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Osman di Timișoara (nato all'incirca intorno al 1658 e morto all'incirca nel 1731) iniziò la sua vita come un ottomano privilegiato che viveva vicino al confine con il mondo cristiano; da giovane soldato cadde prigioniero degli Asburgo: trascorse circa dodici anni come prigioniero e schiavo, scalando i ranghi per la sua diligenza e intelligenza. Alla fine, fuggì di nuovo nelle terre ottomane, dove divenne traduttore e concluse la sua carriera come illustre diplomatico. In un documento unico nel suo genere (e la prima autobiografia ottomana), Osman scrisse nel 1724 la sua storia di avventura e successo.
Presentato con eleganza e curato scrupolosamente da Casale, professore associato di Storia all'Università del Minnesota, Prisoner of the Infidels rende la lettura avvincente. Fortunatamente, il sorprendente racconto di Osman (il giovane guerriero si rivela un raffinato pasticciere?) manca dello stile ricercato e prolisso tipico del suo tempo, e informa il lettore moderno di un tempo e di un luogo completamente diversi, sollevando una serie di domande, come ad esempio il fatto che uno schiavo musulmano a un certo punto della narrazione mangia il cibo lasciato dall'imperatore asburgico; i misteri dei rapporti tra padrone e schiavo o cristiano e musulmano; o la natura imprevedibile dei rapporti con gli estranei ("non appena [i prigionieri] erano saliti a bordo della barca e avevano preso il largo gli accompagnatori li uccidevano, squarciando loro la pancia"). Poi c'è Osman che beve alcolici in pubblico, ma non mangia carne di maiale; la sua fuga riuscita utilizzando documenti falsi; e le sue relazioni amichevoli con un ex padrone.
Complessivamente, a una persona moderna sembra che le differenze radicate fossero molto più fluide trecento anni fa. Il lettore dovrebbe fare questo viaggio nel tempo e nello spazio con Osman sia per i suoi successi sia per i suoi insegnamenti.