Chi può resistere all'ottimismo dell'editoriale di Micah Goodman, titolato "Israel's Surprising Consensus on the Palestinian Issue" ("Il sorprendente consenso di Israele sulla questione palestinese") (pubblicato il 15 luglio scorso)? Purtroppo, il testo scritto in piccolo rivela che il presunto consenso si basa sulla proposta di Goodman "di creare una contiguità territoriale tra le isole autonome palestinesi in Cisgiordania, collegare questa autonomia palestinese al resto del mondo e promuovere la prosperità e l'indipendenza economica palestinese".
Ma non abbiamo mai visto questo film prima? Il programma di Goodman replica fedelmente la visione di Shimon Peres di un "nuovo Medio Oriente" e gli Accordi di Oslo del 1993, quando gli israeliani fecero importanti concessioni nell'innocente speranza che Yasser Arafat, Mahmoud Abbas e i loro scagnozzi rispondessero con buona volontà. Ora sappiamo come è andata a finire.
Mahmoud Abbas, presidente dell'Autorità Palestinese, parla al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, a New York, l'11 febbraio 2020. Foto Spencer Pilatt/Getty Images. |
Da storico, mi dispiace affermare che i conflitti in genere non finiscono con gesti di buona volontà, ma con una parte che rinuncia ai suoi obiettivi di guerra. Si pensi al 1865, al 1945, al 1975 e al 1991. Bellissimi appartamenti e auto di ultimo modello non indurranno i palestinesi ad accettare Israele; questo accadrà solo dopo che avranno riconosciuto l'inutilità del loro sogno di eliminare lo stato ebraico. La vittoria israeliana, non la prosperità palestinese, porta alla pace.
Proprio come i tedeschi hanno guadagnato incommensurabilmente rinunciando alla loro aggressione, così possono fare i palestinesi. Solo quando accetteranno il loro vicino, questa popolazione capace e dignitosa potrà costruire una politica, un'economia, una società e una cultura che merita.
Daniel Pipes
Presidente del Middle East Forum,
Philadelphia