David Hume (1711-1776). |
Alla ricerca di una risposta, mi sono immerso tra scricchiolanti scaffali di libri e di articoli sul carattere nazionale inglese, molti scritti da personaggi illustri. Purtroppo, però, la saggezza di ognuno di loro combinata a quella di altri costituisce un'enorme contraddizione.
L'eminente storico Mandell Creighton mi ha incoraggiato a iniziare con l'osservazione che "gli Inglesi sono stati i primi a forgiare per se stessi un carattere nazionale". Poi, Creighton ne ha definito la motivazione dominante, ossia avere "un desiderio ostinato di fare le cose a modo proprio, senza alcuna interferenza esterna" [2].
Molti concordano con questa idea di un popolo inglese amante dell'indipendenza. John Stuart Mill, il filosofo considerato uno dei padri del liberalismo, osservava "quanto sia ripugnante per il carattere inglese qualcosa di simile alla spavalderia" che, anziché intimidirlo, accresce la sua "tenace determinazione (...) a non lasciarsi maltrattare" [3]. Stanley Baldwin, tre volte primo ministro britannico elogiava i suoi connazionali con queste parole: "L'Inglese è fatto per i tempi di crisi e per i momenti di emergenza. È sereno nelle difficoltà, ma può sembrare indifferente quando i tempi sono facili" [4]. David Cameron, che in seguito divenne premier, definì la britannicità, l'essere britannici, "una libertà sotto lo Stato di diritto" [5].
La commedia del 1971, "Niente sesso, siamo Inglesi" è diventato un film famoso. |
A proposito dei Francesi, il romanziere Honoré de Balzac definì gli Inglesi nobili [11]. Lo scrittore spagnolo Salvador de Madariaga li vedeva come uomini d'azione [12]. Il belga Maciamo Hay riteneva che fossero "spiriti liberi, educati, critici, volubili, classisti, polarizzati, pragmatici, intraprendenti, divertenti, riservati" [13]. Il filosofo americano Ralph Waldo Emerson ha focalizzato l'attenzione sul "coraggio" [14]. Lo storico americano Henry Steele Commager li definì "talmente prosaici, flemmatici e materialisti" [15]. I gruppi di discussione hanno sintetizzato il carattere inglese in tre parole: riservato, rigido e snob" [16].
I mediorientali in genere hanno una pessima opinione degli Ingliz. Un motivetto dell'era ottomana li definiva "irreligiosi" [17]. Jamal ad-Din al-Afghan, uno dei primi islamisti, li considerava "poco intelligenti, dotati di grande perseveranza, ambizione, avidità, testardaggine, pazienza e superbia" [18]. Secondo l'autore iraniano Jahangir Amuzegar, gli Inglesi sono "freddi, furbi, padroni di sé, deferenti" [19]. M. Sıddık Gümüş, un complottista turco, li ha descritti come "un popolo vanitoso e arrogante" [20].
Allargando la prospettiva, Gorer scriveva nel 1955 che "il carattere inglese è cambiato molto poco negli ultimi 150 anni, e forse anche di più" [21]. Al contrario, lo storico Peter Mandler ha passato in rassegna le idee dei britannici in merito al loro carattere nazionale dal 1800 al 2000 e ha rilevato che erano in costante cambiamento [22].
Complessivamente, queste riflessioni mi indicano che gli Inglesi sono (paradossalmente) sereni e volubili; fraterni e vanitosi; equi e avidi; superbi e deferenti; ipocriti e gentiluomini; flemmatici e divertenti. Va da sé che tale serie di opposti non è indicativa di nulla. Fa pensare a una previsione astrologica che predice gioia e miseria, così come serenità e tumulto, guadagni e perdite.
Forse è così che deve essere. Nel 1701, Daniel Defoe scriveva che "da un miscuglio di ogni specie ebbe inizio/Quella cosa eterogenea che è un inglese" [23]. Nel 2004, la giornalista Amelia Hill liquidava così lo sforzo complessivo: "A parte le bianche scogliere e il maltempo, nulla è per sempre l'Inghilterra e, per quanto antica sia la ricerca dell'essenza della britannicità, questa ricerca è illusoria" [24].
Le bianche scogliere di Dover. |
Paradossalmente, David Hume va oltre, negando la validità stessa dell'argomento: "Gli Inglesi, fra tutti i popoli dell'universo, hanno il carattere nazionale meno spiccato; salvo che proprio questa singolarità non possa passare per tale" [25]. E se questo era vero nel 1748, quanto più veritiero è oggi, a seguito dell'immigrazione su larga scala.
Con questo, la mia indagine approssimativa è destinata a subire una battuta d'arresto, lasciandomi confuso. Più triste e non più saggio, abbandono la ricerca del carattere nazionale inglese per tornare a quell'argomento più semplice a cui abitualmente mi dedico: il Medio Oriente.
Daniel Pipes alla pompa dell'acqua della King's College Chapel, quando aveva ancora una maniglia, Cambridge, Inghilterra, nel settembre 1953. |
[1] David Hume, "Of National Characters", The Philosophical Works (Edinburgh: Black and Tait, 1826,), vol. 3, p. 234.
[2] Mandell Creighton, The English National Character (London: Henry Frowde, 1896), pp. 8, 11. Al contrario, Krishan Kumar, The Making of English National Identity(Cambridge: Cambridge University Press, 2003) considera l'anglicità come secondaria alla britannicità e alle sue ambizioni imperiali.
[3] John Stuart Mill, The Collected Works of John Stuart Mill, ed. John M. Robson (London: Routledge, 1963-1991), vol. 13, pp. 459-60.
[4] Stanley Baldwin, "What England Means to Me", discorso al Royal Society of St George, 6 May 1924. Baldwin allora scrisse un intero libro su questo argomento: The Englishman(London: Longmans Green & Co., 1940).
[5] David Cameron, "Speech to the Foreign Policy Centre Thinktank" The Guardian, 24 August 2005. Un altro premier britannico, John Major, ha definito la Gran Bretagna "il Paese delle ombre lunghe sui campi da cricket della contea, della birra calda, degli insuperabili sobborghi verdeggianti, degli amanti dei cani e dei riempitori di piscine [scommettitori di calcio] e – come diceva George Orwell – di "vecchie signore che vanno in bicicletta a ricevere la comunione nella nebbia del mattino". Si veda "Mr Major's Speech to Conservative Group for Europe" johnmajorarchive.org, 22 April 1993, accessed 12 December 2020.
[6] Edmund Dale, National Life and Character in the Mirror of Early English Literature (Cambridge, Eng.: At the University Press, 1907), p. 323. Paul Langford, Englishness Identified: Manners and Character 1650–1850 (Oxford: Oxford University Press, 2001) approfondisce questo argomento in un'epoca successiva.
[7] George Orwell, England Your England (London: Secker & Warburg, 1941).
[8] W. Somerset Maugham, preface, The Complete Plays, vol. 2, p. xii.
[9] Geoffrey Gorer, Exploring English Character (New York: Criterion, 1955), p. 287.
[10] Personal communication, Telegram, 12 December 2020.
[11] Honoré de Balzac, Illusions perdues (Paris: Club français du livre, 1962), vol. 4, p. 1067.
[12] Salvador de Madariaga, Englishmen, Frenchmen, Spaniards: An Essay in Comparative Psychology (London: Oxford University Press, 1928), pp. 1-8.
[13] Maciamo Hay, "What Makes English People So Typically English?"Eupedia, n.d.
[14] Ralph Waldo Emerson, English Traits (Boston: Houghton Mifflin, 1876), p. 102.
[15] Henry Steele Commager, "What the English Are" New York Times, 20 November 1955.
[16] Lee Glendinning, "A Typical Briton: Uptight But Witty" Guardian, 16 November 2004.
[17] Quoted in Bernard Lewis, The Muslim Discovery of Europe (New York: W. W. Norton, 1982), p. 174.
[18] Muhammad Basha al-Makhzumi, Khatirat Jamal ad-Din al-Afghani al-Husayni (Beirut: Yusuf Sadr, 1931), p. 131.
[19] Jahangir Amuzegar, The Dynamics of the Iranian Revolution: The Pahlavis Triumph and Tragedy (Albany, N.Y.: State University of New York Press, 1991), pp. 99-100.
[20] M. Sıddık Gümüş, Confessions of a British Spy and British Enmity Against Islam, 13th ed., (Istanbul: Hakīkat Kitâbevi, 2013), p. 75.
[21] Gorer, Exploring English Character, p. 286.
[22] Peter Mandler, The English National Character: The History of an Idea from Edmund Burke to Tony Blair (New Haven: Yale University Press, 2006). Al contrario, Arthur Bryant in The National Character (London: Longmans, Green, 1935) considerava il carattere nazionale inglese come fondamentalmente stagnante.
[23] Daniel Defoe, "The True-Born Englishman: A Satyr" in The Novels and Miscellaneous Works of Daniel De Foe, vol. 5 (London: Henry G. Bohn, 1855).
[24] Amelia Hill, "The English Identity Crisis: Who Do You Think You Are? "The Guardian, June 12, 2004.