Il presidente Clinton ha fatto la cosa giusta alla fine del mese scorso ad accogliere Salman Rushdie alla Casa Bianca? La risposta sembrerebbe dipendere dalla misura in cui le motivazioni del presidente – far fronte all'aggressione e all'intimidazione iraniana e mostrare il suo sostegno alla libertà di parola – sono state soddisfatte dall'incontro con l'autore de I versi satanici. Ma lo sono state?
Purtroppo, no. Se le intenzioni del presidente erano nobili, Clinton e i suoi collaboratori sembrano non aver capito come trasformare quelle buone intenzioni in buoni risultati. In questa vicenda, come in tante altre, il presidente e i suoi uomini sembrano ancora dei dilettanti.
Con l'incontrare Rushdie, il presidente è parso indicare, con un semplice atto, che Washington detesta i metodi dei mullah iraniani e non si farà intimidire dalle loro minacce. Il contatto con il romanziere ha anche confermato e rafforzato la politica coerente e rigorosa del presidente nei confronti dei leader militanti iraniani. George Bush non avrebbe incontrato Rushdie, rischiando di dare l'impressione che i religiosi iraniani avessero un veto sulla lista degli invitati alla Casa Bianca. Pertanto, Clinton non ha fatto bene?
No. Sfortunatamente, ospitare Rushdie in un posto di grande onore è molto più che un simbolo di tenere testa ai bulli di Teheran. Rushdie è, giustamente o meno, il simbolo fondamentale della mancanza di rispetto verso l'Islam. Anche i musulmani che non sono d'accordo con l'editto di morte di Khomeini vedono comunque l'autore dei Versi satanici – con la sua fantasia sulle prostitute che prendono i nomi delle mogli del profeta Maometto – come deplorevole al punto di essere accusato di tradimento.
E anche i musulmani che sostengono il diritto di Rushdie di offendere hanno difficoltà a digerire un politico non musulmano che celebra Rushdie. Perché, si chiedono, il presidente degli Stati Uniti si associa gratuitamente all'uomo che più simboleggia la deroga all'Islam? A livello viscerale, non possono non sentire la sua azione come un attacco alla loro fede. Ecco perché, quando il presidente ha successivamente affermato di non voler mancare di rispetto all'Islam in generale, le sue parole non hanno convinto. Clinton intendeva inviare un messaggio a favore della libertà di parola e lanciare un avvertimento ai mullah iraniani, ma decine o forse centinaia di milioni di musulmani lo hanno visto semplicemente come un gesto anti-islamico. Un ambasciatore arabo a Washington lo ha detto bene: "Incontrare Rushdie non è una bomba intelligente, che colpisce solo Teheran. È una bomba stupida che provoca molti danni collaterali".
Inoltre, incontrando Rushdie, il presidente intendeva schierare il governo degli Stati Uniti a favore della libertà di parola, e non era troppo presto. George Bush non è riuscito a far sentire la sua voce su questo argomento: il suo unico commento pubblico sull'editto di Khomeini che condannava a morte Rushdie e i suoi editori arrivò nel febbraio 1989. Era mite e goffo: "Per quanto offensivo possa essere quel libro, incitare all'omicidio e offrire ricompense per la sua perpetrazione è profondamente offensivo per le norme del comportamento civile". Definendo sia I versi satanici sia l'editto di morte come "offensivi", Bush ha sottinteso che entrambi fossero riprovevoli. Quindi per Bill Clinton stare fermamente dalla parte dell'artista assediato è un bel cambiamento, non è vero?
Beh, sì e no. Il guaio è che Salman Rushdie non è l'emblema dei valori politici occidentali come la libertà di parola. Fino al suo scontro con gli ayatollah, si considerava "uno scrittore all'opposizione" e prendeva posizioni altamente irresponsabili. Ad esempio, gli mancava così tanto il buon senso che nel 1987 pensava che i sandinisti offrissero più libertà della Gran Bretagna, il suo stesso Paese: "La Costituzione del Nicaragua è pari a un Bill of Rights che non mi dispiacerebbe fosse in vigore in Gran Bretagna", scrisse una volta.
Lo scrittore ha anche dato voce a ogni luogo comune dell'estrema Sinistra sul "grande pugno americano" e "l'impero americano". Rushdie ha dipinto la Gran Bretagna come un'effettiva colonia degli Stati Uniti. Ad esempio, ha riflettuto sulla reazione di Washington alla richiesta di Londra di rimuovere le forze statunitensi dal suolo britannico: "Ma gli americani se ne andrebbero? È una reale questione. Se il governo britannico dovesse ordinare alle basi americane di chiudere, lo farebbero? E se non lo facessero, qual è la differenza tra essere un membro della NATO ed essere occupati? (...) Ma gli americani se ne andrebbero? Ho seri dubbi che lo farebbero".
Gli stessi Versi satanici traboccano di odio per gli Stati Uniti. Nel libro, Rushdie denigra l'influenza americana come "la Coca-colonizzazione del pianeta". Ha qualificato New York City come "quella Nuova Roma transatlantica con il suo gigantismo architettonico nazificato, che si serviva dell'oppressione delle dimensioni per dare ai suoi abitanti umani la sensazione di essere vermi". Noi siamo gli abitanti di questo Paese che lui ha definito, nel tipico linguaggio sgradevole dei Versi satanici , "quei fottimamma di americani".
Non è solo paradossale che questo scrittore aspramente antiamericano ora cerchi avidamente il sostegno politico statunitense; è vergognoso da parte sua non aver ritrattato le sue opinioni passate, tanto meno essersene scusato. E, supponendo per un istante, per un senso di generosità, che lo staff della Casa Bianca abbia esaminato le opinioni di Rushdie, è stato un errore per il presidente Clinton averlo incontrato prima che arrivassero le scuse.
In altre parole, se Salman Rushdie è un simbolo vivente di due importanti politiche americane, ossia la necessità di arginare la bellicosità che viene da Teheran e la sacralità della libertà di parola, egli è un simbolo solo suo malgrado. Porta con sé troppi altri bagagli per servire efficacemente quelle cause. La sua fama di nemico dell'Islam lo rende uno strumento controproducente per affrontare i mullah. La sua sfrenata storia di antiamericanismo lo rende un pessimo portavoce della libertà di parola, un valore eminentemente americano.
Clinton aveva dei validi motivi, ma incontrando Rushdie, ha scelto il veicolo sbagliato per portare avanti i suoi obiettivi. In futuro, il presidente non dovrebbe più avere a che fare con Rushdie, invece, dovrebbe far conoscere le sue opinioni in altri modi più intelligenti.