Intervistatore: Rami Dabbas
Israel Today: Qual è il futuro dell'islamismo in Medio Oriente e in Nord Africa?
Daniel Pipes: Il declino. Nel 2013, avevo previsto che l'islamismo avrebbe cominciato a indebolirsi nei Paesi a maggioranza musulmana: otto anni dopo, questa previsione sembra abbastanza valida. Si osservi, ad esempio, il Marocco, l'Algeria, la Libia, l'Egitto, la Turchia, l'Arabia Saudita e l'Iran. Questo declino è principalmente frutto delle reazioni negative dei musulmani quando vivono sulla propria pelle gli orrori dell'islamismo o vedono gli altri soffrire ed è anche una conseguenza delle lotte interne islamiste, come in Libia e in Turchia.
IT: L'Egitto e la maggior parte dei Paesi del Golfo Persico di lingua araba hanno bandito i Fratelli Musulmani e gli alleati dell'organizzazione hanno di recente subito gravi perdite in Tunisia e in Marocco. Ma quanto sono importanti questi sviluppi?
DP: Sono importanti, in parte, perché riflettono il più ampio declino dell'islamismo menzionato sopra e, in parte, perché rispecchiano le particolari vicissitudini dei Fratelli Musulmani e dei loro alleati da quando Abdel Fattah al-Sisi è salito al potere in Egitto, nel 2013. Il fatto che questa organizzazione islamista, un tempo di spicco, affronti tali problemi ha implicazioni in tutto il mondo, ovunque esista questo movimento.
IT: Qualcuno nella Destra israeliana sostiene che lo slogan "la Giordania è la Palestina" sia la soluzione al conflitto israelo-palestinese, affermando che la Giordania è la vera patria dei palestinesi. Negli anni Ottanta, Lei si oppose a questa visione. È cambiato qualcosa?
DP: Sì. Due sviluppi confermano ulteriormente le mie opinioni. Uno riguarda la diminuzione della percentuale palestinese della popolazione giordana a causa del massiccio afflusso di iracheni e siriani dal 1990, pertanto, la Giordania ora ha una componente decisamente meno palestinese. L'altro sviluppo riguarda l'identificazione sempre più forte con l'identità palestinese, emersa nel 1920, e che aveva settant'anni nel 1990 e ne ha compiuto più di cento adesso. Fortunatamente, tra gli israeliani si sente oggi parlare molto meno rispetto a prima della follia dello slogan "la Giordania è la Palestina".
IT: Qual è, a suo avviso, la soluzione al conflitto israelo-palestinese?
DP: La vittoria di Israele, ossia Israele sta compiendo i passi necessari per convincere i palestinesi della Cisgiordania e di Gaza che il loro sforzo bellico contro lo Stato ebraico è senza speranza, che dovrebbero fare i conti con la realtà e voltare pagina. Desidera avere maggiori dettagli? La mia bibliografia elenca 65 articoli su questo argomento e le suggerisco di iniziare con il pezzo "Una nuova strategia per la vittoria di Israele".IT: Quanto sono importanti gli Accordi di Abramo fra Israele ed Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan?
DP: Sono entrambi importanti di per sé, specialmente quelli degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrein, con le loro molteplici dimensioni economiche e strategiche, e come segnali ai palestinesi che alcuni arabi stanno perdendo la pazienza con il negazionismo e l'intransigenza. Se i palestinesi si ostinano a cercare di eliminare lo Stato ebraico, i loro fratelli arabi iniziano a voltare pagina.
IT: Lei si aspetta che più governi aderiscano agli accordi? Se sì, quali?
DP: Sì. L'Arabia Saudita è il gran premio. Presumibilmente, questo non accadrà finché regnerà l'85enne re Salman, essendo lui un nazionalista arabo vecchio stile. Ma molto probabilmente Riad tratterà apertamente con Gerusalemme se il principe ereditario, Mohammed bin Salman, gli succederà. Il riconoscimento saudita di Israele avrebbe conseguenze di vasta portata e segnerebbe una svolta nel conflitto arabo-israeliano, così come gli accordi firmati dal 1979 con l'Egitto, la Giordania, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Marocco e il Sudan, non hanno fatto.
Padre e figlio. |