Aghaee esaminano il caso di coloro che abbandonando l'Islam e scoprono che formano quattro gruppi: i cercatori, i razionalisti, i disillusi e i ribelli, concludendo che ""gli atei più felici sono spesso i razionalisti e i più arrabbiati sono i ribelli. I più tristi e i più nostalgici, a loro volta, si trovano fra i cercatori".